Populismo: riscatto per i molti o degrado della cultura politica?

Nella mia bolla di Facebook, popolata da giovani che potremmo definire genericamente di sinistra, due interpretazioni sembrano essersi spartite il campo delle spiegazioni dell’ascesa elettorale del M5S. Interpretazioni che cercano di sviscerare cause e implicazioni del fenomeno-populismo.
Una prima interpretazione guarda a tale ascesa con un turbamento fatto di speranza – poca – e preoccupazione – tanta.

I tempi in cui si pensava concretamente ad un’alleanza (con supporto esterno) centrosinistra-M5S sono passati, ma sempre più si diffonde la percezione che la proposta – incompiuta, contraddittoria – welfarista dei 5S abbia raccolto consensi soprattutto là dove il degrado economico è maggiore.
La speranza in questo senso è quella di ricominciare a capirci qualcosa: se il M5S trionfa su di una frattura di classe, significa che le classi esistono ancora e che si può far politica di classe. La preoccupazione è quella che la sinistra non riesca a ri-apprendere gli schemi in tempo utile a farla, questa politica di classe – pur avendo in dotazione intellettuale la capacità di completare (e rendere maggiormente effettiva ed inclusiva, almeno nei desiderata) la scarna e incoerente proposta di protezione del M5S.
Dal M5S c’è insomma da imparare a cavalcare la protesta; allo stesso tempo c’è anche la necessità di ricostruire tale protesta in una direzione più socialmente radicale, strutturata.

La seconda interpretazione, più lineare, vede soprattutto l’altra faccia della medaglia del M5S; non il welfarismo da poco, ma le tendenze plebiscitarie, il linguaggio spesso aggressivo nei confronti delle istituzioni, gli eccessi di demagogia, la liquidità nelle posizioni più progressiste e il potere dittatoriale dei vertici extra-parlamentari del partito.
A questa semplificazione verticale della dialettica democratica viene dato un nome che a molti fa paura: populismo.

Si dice giustamente che i meccanismi di selezione dei parlamentari sono poco chiari e troppo vulnerabili alle preferenze della leadership, nell’assenza totale di corpi intermedi. Ci si preoccupa per la retorica pauperista spiccia, che insiste su di un senso comune deteriorato, che si aspetta risultati semplici e immediati, che non percepisce le complessità della politica democratica, che è facilmente adescabile dalle fake-news e dalle trovate scenografiche. Tutti caratteri del populismo grillino.
E poi ancora: ci si scaglia contro la retorica dell’uno vale uno; a loro volta, gli alfieri della prima interpretazione rispondono: una volta era la sinistra a portare i contadini in parlamento. Certo dovevano essere contadini che avevano lottato, per davvero e non solo nel talent-show delle parlamentarie; ed erano contadini a cui il partito e la lotta avevano dato una forma culturale che andasse ben oltre la cultura del doppio click.

Il M5S non è solo welfare, non è solo classe. È un partito pigliatutto”.

Il (fu) direttorio del Movimento 5 Stelle: Di Battista, Di Maio, Ruocco, Sibilia e Fico come esempio del dirigismo a 5 Stelle. Questa disintermediazione è una delle richieste del “populismo all’italiana”

La prima interpretazione dimentica una cosa, o finge di non vederla: il M5S non è solo welfare, non è solo classe. È un partito pigliatutto. Un nuovo partito pigliatutto, non più uno di quelli che hanno nella middle-Italy (relativamente affluente) il proprio referente simbolico principale, ma che condensa nella protesta la propria costruzione identitaria e il proprio appeal – finora.
Un partito populista, che guarda a quella che Bernard Manin ha chiamato “la democrazia del pubblico” (come i migliori partiti pigliatutto), ma riprende la dimensione aspirazionale della democrazia: il desiderio di redenzione degli oppressi, l’aspirazione al mutamento e l’opposizione al potere delle elites.
Nel partito del populismo pigliatutto, la lotta di classe può finalmente ri-essere inclusa, ma solo come voce specifica nella catena delle equivalenze e non come referente principale; per questo la proposta di protezione per i ceti medio-bassi non può che rimanere per molti versi vaga e incoerente: il radicamento del M5S – che è solo un radicamento elettorale, al momento -, statistiche alla mano, non si declina lungo coordinate strettamente di classe, ma lungo le coordinate multiformi di diverse motivazioni e censi.

Il punto fondamentale è che la lezione, per la sinistra, non può veramente essere quella di riscoprire le fratture di classe come elemento puramente oggettivo; certo ci sono evidenti fratture che esistono a livello censuario e nella distribuzione di potere sociale, ma quel che conta in politica è la capacità di dare senso e mettere in scena una visione del mondo.
Le rappresentazioni politiche della società non sono fotografie: sono più che altro strumenti, capaci di dare senso al mondo, di mettere ordine, legittimando alcune cose e orientando il pòlemos contro altre, e in base a queste partizioni creare identità e solidarietà. Le classi esistono censuariamente, ma non sta scritto da nessuna parte che emergeranno autonomamente come forze sociali: l’equazione tra le ISEE dei censimenti e il pubblico potenziale di un partito risente – e molto – del peso degli anni.
Questo ha una conseguenza: se le persone non si sentono classe, ma si sentono popolo in quanto pubblico, le vie sono due.

  1. Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, alfiere del "populismo di sinistra"
    Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, alfiere del “populismo di sinistra”

    Seguire il solco populista dei M5S, che ha saputo ricostruire la protesta piallando una volta ancora le percezioni di classe, e proporre la via del populismo di sinistra à la Podemos.

  2. Oppure, provare a fondare un discorso alternativo, che attraverso la lotta educhi i soggetti all’auto-percezione come classe.

Anche alla seconda interpretazione manca un pezzo: l’interesse reale per la dimensione aspirazionale della protesta. Se è sbagliato pensare in maniera economicista all’ascesa dei 5S, ignorandone la dimensione pigliatutto, quest’altra interpretazione nasconde completamente altri due aspetti, fondamentali.

  1. La capacità di ri-orientare le aspirazioni democratiche
  2. La capacità di proporsi come alternativa alla cieca “Gli altri hanno fallito, diamo pure a loro una possibilità”, concentrandosi sul declino della cultura politica che fa da retroterra all’ascesa di questo tipo di populismo.

Il declino della cultura politica fa da retroterra all’ascesa di questo tipo di populismo”.

Se tutti hanno torto dunque, per motivi diversi, da un altro punto di vista hanno tutti ragione. Il problema ideologico – che non è certo l’unico – della sinistra oggi passa tutto da qui: è vero che la cultura politica è declinata e che il popolo, dopo essere stato spogliato, ha preso una forma strana, a volte liquida e altre volte molto spigolosa.
Per rivestirlo bisogna passare da soluzioni che possono apparire sub-ottimali, goffe, e che potrebbero richiedere concessioni (retoriche o pragmatiche) a spazi politici verso i quali si è sempre guardato con sospetto. La cultura del doppio click, l’insofferenza per la democrazia sono vere e preoccupanti.
Dire che il M5S articola – anche – una protesta sociale sacrosanta vuol dire poco, perché ciò che conta è in quali forme concrete quella protesta viene articolata.
Questo, certamente, dipende dagli attori politici. Ma non bisogna dimenticare che la creatività politica è strettamente connessa alle configurazioni del senso comune e delle identità contemporanee: esse solo entro certi limiti si possono sfidare.

Il Presidente della Camera, Roberto Fico, con Luigi Di Maio.
Il Presidente della Camera, Roberto Fico, con Luigi Di Maio.

L’enigma è questo: se noi crediamo che ci siano le classi, ma nessuno al di fuori della nostra bolla vuol crederci, questo non volerci credere è altrettanto reale dell’esistenza delle classi stesse.
Questo “non volersi vedere come classe” è un dato identitario dotato di una certa solidità.
Che fare?
La scelta di Podemos è stata quella dell’inganno: facciamo cose da sinistra socialdemocratica, ma vi diciamo che non siamo di sinistra; anzi, vi diciamo che la sinistra è parte del problema.
Tutto ciò per avere un appeal sostanzialmente su elettori di sinistra. Tanta fatica per poca roba – anche se roba molto preziosa in tempi di magra.

Gli elettori sembrano chiedere di essere ingannati: se non è declino di cultura politica questo!
In Spagna il partito di sinistra più innovativo del momento propone appunto cose moderatamente socialdemocratiche; ed è pure cresciuto in strettissimo legame con un partituscolo che la parola sinistra ce l’ha addirittura nel nome: ma la strategia è quella di dire che non si è di sinistra.
In Italia, le fasce popolari sembrano avere perso persino un minimo livello di riflessività sulla credibilità dei rimedi che vengono loro propinati, sporgendo il naso un briciolo oltre la cultura del doppio click: una massa informe e incastrata nella subalternità.

Lo strumento della creazione ideologica rimane nelle mani dei pochi”.

In tutto ciò, rimane vero che i parametri di verità del discorso politico non sono quelli della fotografia del reale, ma dell’effettività dello strumento collettivo.
Il punto è che sembra che le masse siano totalmente disarmate, disposte a seguire spesso con poca coscienza – storica nel caso dell’opzione di Podemos, e politica nel caso del M5S –  chi sa incarnare in maniera retoricamente (ed esteticamente) credibile la protesta.
Il che significa che, ancora una volta, lo strumento della creazione ideologica rimane nelle mani dei pochi, con scarsa capacità sovrana dei molti. È questo un vuoto di potere che nessuna retorica raffinata e innovativa potrà mai colmare.

Robin Piazzo

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