Domenico Cerabona
@DomeCerabona
Anche ai più attenti.
Ci sono sentimenti profondi che sono troppo complicati da cogliere nei sondaggi e nelle analisi fredde e lucide.
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Un elemento umano fatto di ricordi, passioni ed esperienze vissute che prevaricano la razionalità ed entrano nella dimensione quasi irrazionale del sentimento disinteressato.
Quasi mi azzardo a definirlo amore.
Ne ho avuta la prova lampante un giorno, con mio zio. Un passato da militante nel PCI, sindacalista e diffusore instancabile de l’Unità.
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Quando l’Unità ha cambiato formato, ed ha dismesso i panni del piccolo giornale stile “free press” per tornare quelli più abituali di quotidiano nazionale, in Fondazione decidemmo di ricominciare a comprarlo.
Anzi, di abbonarci.
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Il giorno seguente mio zio arrivò in biblioteca e, come tutti gli altri giorni, prese i quotidiani a cui siamo abbonati per leggerli con disciplina gramsciana, dalla prima all’ultima pagina.
Lo chiamai per dirgli: “Zio, c’è anche l’Unità, è tornata al formato grosso, abbiamo deciso di abbonarci”.
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Sul suo viso è apparso, istintivamente, un sorriso enorme di felicità pura. Un sorriso che mi raccontava di mattinate spese a Porta Palazzo a fare il diffusore del giornale fondato da Antonio Gramsci; di pomeriggi in sezione a leggere e commentare i lunghissimi e complicatissimi editoriali di Amendola, Togliatti e Pajetta; di scioperi fatti con l’Unità sotto il braccio, come un distintivo.
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Insomma, quel sorriso trasmetteva una passione che non si spegnerà mai, nonostante tutto.
Una passione che mi commosse. Ma i compagni di una volta non possono lasciar trasparire le proprie emozioni personali, o almeno quasi mai.
Per questo ci siamo guardati negli occhi, con i lucciconi, e la sua unica parola è stata: “Bene!”.