Perché Pokemon GO è una rivoluzione antropologica

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Se tra i vostri amici di Facebook vi capita di avere anche contatti non italiani, potreste aver notato tra i loro feed un trend particolarmente virale negli ultimi giorni: Pokemon GO. Il nuovo gioco per smartphone, sviluppato da Niantic e Nintendo, in collaborazione con Google, è uscito solamente da pochi giorni, e nemmeno in tutto il mondo (in Italia a il lancio ufficiale sarà domani, ma si può già scaricare tramite apk), ma in questo lasso di tempo ha già generato più traffico di tutti i principali portali porno mondiali, e ha fatto fare alla Nintendo un balzo in borsa di +9% e +24% in due giorni consecutivi.

Per chi non sapesse di cosa parliamo, si tratta del primo esperimento su scala globale di augmented reality: l’applicazione, interfacciandosi con le mappe di google, fa comparire dei simpatici mostriciattoli in corrispondenza di determinati luoghi fisici. Il giocatore deve recarsi fisicamente sul posto, dove potrà “vedere” i pokemon attraverso la fotocamera del suo smartphone: a quel punto potrà quindi catturarli, e successivamente allenarli, farli evolvere e farli combattere… tutto come nel videogame originale, le cui prime versioni (Pokemon Blu e Pokemon Rosso) uscirono per Game Boy tra il 1996 e il 1997).

Il gioco è gratuito per tutti gli utenti, ma le opportunità di businness sono presenti: innanzitutto infatti esiste un limite giornaliero al numero di pokeball (oggetti che si usano per catturare i pokemon) che si possono ottenere – una volta terminate occorre pagare per averne di extra o recarsi fisicamente in corrispondenza dei luoghi marcati come Pokestop in città per fare rifornimento. In secondo luogo è possibile acquistare delle “esche” che attirano i Pokemon verso una zona predefinita per un tempo limitato, generalmente mezz’ora: quest’opportunità è pensata per negozi o locali, che possono utilizzare l’esca per richiamare clienti (pensate ad un bar che organizzi un aperitivo per giocatori, e attiri i Pokemon nella sua zona intorno alle 18).

In Italia i giornali e i media in generale non hanno ancora dato al fenomeno la dovuta risonanza, trattandolo al massimo come nuova tendenza videoludica o buffo fenomeno di costume. Questo dipende dal fatto che in Italia la mentalità comune riguardo ai videogame è ancora piuttosto retrograda: basti pensare al fatto che siamo uno dei pochissimi paesi dove nessuna rivista o giornale sportivo dà spazio agli e-sports (i videogame competitivi), mentre all’estero le grandi società sportive creano team di videogiocatori professionisti e i maggiori network sportivi hanno ormai da anni canali dedicati

Se tanto mi dà tanto, in Italia presto si parlerà di Pokemon GO anche come di qualcosa di pericoloso, evidenziandone i rischi connessi all’abuso. Rischi che, va precisato, esistono, ma che non sono peculiari del gioco in sé, e dipendono invece da problemi preesistenti in determinati individui. Negli Stati Uniti ci sono già stati episodi di incidenti dovuti a persone che camminavano, o guidavano, senza prestare la dovuta attenzione perché distratti dal gioco, e in un caso alcuni malintenzionati hanno semplicemente usato le esche Pokemon per attirare vittime ignare in un’area isolata e rapinarle. Questi rischi però sono connessi a qualunque fenomeno di massa – pensiamo alle persone che perdono la vita per farsi un selfie. Al contrario, Pokemon GO ha già manifestato anche conseguenze positive, per esempio diventando la leva motivazionale per far uscire di casa persone con problemi sociali o con gravi forme di depressione.

Come appaiono i Pokemon all'interno del giocoQuello che realmente andrebbe approfondito, tuttavia, è il motivo per il quale questo gioco sta avendo tanto successo. Non si tratta infatti semplicemente di un videogame particolarmente accattivante, con la curiosa caratteristica di costringere gli utenti a spostarsi fisicamente per giocare. Né il suo successo è da attribuirsi al fatto di puntare ad un pubblico che si spalma su due o tre differenti generazioni (i ragazzini che a 13 anni sognavano di fare gli allenatori di Pokemon quando uscì il primo titolo della serie oggi hanno 33 anni): sono tutti fattori, certo, ma il cuore della questione è un altro.

Pokemon GO è il primo videogioco che porta il fantastico dentro il vivere quotidiano. Fino ad ora siamo sempre stati tutti in grado di distinguere tra la virtuale e reale, e di confinare ciascuno dei due nei suoi spazi: ora i giocatori escono di casa e si ritrovano i simpatici mostriciattoli all’angolo della strada, nel parco di quartiere o nel centro storico.

Qualcuno potrà vedere in questo un segno di decadenza dei tempi: davvero abbiamo bisogno di bestioline virtuali nelle vie per farci uscire di casa? Chi si pone questa domanda è probabilmente prigioniero di una mentalità antiquata: no, nessun pokemon potrà mai rimpiazzare le bellezze naturali o architettoniche del nostro pianeta, e gli animali veri sono sicuramente più affascinanti. Ma la realtà aumentata è qualcosa su cui noi abbiamo potere di manipolazione: i pokemon si possono catturare, allenare, far combattere. Non è un modo diverso di osservare il mondo, è un modo diverso di viverlo.

C’è poi una risposta più complessa: l’epoca contemporanea vive di evasione. Gli ultimi quindici anni di cinema e serie TV vedono una preponderanza di produzioni legate a storie fantasy, fantascientifiche o di supereroi; i social network, i videogame, rispondono tutti ad un enorme, disperato bisogno di fuga dal reale. Un gioco che porta la magia nella vita di tutti i giorni può davvero segnare un punto di svolta antropologico: se gli accattivanti mostri sono in grado di farci tornare ad amare la quotidianità senza fuggirla, forse non ha poi troppa importanza il fatto che esistano solo nella nostra testa e sullo schemo di un telefono.

Il discorso è più profondo di quanto non sembri: certo, bisogna forse accettare un po’ di alienazione, di contaminazione del virtuale sul reale, ma allo stesso tempo si tratta di un aiuto formidabile per combattere l’estraniazione di generazioni di persone chiuse in sé stesse, tra le mura domestiche, e/o dietro allo schermo di un computer, perse in mondi virtuali dove inseguire un senso di avventura che sembra completamente smarrito nella vita routinaria del terzo millennio. L’avventura, la fantasia, ora le si può cercare uscendo di casa, passeggiando e interagendo con gli altri.

Naturalmente Pokemon GO non è che l’inizio dell’epoca dell’augmented reality: in futuro non faccio fatica ad immaginare turisti in visita al Duomo di Firenze che interagiscono coi personaggi di Assassin’s Creed; o sanguinarie scene alla Game of Thrones raccontate dagli iPhone ai visitatori sullo sfondo di un vero castello scozzese: le potenzialità sono infinite. Certo, qualcuno potrà lamentare il fatto che la realtà per essere resa accattivante abbia bisogno di essere filtrata dallo schermo di uno smartphone, ma vale la pena chiedersi se sia meglio una realtà aumentata o la totale fuga da essa.

E in ogni caso, esiste un buon numero di posti al mondo che possono solo migliorare se gli si aggiunge un Bulbasaur.

Luca Romano

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