La figura di Matteo Renzi è stata oggetto di critiche (legittime e spesso fondate), di accoltellamenti interni al partito (meno legittimi, ma tristemente normali), ma soprattutto di fake news e campagne d’odio pervasive, onnipresenti e rivoltanti. Queste ragioni, sommate a suoi errori politici (forzare la mano sul referendum costituzionale, ad esempio) e ad un personaggio non sempre gradevole, hanno fatto sì che la sua stella, dalle lontanissime europee del 2014 in cui è sembrata brillare di luce propria, sia calata sempre di più: oggi, il gradimento dell’ex premier nel paese è prossimo allo zero.
In effetti, abbiamo superato da molto il momento in cui il suo nome non è più spendibile politicamente, e lo stesso Renzi sembra rendersene conto quando annuncia che non si candiderà alle prossime primarie del PD (anche se poi in altri momenti non sembra rassegnarsi).
Gli unici che in qualche modo danno ancora moltissimo credito all’ex premier sono i giornalisti schierati con la maggioranza (ad esempio quelli del Fatto Quotidiano), che continuano imperterriti a mettere in prima pagina qualsiasi evento che coinvolga suoi amici, parenti, conoscenti, amici dei parenti, parenti degli amici, conoscenti dei parenti e amici dei conoscenti dei parenti – l’ultima news a riguardo è una nuova indagine a carico del padre, Tiziano, e della moglie.
Se le notizie vere non arrivano, a gettare ulteriore discredito sul personaggio ci pensa poi il network di fake-news che tira in maniera massiccia acqua al mulino del governo giallo-verde: non più tardi di una settimana fa è circolata la bufala delle irregolarità nell’assunzione di Agnese Renzi per la quale lei e il marito sarebbero sotto indagine della procura di Firenze, notizia assolutamente falsa.
Perché tanto accanimento su quello che è, di fatto, un cadavere (politicamente parlando)?
Perché sforzarsi per convincere tutta Italia che Renzi sia ancora lì a tramare contro i cittadini, che sia ancora pericoloso e potente, quando il PD stesso ormai è un relitto che non vedrà mai più il 20% in vita sua?
Potrebbero iniziare a scansionare i vicini di casa di Calenda, di Martina o di Zingaretti per vedere se qualcuno di loro si è mai dimenticato di raccogliere la cacca del cane dal marciapiede, ma non lo fanno. Come mai?
La risposta è che Renzi è diventato, negli occhi dei suoi nemici (e, peraltro, solo nei loro), qualcosa di più di un essere umano, di un uomo politico: è un logo. Un ideogramma.
Nel romanzo “1984”, durante i due minuti d’odio obbligatori in tutti gli uffici e in tutte le scuole, il MiniAmor non trasmetteva le immagini dei politici dell’Eurasia o dell’Estasia (i paesi con cui l’Oceania, a seconda del momento, era in guerra) per suscitare rabbia negli spettatori: mandava l’immagine di Emmanuel Goldstein, il ribelle, il nemico del popolo, il traditore, il responsabile di ogni male della popolazione. E funzionava.
Il protagonista del romanzo scoprirà poi che in realtà la resistenza e Goldstein stesso non esistono: sono solo strumenti con cui il MiniAmor mantiene alto il consenso, indirizza la rabbia e mette alla prova la lealtà dei cittadini al Grande Fratello.
Renzi è questo, è diventato Goldstein: non ha importanza che politicamente esista o meno, non ha nemmeno importanza cosa abbia realmente fatto (né ha senso discuterne realmente nel merito), va solo odiato ferocemente.
E questo odio si forgia continuando a diffondere notizie false, tendenziose, o del tutto irrilevanti ai fini del dibattito politico, come quelle riguardanti gli ex soci del padre. Per capirci: io a malapena so come si chiamavano i colleghi del mio, se saltasse fuori che uno è indagato e qualcuno me lo rinfacciasse chiamerei la neuro; ma d’altronde persino se scoprissi che mio padre (che pure sono abbastanza sicuro sia una persona onesta) faceva segretamente il trafficante di droga, continuerei comunque a ritenere che io non c’entro un tubo.
Proprio come con Goldstein, l’odio serve a dare un capro espiatorio a tutti i mali dell’Italia, ad essere sicuri che i cittadini siano sempre arrabbiati (e quindi continuino a votare con la pancia e non con la testa) e a mettere alla prova la lealtà delle persone: infatti, chi si dichiara del PD o mostra una timida approvazione nei confronti di Renzi rischia il linciaggio.
E funziona.
Che dire, se non altro questa lezione l’hanno imparata bene.
Luca Romano