
Nei giorni scorsi ha fatto scalpore la presa di posizione del papa contro la ‘Ndrangehta. Sceso nella spianata di Sibari, Francesco ha finalmente ordinato la scomunica per tutti i mafiosi: “Coloro che nella loro vita hanno preso questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati”.
Alle parole del papa sono subito seguiti, giustamente, encomi e manifestazioni di grande consenso, ma anche alcuni avvenimenti che testimoniano forse che qualcosa sta davvero cambiando.
Due episodi emblematici sono avvenuti a distanza di pochi giorni: il primo proveniente dal carcere di Larino, dove 200 detenuti mafiosi hanno rifiutato di assistere alla consueta funzione domenicale; il secondo è l’ormai famosissimo “inchino” concesso dalla comunità in processione di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, al boss mafioso Giuseppe Mazzagatti.
Invece di voltare la testa e far finta di niente, come accaduto molto spesso in passato, il maresciallo dei carabinieri Andrea Marino ha scelto di abbandonare la processione; un gesto che ha incontrato grande attenzione e consenso mediatico e che ha indotto il vescovo locale prima alla condanna, poi addirittura alla sospensione di tutte le processioni nella diocesi.
I due episodi hanno sicuramente una straordinaria portata simbolica. L’atteggiamento dei detenuti dimostra l’impatto che possono avere le posizioni del Papa sui membri delle cosche. Questi, abituati a concepire il potere in modo, oltrechè violento e sopraffattorio, anche assolutistico e verticale, subiscono profondamente l’ascendente della figura papale.
In essa l’elemento religioso e trascendente si unisce a quello dell’autorità inappellabile. Ciò determina immediate ripercussioni nelle coscienze dei mafiosi e fa pensare che provvedimenti di questo tipo, fossero stati presi prima, avrebbero forse già potuto allargare le maglie delle relazioni tra la mafia e l’istituzione religiosa.
Ma l’avvenimento che potrebbe veramente rappresentare uno snodo nella storia dei rapporti tra Stato e Mafia è rappresentato dall’ondata di sdegno che ha seguito l’episodio dell’”inchino” a Oppido Mamertina. Mai, prima delle parole di Francesco, si era dedicata un’attenzione mediatica così larga ad eventi simili, che – ricordiamo – sono ricorrenti nella storia dell’Italia unita.
L’auspicio è che si sia compiuto un definitivo passo in avanti verso la maturazione di una nuova sensibilità antimafia: un atteggiamento che non sia solo di facciata e che non lasci veramente più spazio a silenzi e connivenze.
Le riserve però sono legittime. Basti ricordare le responsabilità della Chiesa nella diffusione e nel radicamento di quell’humus culturale dentro al quale sono cresciute e hanno proliferato le organizzazioni criminali, dall’Unità d’Italia a oggi.
Si potrebbe addirittura risalire alla “Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia”, testo conclusivo della commissione parlamentare istituita nel 1875 dal governo Mughetti, per capire le responsabilità della Chiesa in questo senso.
Nella relazione si parla della diffusione nei territori del sud di veri e propri tariffari distribuiti dagli istituti religiosi per consentire alle persone di avere facile accesso alla remissione dei peccati, in cambio di un prezzo prestabilito.
È facile capire come pratiche simili abbiano prodotto degli strappi gravissimi nella coscienza civile meridionale e siano state fonte di ispirazione per il potere mafioso.
Ma non solo per questo si può dire che diverse frange del clero abbiano rinunciato storicamente al proprio ruolo di guida etica e sociale: non si contano gli elevati contributi in denaro concessi dai boss alle parrocchie, in cambio di celebrazioni in pompa magna. Matrimoni, funerali e, ovviamente, processioni.
Tra gli episodi più eclatanti c’è quello del nipote di Nitto Santapaola, che, in occasione della festa di Catania, trasportava la statua stessa della patrona, Sant’Agata.
I boss più facoltosi in questi avvenimenti sono sempre intervenuti con i loro denari, coinvolgendo cantanti famosi, fuochi d’artificio e arredi lussuosi.
A fronte di ciò, spesso alcuni ecclesiastici si sono dimostrati del tutto indifferenti alla pericolosità sociale delle organizzazioni. Prendiamo la figura di Don Memè, parroco di Rosarno, altro paesino incluso nella diocesi di Oppido Mamertina: testimone del processo di mafia contro il boss Ciccio Pesce (che ha finanziato l’istallazione di un impianto di condizionamento all’interno della chiesa di Rosarno) il parroco non ha esitato a definirlo suo amico.
E come lui molti altri preti hanno testimoniato ai processi parlando degli imputati come dei galantuomini, così come hanno celebrato funerali di boss dicendo: “chi siamo noi per giudicare il bene e il male?”.
Questi atteggiamenti, questa retorica hanno corrotto sia il concetto di morale religiosa che il rapporto del fedele con la figura del prete e con Dio stesso. Nei territori ad altra concentrazione criminale è come se si fosse giunti a una concezione di fede vissuta esclusivamente in modo privatistico tra individuo, sacerdote e Dio, senza alcuna corrispondenza nella vita sociale: tutto si risolve in un problema individuale di coscienza, che si lava volta per volta con la confessione.
Per questo è importante la presa di posizione del papa. L’attenzione adesso non deve scendere e bisognerà valutare molto attentamente se e come avverrà il passaggio dalle parole ai fatti, anche nelle zone controllate dalla criminalità. Il tutto senza dimenticare le responsabilità storiche della gerarchia cattolica nella diffusione del consenso sociale, che è sempre stata prerogativa del radicamento delle cosche sul territorio.
Il passaggio successivo dovrà essere una riforma radicale dello Ior, la banca vaticana che in passato è stata oggetto di indagine per passaggi sospetti di denaro, azioni di riciclaggio, e casi di conti correnti milionari intestati a ecclesiastici prestanome dietro ai quali si svolgevano operazioni opache che hanno reso lo Stato del Vaticano un vero e proprio paradiso fiscale.
Se Bergoglio vorrà dare una sterzata definitiva, dovrà arrivare qui. Le premesse, una volta tanto, sembrano esserci.
Stefano Farronato
@twitTagli