Pa-tema 2012: la redazione di Tagli svolge il tema artistico-letterario della Maturità 2012

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Tanto maturi… da essere marci

I giornalisti di Tagli  ritornano sui banchi di scuola e si cimentano con le tracce del tema di maturità 2012. Ognuno ha scelto la sua preferita, e ha scritto rispettando le consegne fornite. Andrea Donna ha optato per la letteratura, mettendo a frutto gli studi dai Gesuiti e la laurea in Lettere.

2. TIPOLOGIA B, AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO

ARGOMENTO: IL LABIRINTO.

Correndo attraverso mille labirinti

di Andrea Donna

 

Il file rouge che, da Cnosso a Calvino, conduce sulle tracce del tema “labirinto” nella storia e nelle storie della letteratura e dell’arte è – non potrebbe essere altrimenti – un filo non perfettamente teso, non rettilineo e non continuo. È un filo che si spezza in più punti, di lana infeltrita che si annoda: crea volute, torna su se stessa aggirando cantoni.

 

Il termine greco labỳrinthos è attestato per la prima volta a indicare l’eponimo Labirinto di Cnosso, che – narra il mito – il re Minosse volle costruire, a opera di Dedalo (nome pregnante), per imprigionarvi il Minotauro. L’etimologia di labỳrinthos è discussa, ma di sicura origine pre-greca.

Quello di Cnosso non fu l’unico labirinto dell’antichità: fu, semplicemente, il più famoso. Tutti i labirinti antichi, comune caratteristica, erano univiari: due sole possibilità restavano a chi vi si avventurava, arrivare alla fine o ritrovarsi al punto di partenza.

Con la fine del mondo antico la storia del labirinto abbandonerà l’architettura per incontrare l’iconografia: nei secoli centrali del Basso Medio Evo, il XII e il XIII, e il labirinto univiario, simbolo di espiazione o elemento decorativo, è affrescato o scolpito in bassorilievo sui pavimenti delle cattedrali. Uno di questi labirinti, quello della cattedrale di Reims, è rappresentato su una delle edizioni de “Il nome della rosa” di Umberto Eco.

 

Maurits Cornelis Escher, Relatività, 1953 Maurits Cornelis Escher, Relatività, 1953

 

Non è un caso: il tema del labirinto è presente nel romanzo. Ed è un dedalo che può essere dipanato dall’intelligenza analitica:

Cinque stanze quadrangolari o vagamente trapezoidali, con una finestra ciascuna, che girano intorno a una stanza eptagonale senza finestre a cui sale la scala. Mi pare elementare. Siamo nel torrione orientale, ogni torrione dall’esterno presenta cinque finestre e cinque lati. Il conto torna. […] Credo che ci orienteremo facilmente.

Quattrocentocinquanta anni prima, nel XII canto del“Furioso”, si leggono questi endecasillabi:

E mentre or quinci or quindi invano il passo / movea, pien di travaglio e di pensieri, / Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso, / re Sacripante ed altri cavallieri / vi ritrovò ch’andavano alto e basso, / né men facean di lui vani sentieri; / e si ramaricavan del malvagio / invisibil signor di quel palagio.

Tutti cercando il van, tutti gli dànno / colpa di furto alcun che lor fatt’abbia: / del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno; / ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia; / altri d’altro l’accusa: e così stanno, / che non si san partir di quella gabbia; / e vi son molti, a questo inganno presi, / stati le settimane intiere e i mesi.

Il castello di Atlante è un labirinto inestricabile, ed è per il poeta estense quello che la Selva era per Dante: allegoria della condizione umana. A cambiare è solo la natura dell’oggetto significante: il manufatto prende il posto del vegetale. La passione, anzi la follia, dei personaggi rincorre sogni irraggiungibili lungo corridoi che sono già, pienamente, quelli del labirinto multiviario e, in nuce, quelli della letteratura sull’inconscio.

 

Tema fertile, quello del dedalo, anche nella letteratura novecentesca: eccolo nell’“Aleph” di Borges, la cui Città degl’Immortali (siamo alla fine degli anni’40) potrebbe fungere da didascalia al discorso prospettico di M. C. Escher (“Relatività”, 1953). In mezzo millennio, il massimo della razionalità della prospettiva rinascimentale si è trasformato nell’assurdo angoscioso. Resta saldo, nell’arte figurativa, il riferimento alla forza bruta del minotauro: l’ibrido della“Minotauromachia” di Picasso (1935) allunga l’arto umano verso il lume sorretto dall’immobile fanciulla; negli anni ’30,“Minotaure” è la rivista del movimento surrealista; un Pollock ancora figurativo ritrae una possente Pasiphae nel 1943. Il labirinto univiario, geometrico e ornamentale, resiste soltanto nell’architettura da giardino.

Con “Le città invisibili” di Calvino la letteratura, siamo nel 1972, termina l’alchimia. Opera di trasformazione mastodontica e dolente: dall’unico palazzo di Cnosso il labirinto ha inglobato un’intera città, caotica, assurda e straniante. Tutto (e quindi nulla) è centro; tutto (e quindi nulla) è periferia. Con la Pentesilea dello scrittore torinese, diventa inadeguata la stessa definizione di “labirinto multiviario”.

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