
Di centoventotto, ne rimasero solo quattro. Il singolare maschile di Wimbledon si appresta a conoscere i nomi dei due finalisti che il prossimo 12 luglio si contenderanno il 129° titolo dei championships.
Dei quattro semifinalisti, tre (Djokovic, Federer e Murray) siportavano, per così dire, il pass per il penultimo atto già da casa: il quarto, Gasquet, gioca il ruolo dell’intruso.La sua vittoria suWawrinka, il vincitore del Roland Garros, in cinque palpitanti set ai quarti di finale è stata la sorpresa del torneo.
PRIMA SEMIFINALE: RICHARD GASQUET VS NOVAK DJOKOVIC
Il francese, alla seconda semifinale londinese della carriera, sfiderà il serbo Djokovic nella semifinale meno nobile (parte alta del tabellone).
Il numero 1 della classifica Atp e detentore del titolo si affaccia a questo match con tutti i favori del pronostico per rango tennistico (numero 1 vs. numero 20 Atp), attitudine alla superficie (due titoli a Church Road a zero per il serbo) e storico: 12 a 1 per il serbo il bilancio degli incontri precedenti, con l’unica vittoria di Gasquet datata 2007.
Anche la storia di questa edizione sembra avvantaggiare Djokovic. Se è vero che entrambi i giocatori hanno incontrato, a livello di ottavi di finale, più di una difficoltà – tutti e due vittoriosi in un laborioso e dispendioso five-setter -, Gasquet ha dovuto replicare l’impresa ai quarti contro Wawrinka, sconfitto 11-9 al quinto dopo una dura e faticosa battaglia.
Il match, pertanto, sembra senza possibilità per Gasquet che, paradossalmente, potrebbe trarre forza da una situazione così disperata. Se fossi nel coach del francese, se fossi nella sua testa – se fossi Gasquet – penserei, non avendo grandi speranze, di poter affrontare il mio avversario senza preoccupazioni di sorta, libero mentalmente e pronto a cogliere qualsiasi opportunità da questa semifinale, che è un po’ quello che Gasquet sta mettendo in pratica da inizio torneo.
Prima la rivincita con Kyrgios, il giovane australiano che l’aveva estromesso dall’edizione 2014 di Wimbledon annullandogli ben 9 match point; poi la vittoria sul re di Parigi – che, nonostante Wawrinka non giochi propriamente un tennis da erba, vale moltissimo.
Se il braccio di Gasquet è rimasto il solito – divino, magnifico, sublime: scegliete voi –, qui a Londra si registrano i progressi mentali di un ragazzo che, acclamato come il salvatore del tennis transalpino dall’età di 9 anni, non ha saputo reggere psicologicamente il peso di un tale destino.
Le rinnovate sicurezze dell’ormai non più giovanissimo Gaschetti gli hanno permesso di avanzare il baricentro del proprio gioco di circa un metro, e questo a Wimbledon è fondamentale. Contro Wawrinka il francese ha mostrato un azzardato quanto pregevole serve&volley (qui), e più in generale una propensione ad occupare una zona di campo più vicina alla linea di fondo.
Così facendo, Richard offre al suo rovescio monomane zone di campo di cui era probabilmente all’oscuro, data la sua cronica tendenza a giocare-sui-teloni (qui uno dei tanti esempi), e acquista una pericolosità prima impensabile.
Djokovic, alla sesta semifinale consecutiva sui prati inglesi, dovrà fare attenzione a non stuzzicare eccessivamente il rovescio del francese o pagherà cara la scelta.
Detto tutto ciò, sembra francamente impossibile che domenica uno dei due finalisti sia Gasquet. Poco importa, perché tanto il nuovo vincitore di Wimbledon uscirà dalla seconda semifinale e dallo scontro tra i due migliori interpreti del tennis su erba degli anni Duemila: Roger Federer e Andy Murray.
SECONDA SEMIFINALE: ROGER FEDERER VS ANDY MURRAY
I due si incontrarono a Londra nell’estate del 2012, quando Federer sconfisse lo scozzese in finale in quattro set (qui).
Fu una partita bellissima, giocata bene da entrambi e dove lo svizzero fu autore di una serie di meraviglie balistiche da paradiso terreste – in fondo l’Eden era un giardino, no?
Rispetto a tre anni fa, entrambi i giocatori giocano meglio su questa superficie, merito forse anche della settimana in più che il calendario Atp ha concesso ai giocatori per prepararsi a Wimbledon.
Che Murray potesse migliorare si sapeva, ma che vi riuscisse era tutt’altro che scontato. Reduce dal trionfo sui prati londinesi del 2013 e da un’operazione alla schiena del settembre dello stesso anno, Murray ha passato la scorsa stagione alla ricerca di se stesso e del gioco che lo aveva reso il tennista da battere nel biennio 2012-2013.
Quest’anno la ricerca sembra completata, con successo, e lo scozzese si presenta a questa semifinale con il titolo del Queen’s, con due soli set persi e tanta, tanta fiducia nei propri mezzi.
Il tennis dello scozzese si adatta perfettamente all’erba degli anni Duemila – più alta e quindi leggermente rallentata rispetto agli anni di Sampras. Primo servizio violento e preciso (ma forse non così costante come dovrebbe), dritto e rovescio efficaci, buona mano per il gioco di rete.
Le sue lacune – la mancanza di un dritto da k.o. e una seconda di servizio non propriamente da top player – su una superficie rimasta comunque rapida condizionano meno il suo gioco. Non avendo più la pressione del primo titolo – Murray ha trionfato qui nel 2013 –, in caso di vittoria lo scozzese sarà il naturale favorito e il probabile vincitore della finale.
Il suo unico problema si chiama Roger Federer.
Lo svizzero è miglior giocatore su erba della storia del tennis – solo Sampras può pensare di avvicinarglisi – ed è alla caccia della sua decima finale a Londra: vincesse il torneo, porterebbe a casa il 18° Slam e l’ottavo Wimbledon.
Con un palmares simile, sostenere che il tennis dello svizzero sia migliorato negli ultimi due anni potrebbe sembrare un’eresia, ma non lo è.
Dopo i problemi alla schiena del 2013, Federer si è affidato a Edberg, suo mito d’infanzia e vincitore delle edizioni 1988 e 1990. Il suo angelico serve&volley non è oggi replicabile nel tennis moderno – troppa la rapidità e la violenza dei colpi da fondocampo – eppure lo svizzero, a 32 anni e 17 slam in cascina, si è sforzato di tradurre i suggerimenti del suo mentore svedese in pratica.
Se oggi Federer sfoggia un gioco aggressivo e verticale lo dobbiamo (anche) al buon Edberg.
Il percorso dello svizzero sin qui è stato indolore, con un solo set perso e un conseguente risparmio di energie – fatto importante per chi tra un mesetto compirà 34 anni e si trova a competere con avversari che gli rendono almeno 5 anni.
Proprio l’età è l’unico fattore di rischio in ottica finale. A Roger non basterà vincere contro lo scozzese; dovrà farlo rapidamente o potrebbe pagarne le conseguenze.
Il break subito nel secondo set dei quarti di finale ha posto fine alla striscia di 116 games senza subire break dello svizzero e questo dato, unito alle dichiarazioni di Simon – il quale ha detto che gli era sembrato di dover rispondere ai servizi di Raonic (uno che scaglia bordate a 210-220km/h) – lascia intendere quale sia la condizione dello svizzero.
Nella finale del 2012, il colpo decisivo fu il back lungolinea di rovescio dello svizzero che, proponendo una palla bassa e senza peso al suo avversario, gli impediva di giocare con profondità. Non potendo fare quello che in gergo si definisce appoggiarsi sulla palla, lo scozzese giocava così dritti corti sui quali Federer poteva attaccare e muoversi verso la rete con relativa facilità.
Trovo curioso pensare che per un giocatore dal tennis così propositivo come federer la chiave tattica del match sarà la risposta.
Non è un caso, e negli ultimi match persi da Federer – emblematica la finale dell’anno scorso contro Djokovic in questo senso – è stata determinante, in negativo, la resa di questo colpo.
Federer ha la capacità di generare potenza e precisione con la sua prima di servizio, e sa farlo con continuità. Certo, qui si parla di una percentuale di prime che sfiori il 70%, ma si parla anche di un tizio che non perdeva un game alla battuta da quasi un mese.
La risposta al servizio, in questo senso, è meno scontata. Non è una questione di età e riflessi, perché Federer non soffre quasi mai – e comunque molto meno oggi di qualche anno fa – i big server.
Più probabilmente si tratta di riuscire a impedire all’avversario di giocare comodamente e con il fondamentale più sicuro il colpo in uscita dal servizio. Non semplice se dall’altra parte della rete c’è Andy Murray.
L’aspetto psicologico conterà invece pochissimo. Entrambi non hanno nulla da perdere e solo una severa sconfitta potrebbe scalfire le ritrovate sicurezze dello scozzese.
Federer gioca ormai per la gloria – e poi il suo spaventapasseri si chiama Rafael, e in questo momento soggiorna al caldo delle Baleari.
Non so se il fantasma de l’ultima occasione della carriera sia presente nella testa dello svizzero, ma sembra, in maniera piuttosto paradossale, che tutto ciò influisca positivamente sul suo rendimento. La grinta e la cattiveria mostrate negli ultimi mesi sono insolite per un tennista accusato di un talento privo di cinismo, e provano che il sacro fuoco della vittoria arde ancora nel petto dello svizzero.
Nell’edizione dei championships che ha conosciuto l’ennesima bocciatura della generazione degli anni Novanta (i due semifinalisti 2014, Dimitrov e Raonic, eliminati nei primi turni), Federer è a due match dall’ottavo trionfo a Church Road. Riuscirà Murray ad arrestare la cavalcata dello svizzero?
Maurizio Riguzzi
@twitTagli