
Immaginiamo la seguente scena: all’ufficio postale il sig. Rossi prende il suo biglietto, si fa la sua ora di coda (perché siamo ottimisti), e arriva finalmente di fronte all’impiegato per fare la sua raccomandata.
- “Buongiorno, io dovrei spedire il mio 730 all’agenzia delle entrate”
- “Ah, mi spiace, ma io non faccio raccomandate”
- “Come sarebbe non fa raccomandate?”
- “Eh guardi, l’immagine sulla marca da bollo offende la mia religione del grande Cthulhu, quindi non le posso fare”
- “Ma questo è ridicolo!”
- “No, lo Stato ha stabilito che è un mio diritto non svolgere determinate mansioni del mio lavoro. Se vuole le faccio una ricarica Postepay”
- “Ma io non ce l’ho la Postepay, io devo spedire il 730!”
- “Allora deve fare la coda ad un altro sportello. Sempre che l’impiegato non sia anche lui religioso, sa, si stanno convertendo in molti da quando hanno scoperto che si può lavorare di meno e percepire lo stesso stipendio”
- “Ma voi siete dei cialtroni!”
- “No, siamo obiettori di coscienza”
Il discorso sull’obiezione di coscienza per i ginecologi si potrebbe a mio avviso concludere qui. Si tratta a tutti gli effetti di professionisti cui lo Stato concede la possibilità di rifiutarsi di fornire una prestazione al pubblico.
Vale però la pena spendere qualche parola in più, tanto per non essere accusato di semplificare eccessivamente.
L’aborto è il tema su cui l’opinione pubblica di orientamento cattolico continua a dimostrarsi più oltranzista. La propaganda più radicale usa senza mezzi termini la parola “infanticidio” per definirlo: da un punto di vista scientifico questo non ha ovviamente alcun senso, visto che non c’è alcuna possibile interpretazione biologica per cui si possa parlare di un feto come di un essere umano.
Questo non vuol dire che una persona non possa voler attribuire a un feto l’etichetta di “bambino” d’ufficio, per motivi religiosi: si tratta di una scelta personale assolutamente legittima.
Il termine chiave però qui è “personale”: la religione è un fatto personale.
“La religione è come il pene. Va benissimo averne una, è giusto esserne fieri, ma non è opportuno tirarla fuori in pubblico e iniziare a sbatterla in faccia alla gente.”
Se una persona ritiene che l’aborto sia un infantidicio, o comunque lo ritiene una pratica contraria ai propri ideali (religiosi o etici), può serenamente decidere di fare nella vita un mestiere diverso dal ginecologo, ed evitare di ricorrervi in caso di gravidanza imprevista.
Nel momento in cui si decide di fare un mestiere, e tale mestiere non è quello di libero professionista o imprenditore, si è tenuti ad assolvere agli obblighi prestazionali della propria professione, e il fatto che questi possano non piacere è del tutto irrilevante.
L’obiezione di coscienza è l’unico caso in cui la legge permette in via ufficiale ad un professionista di evitare di fare quello che dovrebbe essere il suo lavoro (che poi capiti in altri ambiti in maniera illecita è un altro discorso).
Sia chiaro, non è che io sia un fanatico dell’aborto “on demand”: si tratta comunque di una pratica che può avere conseguenze negative per la salute, quindi è opportuno che avvenga sotto approvazione medica, non è una “pillola del mese dopo”.
Ma l’approvazione medica deve essere frutto di una valutazione clinica, non di una posizione ideologica: la legge 40 è anacronistica, retrograda e stabilisce il privilegio di una categoria professionale su tutte le altre.
E sebbene non stabilisca criteri di appartenenza religiosa per ottenere lo status di obiettore di coscienza, è evidente che si tratta di una concessione indirizzata soprattutto ai cattolici, la cui presa di posizione sul tema dell’aborto è netta e la cui presenza in Italia è ancora maggioritaria.
Il tentare di travestire la cosa come una difesa della libertà di opinione è assurdo: se in libreria un commesso si rifiuta di vendere i libri della Mondadori perché gli sta antipatico Berlusconi, il commesso viene licenziato, e non perché la sua opinione non sia legittima.
Se un chirurgo si rifiuta di operare un paziente malato di tumore, perché secondo il suo amico immaginario quello che nella radiografia sembra un tumore in realtà è una proiezione angelica, il chirurgo viene radiato dall’albo dei medici istantaneamente, e non c’è libertà di opinione che tenga.
Dal punto di vista filosofico, storico e etico tra Dio e un amico immaginario ci sono sicuramente un sacco di differenze di cui si può disquisire. Da un punto di vista scientifico sono la stessa cosa.
C’è poi un ulteriore effetto collaterale: praticare un aborto molto probabilmente non è la più piacevole delle attività professionali, soprattutto per chi magari ha scelto la carriera di ginecologo perché affascinato dall’idea di far nascere dei bambini; senza contare poi che in una società dove comunque la presenza del cattolicesimo è ancora molto forte, le conseguenze sul piano sociale sono più una certezza che un rischio.
Nel momento in cui si è autorizzati per legge a non praticare tale attività, perché mai uno dovrebbe scegliere di praticarla? Anche se uno non ha alcun pregiudizio ideologico nei confronti dell’aborto, il non dichiararsi obiettore di coscienza implica:
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Lavorare di più (a fronte dello stesso stipendio)
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Dover fare un lavoro spiacevole
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Doversi spupazzare anche il carico di lavoro spiacevole che gli obiettori non fanno
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Eventuali spiacevoli conseguenze sul piano sociale.
Quale pazzo masochista farebbe questa scelta? Così, oltre a stabilire un privilegio per una categoria professionale, e oltre a sancire il primato di una specifica religione, si legittima la cialtroneria.
Il risultato è che la percentuale di ginecologi obiettori in molte regioni d’Italia supera di gran lunga quella dei cattolici praticanti.
Il che vuol dire che:
- o (per qualche motivo che va contro sia alla statistica sia al senso comune) tutti quelli che si iscrivono a Ostetricia & Ginecologia sono cattolici praticanti;
- oppure che un gran numero di obiettori di coscienza si dichiara tale per motivi tutt’altro che ideologici.
Luca Romano
@twitTagli