Note notevoli: vi va di ascoltare la Sonata “Al chiaro di Luna” di Beethoven?

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La sonata op.27 n.2 di Beethoven, passata alla storia come “Sonata al chiaro di Luna” è forse una delle composizioni più celebri del genio tedesco, una di quelle maggiormente conosciute anche a chi di musica classica è totalmente profano. Quindi perché non togliere ai tanti estimatori qualche curiosità su questo brano famoso?

Innanzitutto il titolo “Al chiaro di Luna” non venne dato da Beethoven, ma venne aggiunto dal critico Ludwig Rellstab successivamente alla morte del compositore: Beethoven l’aveva semplicemente classificata come “Sonata, quasi una fantasia”. Questa classificazione però, è utile a comprendere la natura profonda di quest’opera, che non è immediata quanto la sua bellezza intrinseca.

Molti infatti sono stupiti dal carattere diverso dei tre movimenti, e dalla loro successione insolita: il primo movimento è dolce e sofferto, il secondo è frivolo e sembra quasi un intermezzo prima del terzo movimento, impetuoso e drammatico. Oltre a ciò, il secondo movimento è estremamente breve rispetto agli altri due, e non di rado ho sentito alcuni ascoltatori sostenere che non era “bello” quanto gli altri.

Queste valutazioni nascono da un errore di fondo nella valutazione, ed è proprio questo il senso della dicitura “quasi una fantasia”: la Fantasia infatti in musica è una composizione unitaria, composta da diversi temi, con caratteri diversi, che si alternano senza soluzione di continuità. Inoltre, come suggerisce il nome, non segue alcuna regola precisa circa la disposizione dei temi secondo un particolare ordine di carattere, e i temi possono anche ritornare più di una volta. Quest’ultima caratteristica è quella che essenzialmente distingue la Sonata al chiaro di Luna da una Fantasia, ma per il resto, l’opera va interpretata come una struttura unica.

La distinzione tra primo, secondo e terzo movimento è quindi meramente formale: si tratta di un unico splendido brano, ognuna delle cui parti acquisisce senso compiuto solo se unita alle altre. Lo stesso spartito autografo a questo proposito, riporta un’indicazione alla fine dei primi due movimenti: “Attacca”. Significa che l’esecutore al termine di un movimento non deve aspettare e deve iniziare immediatamente quello successivo, evidenziando appunto l’effetto di un’opera dove la soluzione di continuità avviene solo alla fine.

Questa sonata è tra le prime del secondo periodo di Beethoven, e lo scardinamento dei canoni formali del classicismo è proprio quello che inaugura l’era pre-romantica: questa stagione musicale si può considerare l’equivalente dello Sturm und Drang letterario (e d’altronde, Beethoven stesso era un grande amico di Friedrich Schiller). Buon ascolto.

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La semicroma del giorno

(ovvero: una rapida, rapidissima curiosità musicale)

È noto che molti grandi artisti avevano delle “stranezze” che li rendevano, agli occhi della gente, folli, o quantomeno eccentrici. Per esempio, Arturo Benedetti Michelangeli, uno dei più grandi pianisti del XX secolo, era solito voler verificare personalmente le condizioni dello strumento che avrebbe dovuto suonare fin nei minimi dettagli: al punto da arrivare ad annullare dei concerti con il pubblico già in sala per la troppa umidità, temendo che potesse danneggiare le parti in legno dello strumento. Per un periodo della sua vita, andò in tournee portandosi dietro due dei suoi pianoforti personali (e accordatore annesso), e l’organizzazione dovette sobbarcarsi le spese di trasporto degli strumenti in aerei adeguati.

Luca Romano
@twitTagli

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