Note notevoli: vi va di ascoltare il Concerto per flauto, arpa e orchestra in Do maggiore di Mozart?

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Nella musica colta trovano ragione di esistere moltissimi strumenti diversi, ma non tutti con lo stesso grado di importanza: gli ascoltatori abituali sanno bene che esistono alcuni strumenti “eletti”, come il violino e il pianoforte, che hanno quasi sempre un ruolo principe, sia all’interno di una compagine orchestrale, sia in contesti solistici.

Nel tardo ‘700 il ruolo dominante degli strumenti ad arco e a tastiera (il pianoforte non esisteva ancora, ma esistevano il clavicembalo e il fortepiano) era già assolutamente definito, tuttavia al genio estroso e vivace di Wolfgang Amadeus Mozart tale convenzione doveva stare piuttosto stretta.

Infatti Mozart, oltre agli svariati concerti per pianoforte e orchestra (ma anche per due, o addirittura tre pianoforti e orchestra) e per violino e orchestra (o per due violini), ha composto anche due concerti per flauto, uno per oboe, uno per clarinetto, uno addirittura per fagotto, ben quattro concerti per corno e un concerto per flauto, arpa e orchestra.

Quest’ultima opera, che vi presento oggi, è stata composta nel 1778 da Mozart per il duca di Guines, che suonava il flauto, e per sua figlia, che studiava arpa e prendeva lezioni di composizione dallo stesso Mozart.

Si tratta di un’opera che, nella forma, non si discosta molto dai canoni tipici dell’epoca del concerto per strumento solista e orchestra; tuttavia la novità introdotta dal timbro dei due strumenti solisti, timbro inconsueto anche all’orecchio di un ascoltatore abituale di musica classica, rende la composizione originale e interessante.

Come in molte opere di Mozart, e in generale del periodo classico in senso stretto (quello che va dal 1750 al 1810 circa) il carattere è allegro e vivace, privo di slanci eroici e di toni drammatici: toni leggeri, ma mai leziosi, dinamiche concilianti, senza eccessi di “fortissimo” e “pianissimo”, temi semplici e divertenti, arricchiti dalle sonorità di due strumenti solisti un po’ più strani del solito.

Insomma, per usare un termine moderno: un’opera simpatica. Buon ascolto.

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La semicroma del giorno

(ovvero: una rapida, rapidissima curiosità musicale)

Il nome delle sette note deriva da un inno religioso, dedicato a S.Giovanni: le prime sei righe dell’inno iniziavano con le prime sei note della scala che oggi chiamiamo di Do maggiore, e così le note presero il nome dalle sillabe corrispondenti:

Ut queant laxis/Resonare fibris/Mira nostrorum/Famuli tuorum/Solve polluti/Labii reatum

La settima nota non è presente nella strofa dell’inno, ma venne chiamata SI, in onore di San Giovanni (Sancte Iohannes) cui l’inno era dedicato. La prima nota invece divenne Do per ragioni fonetiche (maggior facilità di pronuncia nel solfeggio): alcuni attribuiscono il cambiamento a Giovanni Battista Doni, che avrebbe usato la prima sillaba del proprio cognome, ma tale attribuzione è falsa, dal momento che si ha notizia dell’uso di tale fonema già nel 1536 (60 anni prima della nascita di Doni).

Luca Romano

@twitTagli

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