Siamo nel 1785, anno di composizione del concerto per pianoforte e orchestra N. 20 di Wolfang Amadeus Mozart, meglio noto come Kv .466 (da Ludwig von Köchel, colui che dopo la morte di Mozart si prese il difficile incarico di catalogare tutte le sue opere).
Da un punto di vista musicologico si tratta di un’opera controversa: dato il suo carattere drammatico, molto spesso è vista come un’opera che precorre lo stile romantico, seppure Mozart sia un compositore assolutamente classico (anzi, il compositore classico per eccellenza).
In realtà l’opera da un punto di vista formale si presenta con i canoni tipici del classicismo, nonostante il suo carattere più drammatico di molte altre opere mozartiane. Occorre ricordare che la leggerezza tipica del classicismo non va intesa assolutamente come mancanza di spessore emotivo, ma semplicemente come scelta di stile.
Definire l’opera come preromantica quindi, è un abuso di linguaggio dovuto ad una lettura a posteriori. Occorre ammettere a questo riguardo che molti esecutori tendono ad interpretare questo concerto in maniera particolarmente passionale e/o retorica, deviando da quello che era lo spirito musicale della Vienna di Mozart per incontrare di più il gusto del pubblico contemporaneo.
Si tratta comunque di una delle opere più amate di Mozart: non solo è tra le sue opere più eseguite al giorno d’oggi, ma era anche una di quelle che lo stesso genio di Salisburgo amava maggiormente suonare in pubblico. Anche la tonalità, nel suo piccolo, è un indizio di questo amore: il Re minore infatti è la tonalità in cui Mozart compose molte delle sue opere preferite, con le quali spesso aveva un rapporto drammatico, come il Don Giovanni e la Messa da Requiem.
Ho scelto per voi due esecuzioni diverse, di modo che possiate apprezzare entrambi gli stili: la prima è un’incisione storica del 1956 recentemente rimasterizzata in digitale. I nomi sono da brividi: l’orchestra è quella dei Berliner Philarmoniker (oggi tra le orchestre più prestigiose al mondo, all’epoca la più prestigiosa in assoluto), sul podio uno dei più grandi direttori di tutti i tempi, Herbert von Karajan, e al pianoforte un altro grandissimo come Wilhelm Kempff. Questa prima esecuzione, più grandiosa nei toni e forse più perfetta tecnicamente, è in realtà quella dove l’interpretazione è più forzata verso il romanticismo.
La seconda esecuzione è dell’Orchestra da Camera di Vienna, e nel difficile doppio ruolo di direttore d’orchestra e pianista troviamo Mitsuko Uchida: questa esecuzione è un autentico capolavoro di interpretazione classica, che rende perfettamente giustizia al contesto musicale in cui l’opera è stata composta. Mitsuko Uchida tra le altre cose è una tra le pochissime donne direttrici d’orchestra: si tratta infatti di uno dei mestieri dove l’assoluto monopolio maschile sembra più duro a morire.
Buon ascolto.
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La semicroma del giorno
(ovvero: una rapida, rapidissima curiosità musicale)
In musica il termine cadenza può avere una vasta pletora di significati: in un concerto per pianoforte e orchestra la cadenza indica un momento, che generalmente precede il finale di un movimento, in cui l’orchestra tace e il solista dà sfogo a tutta la sua abilità virtuosistica.
In questo concerto, le due cadenze si trovano sul finale del primo e del terzo movimento. Mozart era solito comporre le cadenze solo per i concerti destinati ad altri esecutori, pertanto non compose mai delle cadenze per il concerto N.20, visto che quando lo eseguiva amava fare sfoggio delle sue capacità di improvvisazione. Al giorno d’oggi solo pochissimi esecutori preferiscono crearsi personalmente delle cadenze per il primo e per il terzo movimento di questo concerto, e tra questi c’è Kempff nell’esecuzione che vi ho proposto.
La maggior parte invece (tra cui la Uchida) esegue le cadenze composte appositamente da un altro grande ammiratore di questo concerto: Ludwig van Beethoven.
Curiosità aggiuntiva: tra gli amanti di questo concerto figurano anche personaggi non propriamente positivi, ad esempio Josif Stalin, che lo considerava il suo brano musicale preferito in assoluto.
Luca Romano