No agli oriundi in Nazionale: 5 motivi per cui ha ragione Mancini

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“In azzurro solo gli italiani, no agli oriundi”. Così Roberto Mancini, allenatore dell’Internazionale, squadra storicamente aperta agli stranieri, sulla convocazione di Eder e Vazquez da parte di Antonio Conte.
Mancini contro Conte, dunque. Ma soprattutto un dibattito che salta fuori ogni volta che un giocatore discreto è arruolabile per la nazionale. Roba vecchia, insomma, quasi quanto le rubriche sui vestiti delle vallette di Sanremo.
Prima di parlare di razzismo, società multietnica e progresso – e prima ancora di azzardare paragoni con Francia e Germania – bisognerebbe fermarsi un attimo. Lo sfogo di Mancini, infatti, non ha nulla a che vedere con il motto fascista Italia agli italiani.
Ed ecco perché, invece, il Mancio ha ragione.

1. IL CALCIO È DEI TIFOSI
Io non lo so, non canto neanche il mio”, disse Mauro German Camoranesi, argentino naturalizzato, dal ritiro della nazionale durante i mondiali in Germania, riferendosi all’inno di Mameli.
Niente oltraggio, per carità, ma sicuramente mancanza di acume in conferenza stampa.
E no, il patriottismo non c’entra niente, e neanche lo stringersi intorno alla bandiera. Non siamo sul Piave, tranquilli.
C’entra invece l’attaccamento ai colori che si indossano. Stiamo parlando di professionisti, certo, di atleti che tirano calci a un pallone per mestiere. Per portare a casa la pagnotta, insomma. E quindi di persone che giocano prevalentemente per un bonifico.

Peccato però che il calcio è di proprietà di quelli che stanno fuori. Quelli, cioè, che per vedere le partite pagano e non sono pagati. E che soffrono sugli spalti e sul divano o gioiscono in piazza.
Ecco, queste persone meritano di tifare una squadra di club dove almeno il capitano sia attaccato i colori.
Ma soprattutto meritano di seguire una nazionale dove gli azzurri sono azzurri.

2. UNA SCELTA IPOCRITA
Il razzismo è un’altra cosa. L’ipocrisia, invece, è palpabile. E chi tira in ballo Francia e Germania non ha capito il focus del problema. Non è questione se sia giusto o meno integrare in nazionale le seconde generazioni di immigrati nate o, semplicemente, cresciute in Italia (romeni, albanesi, marocchini e tanti ragazzi di molte nazionalità che hanno frequentato le scuole nelle città dello stivale e hanno costruito qui la loro socialità).

Gli oriundi sono un’altra cosa. Sono stranieri che, non trovando spazio nella loro nazionale di riferimento, svernano nella più piccola Italia. Al di là di ogni definizione antropologicamente e legalmente ufficiale, questa è la realtà di fatto. Gli oriundi, nel calcio, sono questa cosa qui.
Facciamo fatica a integrare realmente i giovani nati e cresciuti qui, ma che magari si chiamano Dimitri o Mohammed. Loro sì che sarebbe bello vederli vestiti d’azzurro: ragazzi con una pelle o un taglio degli occhi diversi, ma con l’accento bergamasco e un diploma preso in un qualsiasi liceo Parini.

Ragionare altrimenti è come confondere la generazione migrante con quella Erasmus. Ad esempio, siamo perennemente terrorizzati dalle diversità culturali che i nuovi italiani possono darci. Ma allo stesso tempo restiamo ammaliati dagli italo-sudamericani, figli di un lignaggio vecchio di più di un secolo. Questo vuol dire stare immobili.
Il motore del progressismo italiano non è il nostro movimento calcistico: quello di Tavecchio, Lotito e Galliani. Non è da Eder in nazionale che passa la nostra evoluzione culturale.

3. AMOR PROPRIO SVENDUTO
Portereste mai a cena fuori la ragazza bruttina rimbalzata dal vostro cugino più bello? Non credo.
E nel caso lo faceste c’è una brutta notizia per voi: sareste una coppia triste.
Nessuno dei due vuole stare con l’altro, lei voleva vostro cugino e voi non volete restare soli. Che amarezza.
Quindi, pensate che se Eder avesse ricevuto una chiamata dal Brasile, avrebbe mai declinato per aspettare quella di Antonio Conte? E Vazquez, preferisce veramente Giaccherini a Messi?

Non si può pretendere di tornare a vincere, se prima non si riconquista un po’ di amor proprio. Ma per farlo occorrono sacrifici: investire nel settore giovanile, dare maggior prestigio a tutte le partite della nazionale e cambiare completamente la classe dirigente.
Certo, le regole danno ragione a Conte, ma Antonio deve scegliere se fare il C.T o semplicemente il burocrate.
Insomma, potremmo cercare un nuovo Baggio e invece guardiamo al vecchio Altafini.

4. I CALCIATORI RENDEREBBERO AL MEGLIO
Vestire i colori della propria nazione non è solamente una questione di forma. Ma per chi concepisce il calcio anche come adrenalina e grinta è un fattore aggiunto.
Si tratta di motivazioni: chissà se un oriundo riesce a mettere lo stesso cuore di, ad esempio, Gennaro Gattuso. Il calcio non è solo tecnica e tattica: l’emotività è importante.

5. NON STIAMO PARLANDO DI FENOMENI
Fermiamoci un attimo e riflettiamo. Per favore.
Stiamo parlando di Eder e Vazquez, mica di Messi e Neymar. Per gli ultimi due, probabilmente, Antonio Conte avrebbe dovuto chiedere l’invasione di Brasile e Argentina, in modo da poterli convocare.
Ma per gli altri? Ne vale davvero la pena?

Certo, il calcio è fatto anche di gregari e giocatori mediocri. Pretendere 11 fenomeni è eccessivo, non siamo mica tifosi del Real Madrid. Ma visto l’eco che questo dibattito ha avuto sui media sportivi, si sarebbe preferito che i nomi sulla bilancia fossero diversi.
E questo è triste. Perché dopo la soddisfazione nel vedere che i nostri club stanno iniziando ad onorare le competizioni internazionali, questo polverone è un passo indietro, l’ennesimo.
Così, per un Eder qualunque.

Andrea Dotti
@twitTagli

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