Il discorso di Giorgio Napolitano pronunciato ieri è stato assai denso di contenuti: il Presidente della repubblica ha tirato una bastonata a un nido di vespe, suscitando reazioni inviperite. Non sempre giustificate: perché è vero che Napolitano si muove con una disinvoltura e spregiudicatezza inedite per il suo ruolo, ma è anche vero che le condizioni sono da sei anni del tutto eccezionali.
Anche le penne più autorevoli cadono nel (troppo) facile gioco al massacro: una di queste è il raffinato corsivista de L’Espresso Alessandro Gilioli, il quale ha dato in pasto all’internet un suo articolo dal corrosivo titolo Debunking Napo.
Scopo del gioco: contestare molti passaggi del discorso presidenziale.
Ma a ogni obiezione si potrebbe dare una risposta. Sarà poi questione delle idee di ognuno capire se (e quanto) condividere dell’una o dell’altra impostazione.
Perciò: troverete le parti del discorso di Napolitano in grassetto; le contestazioni di Gilioli in rosso e in corsivo; le contro-obiezioni mie in carattere normale.
«Il forte consenso espressosi nelle elezioni del 25 maggio per il partito che guida il governo italiano ha oggettivamente garantito accresciuto ascolto e autorità all’Italia nel concerto europeo».
Mai successo dal ’53 che un partito fosse così oggettivamente maggioranza nel Paese, senza peraltro avere avversari politici. Una cosa del genere manco De Gasperi la poteva vantare.
«Il governo italiano ha potuto operare validamente, e con senso di maggior sicurezza, in un clima nuovo di attenzione, per porre al centro dello sforzo comune esigenze, elaborazioni, proposte per un nuovo corso delle politiche finanziarie e di bilancio dei Ventotto, oltre i limiti divenuti soffocanti e controproducenti della “austerità».
Certo. Ma Mario Monti è stato costretto a inventarselo: in quei giorni di spread tambureggiante Berlusconi andava messo da parte (e all’epoca eravamo tutti ben contenti), ma il Parlamento non era in grado di esprimere una maggioranza.
Bersani poi non voleva andare al voto.
Monti dal canto suo ha applicato le ricette dell’Europa di Barroso, cioé l’austerità dalla A alla Z – austerità che Napo Orso Capo ha criticato.
«Il tema delle riforme necessarie per determinare condizioni idonee allo sviluppo degli investimenti, alla creazione di nuovo lavoro, alla maggior produttività e competitività delle nostre economie ha oramai assunto dei contorni precisi, un’ampia articolazione concreta.
E in questo senso bisogna considerare il programma di riforme messo a fuoco dal Presidente Renzi e dal suo governo: si tratta di un programma vasto, da scaglionare nel tempo complessivo che lo stesso governo ha voluto assegnarsi: ma che ha dato il senso di quale cambiamento fosse divenuto indispensabile, e non più eludibile o rinviabile».
Non mi pare dica questo, questa è una libera interpretazione di Gilioli.
Napolitano dice semplicemente che la riforma del lavoro è necessaria e ineludibile – e su questo è sempre stata d’accordo anche la CGIL.
Prende poi atto che il Governo ha assunto su di sé l’onere di riformare questa materia.
Non vedo giudizi di merito da parte di Napolitano.
«Non posso non richiamare quanti vogliano mantenere e far registrare dissensi su questa riforma a non farlo con spregiudicate tattiche emendative che portino a colpire la coerenza sistematica della riforma».
Parliamoci chiaro: io sono contrario a questa riforma costituzionale, ma concordo con Napolitano. O sei contrario all’impianto totale della riforma oppure non fai battagliette.
E comunque, il senso della frase di Napolitano può essere visto anche dalla prospettiva opposta, e dunque un messaggio alla minoranza dem: “Dite chiaramente che siete contrari e che su questo impianto non siete d’accordo, non fate scaramucce sui senatori a vita facendo finta che sia una questione di merito”.
Insomma: Gilioli la vede in modo tranchant, ma la sua non è l’unica interpretazione possibile (e forse nemmeno la più giusta).
«Adoperarsi per tornare indietro rispetto alla oramai sancita trasformazione del Senato in espressione significherebbe solo vulnerare fatalmente la riforma, il suo senso, la sua efficacia.
Rispettare, pur nel dissenso, la coerenza delle riforme in gestazione – sul bicameralismo, sui rapporti tra Stato e Regioni, e anche sull’altro, fondamentale tema della legge elettorale – è un dovere di onestà politica e di serietà istituzionale».
Gilioli, non giochiamo a nascondino: l’abolizione del bicameralismo perfetto è nel programma del PCI dagli anni ’80.
Si tratta ovviamente di riformare la Costituzione in maniera efficace, evitando pasticci; ma essere contro all’abolizione del bicamerlismo perfetto, al momento, non è null’altro che una posizione strumentale.
Invece, per quanto riguarda la riforma del titolo V, è unanimemente riconosciuto che è stata una pessima revisione costituzionale: bisogna darle “una aggiustatina” (per essere gentili).
«Il governo ha mostrato un tasso di volontà riformatrice e di determinazione politica e istituzionale che ha riscosso riconoscimenti e aperture di credito assolutamente notevoli sul piano internazionale.
Si sono in sostanza messi in moto processi di cambiamento all’interno, e un fenomeno di attenzione fiduciosa dall’esterno».
Su questo Gilioli ha ragione: il Presidente esagera un po’.
(Ci sono) «sfide e rischi sul piano della sicurezza interna, cui bisogna dare maggiore attenzione non solo nel “giorno per giorno”, ma in termini strategici, dinanzi al manifestarsi e al fermentare di pulsioni violente e di tendenze alla delegittimazione delle nostre istituzioni, tra le quali le stesse forze di polizia».
Se i poliziotti menano, quindi, non si deve più dire.
Non credo si riferisse (solo) alla vicenda degli operai FIOM: ci sono stati anche altri focolai di tensione sociale. Si pensi alle sedi di partito assaltate, ai cantieri della Tav presidiati dall’esercito, al crescere del disagio nelle periferie e a altri piccoli episodi di questo stampo.
«Tutto ciò deve indurre al massimo senso del limite, al massimo rispetto della legge e del costume civile».
Va beh. Smontate le argomentazioni una per una questa tesi non sta più molto in piedi. Diciamo (cit.) che per fare prediche su quanto un Presidente è super partes o meno potrebbe giovare non partire prevenuti.
«Non possiamo essere ancora il Paese attraversato da discussioni che chiamerei ipotetiche: se, quando e come si possa o si voglia puntare su elezioni anticipate, da parte di chi e con quali intenti; o se soffino venti di scissione in questa o quella formazione politica, magari nello stesso partito di maggioranza relativa.
È solo tempo – e inchiostro – che si sottrae all’esame dei problemi reali, anche politici, che sono sul tappeto; è solo un confuso, nervoso agitarsi che torna ad evocare, in quanti seguono le vicende dell’Italia, lo spettro dell’instabilità».
Ci mancava, l’accusa di mettere la mordacchia.
Qui è evidente che Napolitano critica il mondo della politica e dei commentatori che reagiscono in maniera schizofrenica.
Il rischio è creare un circolo vizioso di depressione e ulteriore isteria, un circolo vizioso in cui del resto siamo già immersi, e sfido chiunque a negarlo. Vederci un attacco alla libertà di stampa mi pare grottesco.
Domenico Cerabona
@DomeCerabona