Quando il saggio indica Naomi Osaka, lo stolto chiacchiera su Serena Williams

Volevate l’ennesimo articolo su Serena Williams? Andate al diavolo.

Parlerò invece della superba giocatrice che si è consacrata agli US Open di Flushing Meadows, la prima dopo anni a portare ai massimi livelli del noiosissimo tennis femminile qualcosa di realmente nuovo. Ma qualcuno era troppo in balia dei trend di Twitter, troppo annebbiato dal gossip, troppo ingolosito dalla tentazione di lanciare a caso accuse di sessismo o dalla smania di ribaltare le stesse, magari rincarando la dose, per accorgersene.

E dire che Naomi Osaka era sotto gli occhi di tutti. Erano sotto gli occhi di tutti le sue traiettorie fatate, gli angoli ai limiti delle leggi della geometria, il talento puro, la sua gestualità eterodossa che ricorda, in certi dritti in equilibrio precario, Alexandr Dolgopolov, altro fantasista privo però di costanza e peso, il tutto unito a una poderosa potenza. Un cocktail esplosivo. Preziosa risposta al proliferare di quelle legioni di -ove e di -ine, fotocopia ciascuna di tutte le altre, che sono state la vera maledizione degli ultimi quindici anni di tennis.

Siete comunque ancora in tempo. Segnatevi il suo nome e seguite qualche sua partita in uno dei prossimi tornei. Garantisco che non sarà tempo sprecato.

Due parole anche sulla Regina

Quanto a Serena: dopo la semifinale persa nel 2015, sempre a Flushing Meadows, contro Roberta Vinci (non a caso, altra giocatrice capace di variare il gioco e di far spostare Serena lateralmente), non è più stata la stessa. Quella disfatta non l’ha mai digerita: ed è umano giacché, vincendo, avrebbe potuto giocarsi il Grande Slam da favorita, in finale, contro Flavia Pennetta. Anche senza questo incredibile risultato, la Regina resta comunque la giocatrice più forte della storia del tennis (la più forte: non necessariamente la più grande, concetto con tali connotazioni di epica e di poesia da essere appannaggio della sola Martina Navratilova).

Serena è stata, ed è tuttora, una giocatrice amatissima dalle colleghe. E si è quasi sempre comportata da gentildonna. In tutta la sua carriera. A quasi trentasette anni, avendo visto la morte in faccia e con una figlia nata da poco, è ancora la più forte del circuito. Fare chiacchiericcio sulle sue pur frequenti eclissi di autocontrollo è senz’altro un divertissement a rischio zero. Ma è altrettanto ingiusto che ignorare l’impresa della sua ultima avversaria, campionessa dal diritto al veleno e dagli occhi a mandorla.

Andrea Donna