
Nella gerarchia del prestigio geopolitico, il Caucaso non occupa spesso i primi posti, sorpassato dai suoi vicini mediorientali, dalla Russia e dai problemi della vecchia Europa.
A causa della sua inferiore priorità, finisce quindi per essere dimenticato e causare stupori o “Nagorno che?” tra i lettori che ne apprendono le ultime vicissitudini politiche. Come quella che riguarda il Nagorno-Karabakh, terra di tutti e nessuno, i cui confini sono contesi dall’Armenia e dall’Azerbaigian dall’inizio degli anni ’90.
Il territorio è formalmente azero ma popolato per la maggior parte da armeni, che nel 1991 indissero un referendum — boicottato dalla popolazione azera — per ottenere l’indipendenza; da lì al conflitto durato fino al 1994 che causò migliaia di morti il passo fu breve.
Nonostante l’“armenizzazione” della regione e il congelamento del conflitto, nessun paese salvo l’Armenia ha mai riconosciuto l’indipendenza del Nagorno-Karabakh, motivo per cui, nonostante il disinteressamento dei media, la regione è in realtà sempre stata oggetto di tensioni dopo il 1994.
Se il suo passato è indissolubilmente legato all’Unione Sovietica, il suo presente e il suo futuro sono invece legati a due altri Paesi, di cui i media nostrani parlano sempre con piacere: la Turchia e la Russia.
Quello che potrebbe apparire come un rapporto chiasmico tra super potenze e alleati “più piccoli”, in cui la Russia sosterrebbe l’Armenia e la Turchia l’Azerbaigian, ha in realtà in sé delle dinamiche e delle conseguenze molto più complesse.
Innanzitutto, nonostante la parziale veridicità di questo rapporto incrociato tra i quattro attori in scena, nessuna alleanza o “inimicizia” tra loro è mai stata assoluta o esclusiva.
Per esempio, se è vero che Mosca è un importante alleato armeno e nel Paese ha due basi militari e un certo numero di soldati schierati al confine, è altrettanto vero che per ragioni economiche (alias gas e petrolio) Mosca e Baku si sono trovate a siglare in passato più di un accordo economico [1], e attualmente Putin sta cercando di fare di tutto per evitare una degenerazione del conflitto, ponendosi come arbitro super partes.
Tuttavia, l’escalation di scontri nel Nagorno-Karabakh non potrebbe avvenire in un periodo peggiore per quanto riguarda le relazioni tra la Russia e la Turchia, dall’autunno 2015 ormai dichiaratamente in contrapposizione e sempre pronte a lanciarsi accuse reciproche dal palco della diplomazia internazionale.
Ancor più della questione delle guerre di procura di Ankara e Mosca, quello sui cui questo nuovo conflitto ci porta a riflettere è il valore e il significato che i concetti di frontiera e Stato-nazione hanno ai giorni nostri.
Essendo la frontiera una delimitazione spaziale poggiante su basi naturali (mari, fiumi, montagne, stretti, baie…) o politiche (divisioni etniche, culturali, linguistiche…), viene da chiedersi quale sia il rapporto tra queste frontiere e gli Stati-nazione che esse stesse delimitano.
Cosa porta un territorio a sentirsi parte integrante di uno stato, piuttosto che di un altro? Se secondo Renan lo Stato-nazione è il prodotto di un sentimento di appartenenza collettivo e spontaneo, secondo Fichte è il risultato di una condivisione di costumi, di lingua e di territorio, che porterebbe un insieme di individui a raggrupparsi entro una frontiera politica, indipendentemente da quelle territoriali/fisiche esistenti.
Il Kosovo, la Crimea, la Transnitria, l’Akhbazia, l’Ossezia sono tutti esempi che ci mostrano quanto sia fragile il rapporto tra frontiera e Stato-nazione nei territori ex-sovietici, e il Nagorno-Karabakh rappresenta l’ennesimo caso di incertezza identitaria del nostro secolo.
Come deve quindi comportarsi la comunità internazionale? Cos’ha più importanza: l’integrità territoriale di uno Stato o l’autodeterminazione dei popoli reclamata da Wilson?
Le rivendicazioni mosse dalle popolazioni in continuo fermento dei territori ex-sovietici mostrano ancora una volta i limiti che il consesso internazionale ha avuto in passato nell’imporre frontiere e appartenenze spesso non condivise dalle popolazioni coinvolte.
Questi errori di calcolo andrebbero oggi ammessi e rimediati, tenendo in conto di volta in volta delle diverse situazioni geopolitiche ed evitando un approccio univoco per ogni caso.
Un atteggiamento simile avrebbe il merito di evitare ulteriori conflitti futuri e impedire a questa regione di diventare una copia in scala minore dell’attuale caos mediorientale esploso per le stesse ragioni a pochi chilometri di distanza.
Elle Ti
[1] Nel 2009 la russa Gazprom ha firmato un accordo con la compagnia petrolifera azera SOCAR volto all’esportazione di 500 milioni cubici di gas azero in Russia.