I migliori film dell’anno in cui il cinema è morto

Già scrivo poco ultimamente, fatemi iniziare con una provocazione che sa tanto di “clickbaiting”, ma che in definitiva non è molto lontana dalla verità. Il 2020 e la pandemia hanno fatto tante vittime, e il cinema per come lo conosciamo è probabilmente una di queste. Il futuro dell’industria sembra sempre più direzionato al mercato del video-on-demand e alla trasformazione dell’esperienza della sala cinematografica come “evento” limitato, circoscritto ad occasioni e circostanze specifiche, forse non troppo dissimile a come è attualmente percepito il teatro. 

Detto questo, pandemia a parte, il 2020 cinematografico ha proposto alcuni dei miei film preferiti degli ultimi anni, un paio tranquillamente in grado di diventare piccoli “classici”: nonostante i limiti intrinsechi dell’offerta condizionati dalla chiusura delle sale, alcuni prodotti, anche di natura più indipendente e sperimentale, sono emersi in tutto il loro potenziale e si sono presi il “palcoscenico digitale”. 

La premessa, come al solito, è che questa top 10 è redatta sulla base di giudizi puramente soggettivi e non sto in alcun modo dicendo che Checco Zalone sia meglio di David Fincher. 

Anche se una collaborazione tra i due è solo questione di tempo. 

 

I miei 10 film preferiti del 2020

10. Tolo Tolo, di Checco Zalone

Uscito a inizio 2020, Tolo Tolo di Checco Zalone è il definitivo riscatto artistico di un comico di mezza età che è quasi sempre stato capace di far ridere, ma non ha mai brillato per la delicatezza o la puntualità del suo messaggio. Più che il film in sé, l’intera operazione legata a Tolo Tolo, dal marketing alle cosiddette controversie sul politicamente scorretto e sulla “svolta a sinistra” del suo autore, è una gigantesca prova di “trolling” ai danni del pubblico generalista e del principale target dei fan del comico pugliese. Per riassumere e banalizzare la premessa di Tolo Tolo, potrei dire che il suo pregio più grande è avere messo i migranti al centro della narrazione in un contesto sociale e culturale in cui il razzismo è quasi dato per scontato. Nessun comico di Zelig era mai riuscito a fare incazzare così tanto i leghisti, e questa non mi sembra una cosa da poco. È satira dozzinale, superficiale e populista? Forse, ma è anche il meglio che l’Italia abbia da proporre in questo momento. 

 

9. Freaky, di Christopher Landon

Freaky è il mio horror preferito del 2020. È un film adorabile e spassoso, esattamente come le opere precedenti di Christopher Landon (in particolare il secondo Happy Death Day, capolavoro non abbastanza chiacchierato dell’anno scorso). In Freaky, Landon riprende le stesse atmosfere e lo stesso linguaggio scanzonato, costantemente in equilibrio tra horror e commedia, per raccontare una storia che parte dalla classica premessa dello “scambio di corpi” e coinvolge un serial killer e una teenager. Il corpaccione robusto di Vince Vaughn è utilizzato alla grande e la protagonista Kathryn Newton è una rivelazione. 

 

8. Soul, di Pete Docter e Kemp Powers

Soul è tra i migliori film Pixar degli ultimi anni e forse una delle massime vette mai raggiunte dal grande studio di animazione americano. È un film maturo, profondo e poco per ragazzi e riprende un particolare filo tematico che era già presente in Onward, Inside Out e Coco con cui condivide, oltre che la maturità, anche una certa “morbosità”. Parlare di morte al cinema, e con lo strumento dell’animazione in particolare, non è mai semplice; una simile padronanza del mezzo e una delicatezza di contenuti di questa portata rappresentano una sfida vinta su tutta la linea. C’è poco da dire su Soul: basta guardarlo. 

 

7. The Assistant, di Kitty Green

The Assistant è l’apoteosi del minimalismo. È un film essenziale, asciutto come il deserto e teso come la corda di un violino, che riduce l’ambientazione a poco più di un ufficio, una scrivania e poche inquadrature fisse. È anche una splendida trattazione del tema “molestie sul luogo di lavoro” che non scivola mai nel melodramma ma anzi lavora puramente di sottrazione, raccontando una storia ambigua e piena di sfumature, un thriller psicologico che praticamente non si alza mai dalla sedia. 

 

6. I’m thinking of ending things, di Charlie Kaufman 

“Sto pensando di finirla qui”, come da traduzione italiana, è il terzo film da regista di Charlie Kaufman, opzionato e distribuito da Netflix in autunno 2020. In una carriera fatta di storie meta-cinematografiche, cerebrali fino al limite dell’arido e a volte un filo maschiliste, l’ultimo lavoro di Kaufman è angosciante e molto spesso spaventoso, ma è anche commovente e trascinante. È il film di un artista noto per essere prima di tutto un grande scrittore, ma la sua componente visiva è talmente suggestiva da superare l’ambizione del semplice dialogo. Jessie Buckley fa una delle interpretazioni più interessanti dell’anno. 

 

5. Boys State, di Amanda McBaine e Jesse Moss

Boys State è un documentario distribuito in esclusiva da Apple TV+ e racconta di una specie di campo estivo per liceali del Texas in cui si svolge una grande simulazione del sistema elettorale per eleggere il governatore dello stato, a cui i ragazzi partecipano tra assemblee di partito, primarie, election nights e partite di football in cui i meno popolari fanno lobbying per i più carismatici. È un affresco incredibilmente accurato dell’America di oggi (il film è stato girato nel 2018) e introduce personaggi complessi e interessantissimi, seguendoli in un viaggio elettorale e personale al tempo stesso. È un ritratto intimo e umano e una gigantesca metafora al tempo stesso, ed è un titolo praticamente imperdibile per chiunque abbia seguito qualcosa della politica americana recente. 

 

4. Il processo ai Chicago 7, di Aaron Sorkin

Cosa si può dire di The Trial of the Chicago 7, se non che si tratta di uno dei migliori film dell’anno e uno dei migliori script del grande Aaron Sorkin? Se non fosse per gli altri 2-3 capolavori che lo precedono in classifica, sarebbe il mio film del 2020; ma in ogni caso, il secondo film da regista di Sorkin è un legal drama tratto da una vicenda storica realmente accaduta nella quale l’autore di West Wing e The Social Network può scatenare a pieno il suo spirito da progressista militante. The Trial of the Chicago 7 è praticamente pornografia per gente di sinistra, ma pornografia di livello altissimo: la forza dei dialoghi e la gestione degli aspetti più comici e grotteschi del processo rendono il film un’esperienza non solo istruttiva ma anche di grande intrattenimento. 

 

3. Palm Springs, di Max Barbakow

Palm Springs è la commedia romantica dell’anno, forse degli ultimi 10 anni. È una sceneggiatura intelligente, leggera, gradevole e dannatamente divertente che si sviluppa in un gioco di incastri da “giorno della marmotta” e prende strade inaspettate ed esaltanti. È un’esperienza gioiosa ma anche malinconica, in cui il budget limitato e le poche risorse a disposizione non rappresentano mai una criticità, ma anzi la quasi unità di luogo diventa un pretesto narrativo fondamentale. Il film è trainato da dialoghi brillanti e dalla forza di due interpreti con una grandissima alchimia di fondo, tempi comici perfetti e una gestione precisissima dell’elemento “paranormale” presente nella storia. In un anno in cui le uscite in sala sono state davvero poche, Palm Springs si è preso il lusso di uscire persino in Italia verso l’autunno, restando nei cinema quei 4 giorni necessari a farlo dimenticare quasi a tutti. In realtà si tratta di uno dei pochi, veri prodotti imperdibili del 2020. 

 

2. Druk, di Thomas Vinterberg

Druk (“Un altro giro” in italiano), film danese dell’esperto fillmmaker Thomas Vinterberg, è il vero grande “capolavoro” con la C maiuscola del 2020. È un miracolo di equilibrio di tono, struttura, personalità, sfera emotiva e messa in scena, un film che prende la storia di uomini ordinari e quasi “banali”, medio-borghesia danese da insegnanti del liceo disillusi e annoiati, e la trasforma in una sontuosa sinfonia sospesa tra il tragico e il comico in cui l’alcol e l’amore per il bere vengono celebrati e condannati allo stesso tempo. Mads Mikkelsen è straordinario, misurato ma sempre pronto a esplodere fino ad una delle sequenze finali più memorabili che ricordi da tanto tempo a questa parte. 

 

1. Black Bear, di Lawrence Michael Levine

Avete presente quel genere di opera artistica che si installa nella tua coscienza l’istante dopo averlo concluso, quasi come se fosse un virus, e continua a farti compagnia per settimane? Black Bear è un film indipendente americano che ha avuto un moderato successo di critica nella seconda parte di quest’anno, e da noi chissà quando e se mai uscirà. Ma è anche la più intensa “esperienza cinematografica” che abbia avuto nel 2020: è un’indefinibile via di mezzo tra dramma sentimentale, thriller e racconto meta-cinematografico che sfocia nella libera sperimentazione, che detto così sembrerebbe un polpettone indigesto ma invece scivola via con una velocità e un impatto emotivo devastanti. È fondamentalmente la semplice storia di un triangolo sentimentale di cui vengono esplorati due lati diversi, in cui la protagonista è interpretata da un’Aubrey Plaza mai così brava. Ha una premessa da pièce teatrale e un respiro drammatico da film catastrofico, in cui ogni momento e ogni conflitto, anche il più banale, sembrano sul punto di esplodere in qualcosa di più grande dei personaggi che lo vivono. È abbastanza difficile dire di cosa parli Black Bear, se non forse del rapporto tra processo artistico e vita di coppia, ma non siate alienati da questa mini-recensione: ognuno potrebbe trovarci qualcosa di personale e interessante, e per questo motivo sta al primo posto della mia classifica. 

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