Messi, il migliore di sempre

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Che vi piaccia o non vi piaccia, state ammirando il più grande giocatore di tutti i tempi. È Lionel Messi, fatevene una ragione. Se la facciano i Peleofili (lo ero in tenerà età), se la facciano i Maradonofili (lo ero al liceo, nonostante qualche flirt con Cruyff e George Best sparso qui e là). Messì è il migliore di tutti, da anni. Lo dicono all’unisono il palmares, i dati nudi e crudi e la necessaria evoluzione del calcio. Messi è migliore di Maradona per lo stesso motivo per cui Maradona era meglio di Pelè: respiro internazionale e progresso tecnico-tattico del gioco.

In un gioco localista e primitivo, Pelé fece storia: primo “atleta” in senso moderno, prima icona, primo brand della storia. Milleduecentottantuno gol segnati, senza contare gli assist; settantacinque in un solo anno solare: tre mondiali vinti (Svezia ’58, Cile ’62 e Messico ’70), una longevità sportiva impressionante, una incisività in gara mai vista prima. Ma era un calcio lattante, in un Paese provinciale: il Brasilerao è a tutt’oggi inguardabile, con una incapacità totale del centrocampo di fungere da schermo alla difesa in maniera decente. In Brasile, nel 2012, si difende ancora sostanzialmente in cinque/sei: i due centrali difensivi (raramente in linea), il terzino della fascia attaccata, il mediano, se si è fortunati l’esterno alto della fascia attaccata, se si è estremamente fortunati l’altro mediano. Il resto della squadra trotterella, nonostante siano passati Rinus Michels (il teorizzatore del Calcio Totale dell’Arancia Meccanica, l’Olanda di Cruyff) e Arrigo Sacchi, che sta alla tattica calcistica come Heinz Guderian a quella militare. Figuriamoci cos’era il calcio prima della teorizzazione del pressing a tutto campo, prima delle difese rocciose a 4, quasi in linea, e soprattutto in Brasile.

Maradona, che si ritroverà a giocare un gioco molto più tattico che tecnico, impose la sua classe conducendo una vita lontana anni luce dall’ascetismo: imprendibile, geniale. Numeri più “umani” (o forse semplicemente “moderni”) sul suo tabellino, ed un Mondiale vinto prendendo per mano l’Albiceleste. Ma la favola che “Maradona giocava da solo” è una sciocchezza, sia in nazionale che nel club: l’Argentina del 1986 era prima di tutto equilibrata, con un meraviglioso numero 9 di nome Jorge Valdano a fare da spalla a Diego, ed una Seleccion talentuosa e scorbutica, con Batista, Passarella e Burruchaga a dare sostanza ed estro; il Napoli aveva un tridente formidabile, con Giordano e Careca, una difesa solida e gente come Alemao, Bagni e Ferrara. Semplicemente, non è vero, non giocava da solo.

Leo Messi coniuga l’implacabilità sotto porta (76 gol in un anno solare), il palmares nazionale e internazionale (tre Champions League), una esplosività nel breve devastante, nonostante il calcio si sia estremamente velocizzato. Messi dribbla come Maradona, ma i suoi avversari vanno due volte più veloce che negli anni ‘80. Segna come Pelé, ma le difese sono organizzate meglio. Non ha (ancora) vinto un Mondiale, ma è marginale: il livello tecnico e fisico della Coppa del Mondo è basso, lo è sempre stato: è vero che ci sono tutti i più forti, ma è anche vero che ci sono squadre molto più abbordabili (una “scarsa” al Mondiale è meno tignosa di una “scarsa” in Champions, già solo in quanto organizzazione di gioco), e giocare con una frequenza quasi sincopata rallenta i ritmi e abbassa la qualità media delle azioni.

Si può criticare Messi: gioca in una squadra di fenomeni; per valutarlo effettivamente dovrebbe misurarsi nel campionato tatticamente più preparato (quello italiano: e con le italiane, solo un gol su rigore in sei partite); ha poca arroganza. È tutto vero, Messi non è perfetto: ma finora è il migliore che abbiamo mai visto.

Umberto Mangiardi 
@UMangiardi

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