Medio Oriente oggi: l’innovazione degli armamenti dà nuova linfa al conflitto

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Il 14 novembre 2012 un drone Hermes 450 israeliano uccide Ahmed Jabari, capo militare di Hamas e sovrintendente del piano di formazione dell’arsenale missilistico, in gran parte forniti dall’Iran (Fajr-5) ed in parte prodotti localmente (M-75): questi ordigni sono in grado di colpire obiettivi fino a 72 km di distanza.
Da questo episodio prende origine l’ennesima settimana di sangue di Gaza, conclusa con l’armistizio del 21 novembre e la morte di 140 palestinesi, più della metà dei quali civili, e di soli 5 israeliani.
La differenza del numero delle vittime è tanto più significativa se si considera che, in una settimana, dalla striscia di Gaza sono stati lanciati 1.262 missili verso Israele.

Questa attenzione alle armi in campo è molto importante, in quanto si è aperta una nuova fase del confronto, in gran parte dovuta ai profondi cambiamenti avvenuti nel mondo arabo circostante, ma anche nelle nuove tecnologie belliche impiegate, il cui controllo è destinato a giocare un ruolo decisivo nelle trattative di pace.

Il numero di missili lanciati da Gaza verso Israele negli ultimi sei anni viene valutato in circa 12.000, con la differenza che fino a qualche anno fa i missili erano decisamente ‘artigianali’ ed avevano una gettata limitata di 20 km circa – quindi in grado di colpire insediamenti agricoli e città di media grandezza (Ashkelon con 118.000 abitanti è la più vicina e colpita).
Ora invece l’Iran, passando dalla pista del Sahara dal Sudan al Sinai,  fornisce missili in grado di colpire Tel Aviv ed anche Gerusalemme.

Il fatto che ha convinto Israele della necessità di contromosse strategiche è però stata la guerra del Libano del 2006, durante la quale Hezbollah ha lanciato oltre il confine nord 4.000 razzi Katusha, uccidendo 44 civili e provocando lo sfollamento di 250.000 persone al di là della linea di portata. 
La risposta è stata la progettazione e costruzione dell’Iron Dome, letteralmente ‘Cupola di ferro’, un sistema che individua automaticamente la traiettoria dei missili e lancia loro contro dei razzi intercettatori che li distruggono in volo.
Con questo sistema, dei 1.262 missili lanciati da Gaza, 844 sono stati intercettati e distrutti, mentre 418 sono stati lasciati passare perché diretti su bersagli inoffensivi.

Questo è il nuovo quadro del conflitto, che ha fatto un ‘salto’ tecnologico – e pensavamo fosse possibile solo al cinema, invece è già realtà, dai droni senza pilota ai missili teleguidati, ai razzi ‘intelligenti’ e quant’altro.
Sembra quasi inutile osservare che, più le bombe partono da lontano, più viene meno ogni rapporto umano fra chi le lancia e le vittime: nessuno vede l’altro.
Gli effetti sono ormai solo mostrati dalla televisione, che è ormai l’unica a decidere chi e cosa dobbiamo vedere e sapere.

L’altra novità (chiamiamola così) è che l’assalto a Gaza perpetrato dai falchi di Israele ha avuto come conseguenza di compattare il fronte avversario, mettendo d’accordo gli estremisti di Hamas (che governano Gaza) con i moderati di Fatah (che governano la Cisgiordania, antica Giudea e Samaria), costretti a seguire i sentimenti sempre più favorevoli ad Hamas, tanto che se non vi fosse stato l’armistizio, probabilmente la rivolta si sarebbe estesa anche alla Cisgiordania.

C’è poi la situazione del mondo arabo che ha visto l’avanzata generalizzata dei partiti islamici, che hanno procurato ad Hamas amici ricchi e potenti, a cominciare dalla Turchia, fino a poco tempo fa lo stato mussulmano alleato di Israele, dal Quatar e, soprattutto, dall’Egitto dove i Fratelli Mussulmani sono cresciuti di influenza.
Il quadro è tale che trasforma il ruolo di Hamas, da un gruppo ai limiti del terrorismo a forza politica sempre più influente, con un piano preciso di accerchiamento di Israele (dal Libano di Hezbollah, alla Siria con i ribelli islamici contro Assad, alle minacce al Re di Giordania, fino all’Egitto).

Questo significa che, se nel breve termine Israele è in grado di reggere l’assedio in quanto in possesso delle più raffinate tecnologie di difesa e di attacco (oltre che del famigerato muro di cemento, il quale – bisogna dirlo – ha praticamente azzerato gli attentati suicidi nelle città), nel medio-lungo periodo è impossibile non arrivare ad un punto in cui gli Arabi accettano l’esistenza di Israele e questo accetta la formazione di uno Stato Palestinese basato sul principio di autodeterminazione dei popoli.

C’è un grande assente in questa ultima fase del conflitto medio-orientale, gli Stati Uniti, senza i quali ogni ricomposizione è impossibile.
Il Presidente Obama ha assunto un atteggiamento staccato nei confronti della politica estera: si interviene dove ci sono interessi diretti dell’America, magari con attacchi mirati con droni, in modo da minimizzare le vittime americane; ma, in generale la Casa Bianca tiene un basso profilo su quasi tutto.
La soluzione verrà solo da un’iniziativa molto decisa, in termini politico-militare-economici, degli Stati Uniti: gli unici che hanno la forza, l’autorità ed i soldi per imporre una pace condivisa.

Loris Dadam
@twitTagli

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