Alcuni lo conoscono come “colui che appende finti bambini impiccati sugli alberi” (Untitled, 2004), altri come l’artista che usa cavalli e scoiattoli imbalsamati per fare opere d’arte. Moltissimi hanno visto almeno una volta Him (2001), la riproduzione di un Adolf Hitler inginocchiato e piangente, stupefacentemente somigliante all’originale, che al momento semina zizzania a Varsavia avendolo il suo creatore temporaneamente collocato all’interno del ghetto in cui migliaia di ebrei furono uccisi, come la storia insegna.
Maurizio Cattelan ha ormai 53 anni e nel 2012 aveva dichiarato che sarebbe andato in pensione dopo l’esposizione al Guggenheim di New York protrattasi fino al 4 Gennaio dello stesso anno; invece no, sorpresa, il provocatorio padovano tornerà a esporre a Basilea alla fondazione Beleyer dall’8 Giugno al 6 Ottobre 2013.
Si possono dire molte cose sull’idea di arte trasmessa dalle opere cattelaniane ma non che si tratti di opere banali e men che meno si può osservare il suo lavoro e dichiarare “potevo farlo anch’io”, come onestamente pensa buona parte del pubblico pagante di molte mostre contemporanee. Maurizio Cattelan sostiene di non voler provocare ma viene difficile pensare che appendere tre fantocci a forma di bambini dalle fattezze iperrealistiche ad un albero vicino a Porta Ticinese a Milano non susciti una qualche reazione – e difatti accadde in quell’ occasione che un passante inorridito tentò di togliere i fantocci e si ferì lievemente – ma non si può nemmeno definire il suo lavoro come una provocazione fine a se stessa. C’è una ricerca artistica fine e accurata in lavori come Him (2001) o La Nona Ora (1999) ovvero la rappresentazione di Papa Giovanni Paolo II accasciato a terra e colpito da un meteorite: se per molte manifestazioni artistiche contemporanee potrebbe valere pensare che parte dell’opera sia creata dal fatto che venga vista all’interno di una galleria o simili e che quindi sia lo spettatore stesso a crearla in quanto influenzato dal contesto, ciò non vale per molte opere cattelaniane. Provate a immaginare il Papa riverso sul pavimento del vostro salotto o Adolf Hitler che piange e prega nella vostra cucina (e la verosimiglianza è tale che vi sembrerà proprio lui); vi farà lo stesso potente e violento effetto.
Per ogni critico che si spertica in lodi nei suoi confronti c’è sempre qualcuno che si arrampica sugli alberi per levare le sue installazioni o storce la bocca davanti ad un cavallo imbalsamato o a un dito medio gigante esposto sulla pubblica piazza ( L.O.V.E. , 2011); decidere in questa sede da che parte sarebbe opportuno stare e perché non ha senso. Ha senso invece riflettere sul come in questo caso una delle grandi leggi del mondo di tutte le arti ha un senso: il lavoro di Cattelan è fatto da chi lo ammira – o guarda con disprezzo – più che da chi lo crea. Untitled non avrebbe la stessa intensità e lo stesso valore artistico se uno spettatore non avesse cercato di boicottarla.
L’arte è qui insita nella tentazione che si ha di tirare un calcio al piccolo e fasullo Hitler pregante, o nella forza emotiva scatenata dal vedere un cavallo – un cavallo vero, morto ma vero – appeso al soffitto di una delle sfarzose sale del museo del Castello di Rivoli (Trostky, 1997). Che ci piaccia o no, dal 1991 Cattelan crea le sue opere nella stessa misura in cui chi le vede crea a sua volta il fenomeno Cattelan con tutto i disprezzo e le polemiche che comporta. A quanto pare detto meccanismo ha funzionato e funziona talmente bene da indurre un artista in fase di pensionamento a rimettersi in gioco per l’ennesima volta.
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