
Non serve citare Spiderman per comprendere come qualsiasi forma di potere (politico, economico, ecc.) implichi sempre delle responsabilità. Gli antichi avevano ben presente la stretta interconnessione fra questi due elementi, un binomio essenziale per la coesione sociale che oggi abbiamo purtroppo quasi del tutto perso di vista.
I ricchi notabili dell’antica Atene e della Roma imperiale, ad esempio, erano chiamati a utilizzare parte del loro patrimonio per spese di pubblica utilità per la cittadinanza. In Grecia la legge li obbligava ad assumersi gli oneri finanziari degli spettacoli teatrali (la coregia); nell’Impero i membri delle classi benestanti facevano a gara per apparire munifici e liberali, erigendo monumenti (terme, templi) o persino assicurando gli approvvigionamenti di grano alla città. Vigeva, quindi, il principio civico che «se gli uomini accumulano ricchezze, è per arrivare agli onori e contribuire alle spese pubbliche», come scriveva Luciano. Al netto degli interessi elettorali e delle aspirazioni di gloria dei singoli, le donazioni private costituivano, quindi, una fonte irrinunciabile per il benessere della collettività, trasformandosi in un inedito punto di incontro fra vizi privati e pubbliche virtù.
Persino i politici non erano esenti dalle responsabilità civiche. Sempre ad Atene, chi aveva ricoperto incarichi elettivi veniva, al termine del mandato, sottoposto a una sorta di processo, che prevedeva il congelamento del patrimonio e il divieto di abbandonare la città, finché non fosse stata accertata l’assenza di reati commessi durante l’espletamento delle funzioni pubbliche.
Senza arrivare a certi estremismi (si può facilmente immaginare cosa accadrebbe in Italia se tutti i politici fossero preventivamente messi alla sbarra per verificare eventuali tracce di corruzione), sarebbe comunque auspicabile che il valore della responsabilità per chi detiene posizioni di potere tornasse in auge. Nella nostra epoca, infatti, assistiamo a un progressivo indebolimento delle conquiste sociali faticosamente raggiunte negli ultimi due secoli. I diritti, da quello al lavoro a quello al welfare, sono a poco a poco svuotati in nome dei sacrifici da compiere sull’altare della crisi economica. Le responsabilità sociali della crisi, insomma, hanno finito per ricadere non sui potenti, che avevano la forza per scongiurarla o, quanto meno, per mitigarne gli effetti, ma sui deboli, che hanno assistito da un lato a un indebolimento dei propri diritti e, dall’altro, a un inasprimento dei propri doveri.
In questo senso, il ruolo di un’economia sempre più deumanizzata è stato preponderante. La democrazia del ventunesimo secolo, a causa dei suoi intrecci con l’economia, soprattutto quella della grande finanza, si sta trasformando in una forma di governo a responsabilità limitata, in cui non c’è un cittadino che esercita i propri diritti, ma a contare è, al contrario, il campione di un sondaggio pre-elettorale, sul cui orientamento vengono poi strutturate le campagne politiche. Parallelamente, i giganti della finanza spingono per la abbattimento delle garanzie democratiche a tutela dei cittadini, come rivela un documento di un anno fa della banca d’affari Jp Morgan che vedeva nelle costituzioni europee un ostacolo alle riforme di austerity.
Si sta, perciò, scavando un profondo iato tra chi detiene il potere economico-politico e chi non lo possiede, un divario che annulla quel principio della responsabilità che favorisce la tenuta delle società. Una delle cause principali è, senza dubbio, la globalizzazione che, se per alcuni versi ha aperto le frontiere nazionali permettendo l’incontro fra più culture, per altri le ha invece messe in crisi, istituendo una legge della giungla in cui è il più forte a trionfare. La questione dell’immigrazione è, a questo proposito, esemplare. Spesso si ripete con molta retorica che è necessario innalzare barriere contro le orde di migranti che approdano sulle nostre coste e che, se si vuole aiutarli, bisogna farlo a casa loro. Ma nessuno, invece, si accorge che gli sbarchi sono soprattutto il frutto dell’abbattimento di un’altra barriera, quella che impediva ai capitali di circolare senza controlli in tutto il mondo e che, una volta smantellata, ha messo in concorrenza fra loro i poveri di ogni nazione.
Ancora una volta, così, l’ideale della responsabilità viene svilito per diventare oggetto dell’ennesimo gioco di potere.
Jacopo Di Miceli
@twitTagli