Non sembra vero, ma da quel giorno sono passati ormai tanti anni. Da quel giorno in cui la tua breve vita volò via con la stessa agilità con cui lasciavi dietro i tuoi avversari sulle salite.
E di salite ne aveva scalate tante Marco Pantani, prima di diventare il Pirata, prima di essere il grande campione che era, prima che i suoi vizi – la cocaina – prendessero il sopravvento su quella figura fragile e minuta; su quell’accento romagnolo che emergeva da quella voce stanca. Pantani era così: con i suoi pregi e i suoi difetti quasi all’opposto, caratteristica che non ci siamo stufati di trovare e ritrovare in altri grandi campioni (Maradona, Best, Gascoigne…).
É difficile descrivere la sua vita in un solo articolo. Servirebbe un libro intero a riassumere tutta la sua pur breve carriera, le sue imprese titaniche, le sue nottate in discoteca, le vittorie, le sconfitte e gli incidenti. Marco non aveva vinto tantissimo, a dir la verità: non certo ai livelli di Bartali, Coppi, Indurain o il cannibale Eddy Merckx. Ma Pantani era davvero un Campione, con la C maiuscola.
Era nato a Cesena, nel 1970, nella Romagna: la terra dei motori per antonomasia e del calcio. E Pantani aveva iniziato come calciatore, fino a quando nonno Sotero gli regalò una bicicletta. Da quel giorno – ma nessuno lo poteva sapere – era iniziato il conto alla rovescia con il destino. Nel 1990 arriva terzo al Giro d’Italia dilettanti, nel 1991 secondo e nel 1992 vince. L’anno dopo passa professionista con la Carrera. Nel 1994 quel ragazzino di 24 anni vince a Merano, ma soprattutto all’Aprica.
Per chi ama questo sport, l’Aprica vuol dire sofferenza: prima di arrivare qui infatti i corridori devono passare il Mortirolo, una montagna sacra per chi va in bici, con il 19% di pendenza massima e con dei tratti che arrivano al 15% di media. Erano in tre su quella salita: Pantani, Berzin (che quell’anno avrebbe vinto il Giro) e Indurain (il più forte di quel tempo). Marco scatta in faccia ad entrambi e nessuno dei due ha la forza di tenerlo, ma poi si fa riprendere in discesa. La salita decisiva è proprio quella per arrivare all’Aprica. Teoricamente, niente in confronto al Mortirolo: ma se sei in riserva, al lumicino delle forze, anche quello strappettino può diventare un inferno. E Marco scatta di nuovo: né Indurain, né Berzin lo vanno a riprendere.
Quell’anno Pantani arriverà secondo al Giro d’Italia, davanti ad Indurain, Tonkov e il suo “capitano”, il “diablo” Claudio Chiappucci. Arriverà anche il terzo posto al Tour de France dietro a Indurain e Ugrumov e la maglia bianca come miglior giovane.
Il 1995 invece è l’anno dei due infortuni: il primo, un banale incidente stradale con un’auto,lo costringe a saltare il Giro d’Italia. Al Tour non è alle migliori condizioni, ma vince una tappa – quella più importante che finisce sulla Montagna Sacra del ciclismo, l’Alpe d’Huez. Su quella montagna a 13 km dal traguardo Pantani scatta lasciandosi dietro gli avversari (l’ultimo che gli resiste è l’italiano Gotti) e va a prendersi una bellissima vittoria.
Nel campionato del Mondo arriva terzo in Colombia a Duitama (poteva vincerlo, era un tracciato da scalatori – ma la pioggia lo costringe alla prudenza). L’infortunio terribile arriva in Piemonte, nella Milano-Torino a novembre: durante la discesa della Maddalena, sulla collina torinese, un automobilista esce da casa sua (incidente inspiegabile) e Pantani a tutta velocità sulla discesa centra in pieno l’automobile, rompendosi la gamba in più punti.
Ma come Goicoechea non riuscì a fermare Maradona, questa frattura non ferma Marco. Torna dopo 5 mesi, ma nel 1996 fa poco o niente per riprendersi dall’infortunio. Il 1997 sembra l’anno giusto, ma in una tappa poco importante un gatto gli attraversa la strada e lui cade a terra lacerandosi le fibre muscolari della coscia. Torna per il Tour, dove di nuovo stacca tutti sull’Alpe d’Huez, percorrendo la montagna in 37 minuti e 35 secondi, un record ancora imbattuto (Armstrong riuscirà a fare solo 37’36’’). Eppure nemmeno questo basta per vincere il Tour: arriverà terzo dietro Jan Ullrich e Richard Virenque.
L’anno della gloria è il 1998, quando vince Giro e Tour vincendo a Sella Val Gardena, sull’Alpe di Pampeago e sul Galibier. Nel 1999 poteva arrivare il bis, grazie anche ad un’impresa storica (7:55 di pura follia)
Ovvero Oropa: la catena della bici salta sulle pendici della salita, e Marco si attarda rispetto al gruppo. Poi li riprende uno ad uno, da solo. Fino al punto di non ritorno. Siamo a Madonna di Campiglio, Pantani viene fermato da un controllo antidoping: l’ematocrito infatti è di 52, mentre il limite di 50 (ironia della sorte, pochi anni dopo questo limite verrà alzato, beffardamente, proprio a 52). Pantani viene fermato per 15 giorni: la motivazione ufficiale tenta di salvaguardarne l’immagine, lo stop non è per doping ma “per salvaguardare la sua salute”. Il pirata però crolla: si ritira dal Giro perché è costretto, non correrà il Tour perché è distrutto. È una sua scelta, nel momento peggiore, in cui medita concretamente il ritiro. Iniziano qui i primi segni della depressione.
Invece Marco torna: nel 2000 al Giro si mette a disposizione di Stefano Garzelli (che vincerà la maglia rosa); il Tour invece lo vede trionfare in due tappe, due straordinarie imprese. La prima sul Mont Ventoux, la seconda a Courchevel, furibondo dopo le dichiarazioni di Armstrong (“Sul Ventoux l’ho lasciato vincere”: sempre un signore, il texano).
Prova a vincerlo, quel Tour: sarebbe la risposta migliore. Cerca di recuperare il distacco da Armstrong, ma la dissenteria lo ferma e lo costringe al ritiro.
La depressione è una malattia complicata, ed è quasi sacrilego provare a parlarne in un articolo di commemorazione. È un qualcosa di più grande di noi: non quella di Marco; proprio la depressione in sé. La malattia lo trascina sempre più in giù: parteciperà al Giro del 2001 e del 2003, ma con scarsi risultati. La malattia trova due perfidi complici nell’abuso di cocaina e di alcool. Il 14 febbraio Marco viene trovato morto in un stanza di residence di Rimini. Solo.
Il verdetto è una stilettata al cuore: overdose di cocaina. Così se ne era andato, a 34 anni in una stanza di albergo. Marco è stato il Kurt Cobain della bicicletta: aveva vinto tutto subito; poi, ci ha lasciato con quel vuoto incolmabile.
Alessandro Sabatino
@twitTagli