Iniziamo con una doverosa premessa: questo post non intende essere di apologia a nessun tipo di reato o di atto violento, ma solo un’analisi delle motivazioni psicologiche che hanno portato le manifestazioni di ieri a degenerare quasi ovunque in guerriglia urbana.
Detto (doverosamente) ciò, proviamo a metterci un attimo nei panni di un manifestante quadratico medio, come il sottoscritto è stato negli anni passati, soprattutto quando era in fase di approvazione l’aborto-Gelmini (che non chiamerò riforma per un doveroso senso di rispetto verso l’etimologia del termine).
Il contesto sociale, da cui nascono queste manifestazioni con forte tendenza al degenero, è costituito da Italia, Europa e quella buona parte del pianeta che si trova (ancora) in una forte crisi economica. La disoccupazione sale, la ricchezza si polarizza, il costo della vita aumenta, e via dicendo: tutti conosciamo le cause del malessere popolare.
Dallo scontento nasce, come è naturale, la voglia di reagire, di combattere, di non rassegnarsi; di comunicare il proprio malessere e, eventualmente, il proprio dissenso verso politiche che vengono ritenute depressive.
Quindi, di manifestare.
Manifestare è un diritto garantito dalla Costituzione, e così ci si organizza un po’: un bel giorno si scende in piazza tutti assieme (studenti, precari, dipendenti pubblici, operai, etc.) e si sfila elegantemente per le città muniti di tanti bei cartelli colorati, con slogan altrettanto coloriti.
Dopodiché cosa succede? Beh, è semplice: niente. Il governo prende atto del fatto che c’è stata una manifestazione, con un commento che immagino debba suonare molto simile a un “Eh, vabbeh…“, e tutto continua ad essere come prima.
Ma come? – penserà il nostro individuo quadratico medio – i nostri nonni e i nostri genitori manifestando hanno ottenuto il riconoscimento dei diritti dei lavoratori, e noi non riusciamo a fare nulla?
Non è che per caso loro manifestavano un pochino più incazzati?
Manifestazione dopo manifestazione, qualcuno inizia a crederci davvero, e così inizia a partire qualche sanpietrino, qualche uovo… e di colpo, le manifestazioni diventano la prima notizia del Tg serale.
Purtroppo, è noto che manifestare in maniera violenta non serve a nulla, se non a fornire false giustificazioni a chi propugna politiche reazionarie, ma il manifestante questo non lo sa, e persuaso del principio “bene o male, purché se ne parli”, comincia a credere che manifestare con violenza possa servire maggiormente allo scopo.
Ora: proviamo ad esacerbare un attimino le condizioni, e proviamo ad ambientare la situazione in un Paese ipotetico (ogni riferimento a fatti realmente avvenuti in Italia, e a persone realmente esistenti in Italia è, al solito, puramente casuale).
Immaginiamo che questo Paese sia stato (o comunque, venga percepito come) quasi ridotto al collasso da un governo indegno, da un parlamento farcito di persone con la fedina penale più lunga dei rotoloni Regina, da imprenditori che hanno una concezione dei diritti dei lavoratori simile a quella di Ramses II, e da un’evasione fiscale e una corruzione dilaganti e sistematizzate.
Immaginiamo poi che la disoccupazione, il precariato, la chiusura delle fabbriche e qualche legge in corso di approvazione che peggiorerà il tutto, portino la gente a voler scendere in piazza per manifestare: tutti i media nazionali parlano con preoccupazione (vera o finta) della manifestazione imminente, paragonando la gente in piazza all’armata rossa; financo il capo dello Stato, risvegliandosi dal suo sonno millenario, tira fuori dal cilindro un monito affinché i manifestanti isolino le frange più estremiste e violente.
A questo punto, succede il miracolo: gli studenti, gli operai, i lavoratori precari, riescono davvero a isolare i centri sociali e i Black Block, e la manifestazione si svolge serena, tranquilla e oceanica, in un clima di dissenso deciso, ma pacato – con qualche punta di sfottò satirico verso gli esempi peggiori della politica corrotta che il Paese offre al pubblico.
Cosa succede a questo punto? Cambia qualcosa? Non scherziamo.
Promettono che cambierà qualcosa in futuro? Ormai non si sforzano nemmeno più di fare quello. Ma almeno se ne parlerà, della manifestazione!
Certo che se ne parla, in questi termini: un giornalista di una delle principali tv del Paese accenna al fatto che “si è svolta una manifestazione”, di cui appare sullo sfondo una foto abbastanza ravvicinata, per non far capire quanta gente c’era realmente.
Poi il giornalista dà la linea agli inviati in varie città, che precisano che solo una minoranza degli studenti si è recata a manifestare, e infatti le aule universitarie inquadrate sono piene di studenti che seguono le lezioni.
A questo punto, immaginate che uno studente, per caso, si riconosca nelle immagini propinate dalle telecamere, mentre è intento a prendere appunti all’università, col piccolo problema che lui alla manifestazione c’era andato.
Il Tg stava trasmettendo immagini registrate il giorno prima (è successo a un mio compagno di corso, autunno 2010; fatto riportato in un’assemblea – di cui esiste verbale).
Ora: come glielo spiegate a questo studente che deve manifestare pacificamente, così si fa meno fatica ad ignorare lui, e tutti quelli che erano con lui?
Come glielo spiegate ad un giovane ricercatore precario (800 euro netti al mese) che non può calcolare la sua pensione sul sito dell’Inps perché “se lo si permettesse, rischieremmo un sommovimento sociale” (Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps, 6 ottobre 2010), e deve accettare in silenzio di farsi dare dello “schizzinoso” da parte di una persona che stava seduta nel CdA di un gruppo bancario che è indagato per evasione di oltre 200 milioni di euro ?
Come lo spiegate agli esodati, che per reintrodurre l’Imu, per alzare le aliquote Iva e le accise sulla benzina, ci è voluto un mese; mentre dopo 10 anni non è ancora stato ratificato un decreto europeo anticorruzione (ratificato persino dal Vaticano)?
È ovvio che la violenza non risolve nulla, che negozianti e poliziotti che ci vanno di mezzo negli scontri di piazza non hanno alcuna responsabilità politica; ma fintanto che a dirlo davanti ad un microfono saranno le facce di quella classe politica che i manifestanti prenderebbero volentieri a calci nel didietro, si tenderà a crederci sempre di meno.
Luca Romano