L’Italia, il Mediterraneo e il rischio Tsunami

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Pochi sanno che in Italia sono avvenuti parecchi eventi tsunamici e che il nostro paese è a rischio. Il vulcano Marsili, ad esempio, è probabilmente uno tra i vulcani più pericolosi tra tutti (ne avevamo accennato qui).

Per parlare di maremoti italiani (o comunque tsunami mediterranei) dobbiamo introdurre la scala di intensità degli tsunami, la cosiddetta scala Ambraseys-Sieberg: essa ha 6 “gradi”, da 1 (onda registrata solo dagli strumenti) a 6 (parziale o totale distruzione di edifici, inondazione della costa).

La scala di intensità degli tsunami è molto più simile alla scala Mercalli che alla scala Richter, nel senso che non è basata su dei parametri di intensità misurabili come la magnitudo nella scala Richter (un parametro simile, nei maremoti, potrebbe essere l’altezza massima raggiunta dall’onda); viceversa, è basata sull’entità dei danni provocati.
L’INGV (l’istituto di Geologia e Vulcanologia) ha stilato un elenco liberamente consultabile chiamato ITC [1], dove sono riportati tutti i maremoti che hanno colpito le coste italiane nei vari anni. Il catalogo, fino ad ora contiene 72 eventi e copre quasi 2000 anni di storia. Il primo tsunami registrato nell’archivio, infatti, è quello del 79 d.C, avvenuto in seguito alla disastrosa eruzione del Vesuvio e ricostruito attraverso cronache dell’epoca.

Un catalogo più completo (ma meno aggiornato) è quello di Soloviev [2], grande oceanografo e sismologo russo che ha passato tutta la sua vita a studiare gli tsunami. Oltre al lascito dei cataloghi degli tsunami verificatisi in ogni parte del mondo, Soloviev ha anche proposto una scala di intensità tsunamica dipendente dall’altezza dell’onda, la cosiddetta scala Soloviev-Imamura. Il catalogo dello scienziato russo nel Mediterraneo comprende ben 300 tsunami (i più disastrosi) avvenuti nel Mediterraneo nel giro di 3000 anni  di storia (il suo catalogo risale fino al 1400 a.C.).

Dunque il fenomeno non è infrequente nel Mediterraneo. Ma quanto possono essere potenti gli tsunami nel nostro mare? Per rispondere a questa domanda bisogna trovare nei cataloghi gli eventi più disastrosi. Nel catalogo italiano troviamo due eventi di grado 6 (scala Ambraseys-Sieberg): il secondo di essi, per la precisione, è il devastante maremoto che quasi cancellò Messina dalle carte geografiche nel 1908, avvenuto in seguito al terremoto dello Stretto. Esser stato il più devastante, però, non garantisce che sia stato il più violento. 

Probabilmente, infatti, lo tsunami più potente secondo gli autori  dell’ITC fu quello dell’11 gennaio 1693, che venne causato dal sisma della Val di Noto, considerato attualmente il ventitreesimo terremoto più devastante della storia umana per numero di vittime e il primo terremoto in Italia per magnitudo: 7.4 contro il 7.2 del sisma del 1908. L’onda di tsunami fu alta oltre 10 metri e l’evento fu studiato, basandosi su ricostruzioni storiche e su modelli matematici, da un gruppo di scienziati francesi, italiani e portoghesi [3]; il terremoto e il maremoto insieme causarono oltre 60.000 morti.

Una tra le zone “calde”, quindi, per quanto riguarda gli tsunami risulta essere la Sicilia orientale, che infatti è anche la zona più sismica d’Italia. La costa ionica fu colpita anche da un altro tsunami di grado 6 nel 1783 (Terremoto della Calabria) e da uno di grado 4 nel 1169. Rimanendo sempre in Sicilia, ultimamente sta destando particolare preoccupazione la zona delle Eolie, dove il 30 dicembre del 2002 – a causa di una grossa frana dovuta all’eruzione dello Stromboli – si è generato un mini tsunami che causò 3 feriti.

Alcune simulazioni numeriche dimostrano le possibilità che ha uno tsunami generato dalle Eolie di espandersi e colpire anche il litorale tirrenico della Calabria e della Sicilia. Gli effetti, a causa dello “schermo” delle isole Eolie stesse, sarebbero comunque “modesti”: la predizione dei modelli infatti dà un’altezza dell’onda di un metro a Milazzo, 5 metri a Punta Faro e 2-3 metri sulle coste calabresi [4].

Parlando generalmente di Mediterraneo, invece, il maggior rischio nel bacino viene da un gigante addormentato. No, non sto parlando del Marsili (comunque, anch’egli addormentato e pericoloso), ma di due vulcani nel Mar Egeo, ossia il Nea Kameni e il Kolumbo (entrambi nel suggestivo e famigerato arcipelago di Santorini). Questi due vulcani, infatti, distanti appena 8 km tra loro non sarebbero nuovi alla provocazione di uno tsunami. Il Nea Kameni è il vulcano che si è probabilmente formato in seguito alla devastante esplosione del cosiddetto Vulcano Thera, meglio conosciuto agli amanti della storia come Santorini. Nel 1650 a.C. il vulcano esplose con una forza incredibile (una VEI 6-7) causando indirettamente la fine della civiltà minoica. Quella eruzione generò un maremoto che fu classificato di grado VII nella scala Soloviev-Inamura: onde paragonabili allo tsunami indonesiano e a quello giapponese.

Un'eruzione dello StromboliEsiste un ultimo luogo particolare nel Mediterraneo, ossia il Mare Adriatico. Non è tanto per la sua (alta) sismicità che può causare maremoti, ma per il fatto di essere uno tra i 9-10 luoghi al mondo in cui si possono verificare i cosiddetti meteotsunami. La ragione è semplice: il Mar Adriatico è un bacino semichiuso, nel quale si possono instaurare grosse oscillazioni stazionarie nel livello del mare (le cosiddette seiche) dovute a delle variazioni della pressione atmosferica e all’effetto del vento. Un episodio del genere si ebbe nel 1978 a Vela Luka: nonostante il nascere di molte bufale complottiste (una di esse ventilava addirittura di un bombardamento nucleare segreto), la cittadina croata fu appunto investita da un meteotsunami.

Alessandro Sabatino
@twitTagli

 [1] Tinti, Maramai e Graziani (2004), The new Catalogue of Italian Tsunamis, Natural Hazards, 33, 3, pp. 439-465, 2004. [2] Soloviev (1990), Tsunamigenic Zones in the Mediterranean Sea, Natural Hazards 3, pp. 183-202, 1990. [3] Gutscher, Roger, Baptista, Miranda e Tinti (2006), Source of the 1693 earthquake and tsunami (southern Italy): New evidence from tsunami modelling of a locked subduction fault plate, Geophysical Research Letters, 33. [4] Tinti, Pagnoni, Zaniboni e Bortolucci (2003), Tsunami generation in Stromboli Islands and impact on the South-East Tyrrhenian Coast, Natural Hazards 3, pp.299-309, 2003. [5] Maramai, Tinti e Graziani (2007), Investigation on tsunami effects in the central Adriatic Sea during the last century – a contribution, Natural Hazards and Earth System Sciences.

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