L’Islam radicale omicida che si autosantifica è una calamita globale per psicopatici (cit.)

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Voi siete davvero sicuri di essere in guerra “contro l’Islam radicale”? Una analisi così netta, certa, immediata, con il cattivo ben identificato a parole e per niente nella sostanza, è risolutiva? In altre parole: siamo sicuri di afferrare la complessità del problema, e non invece di cercare rifugio in una delle tante interpretazioni di comodo e consolatorie di un fenomeno che forse ha radici altrove?

Secondo me, l’Islam in questo caso è un marchio, ma non una causa. E per la precisione, non siamo in guerra contro chissà quali ayatollah o dottore della legge coranica: secondo me, siamo in guerra contro i bisognosi di attenzione. Nulla di più strutturato, nulla di sociale, nulla di politico, neppure – bum! – nulla di fanatico, almeno per come ci viene proposto.
Magari lo facessero ancora per le 72 vergini, oggi lo fanno perché si parli di loro su Facebook.

L’ISIS ha il lavoro più facile del mondo: deve solo dire a tutti gli sfigati frustrati e soli che se fanno un attentato avranno l’ammirazione del Califfato, l’odio del resto del mondo, ma comunque l’attenzione di tutti. Non serve nient’altro.
Ho il sospetto sempre più consistente che questi sciagurati non siano manco islamisti, e lo confermano gli articoli che io chiamo “della settimana dopo”. Quelli che non sono accompagnati dall’ondata emotiva e che fondamentalmente leggono in pochi (e soprattutto, non sono ricordati da nessuno)
A leggere i resoconti sugli attentatori, Salah Abdeslam era un povero cretino che il Corano manco lo aveva mai letto, sapeva solo citare frasi a caso lette su Internet ed è stato definito “stupido come un comodino” dai suoi ex migliori amici, nonché dal suo avvocato: “Vive credendo di essere in un videogioco”. Il massacratore di Orlando non sapeva la differenza tra sciiti e sunniti, tra ISIS ed Hezbollah: è morto guardando Facebook per essere sicuro che parlassero di lui.
Sono sicuro che verrà fuori una storia simile per l’autore del massacro a Nizza.

Ergo, non c’è nessuna Internazionale del Terrore, nessun Revanscismo Coranico, nessuna Spectre col caffettano. Vi sfido a trovare un movente preciso diverso dal – la dico in maniera brutale – “fare un casino”: semplicemente, sono azioni fine a loro stesse.
È una guerra contro imbecilli sfigati, su cui l’ISIS ha avuto la genialità di capire quale tipo di marketing fa presa. Non sono poi troppo diversi dai nostri complottisti ed estremisti da social network che vomitano odio dietro le tastiere dei PC, solo che dalle nostre parti non esiste una entità aggregatrice capace di chiedere violenza in cambio della approvazione di una massa. Daesh invece può.

Il terrorismo degli anni ’10 non è più la rivendicazione violenta di istanze politiche, religiose, razziali o sociali: è l’ultima spiaggia di quelli che su Facebook si mettono i like da soli alle foto.
Ed è colpa nostra, è colpa della narrativa occidentale secondo cui tutti meritano qualcosa, ognuno è speciale, siamo tutti belli dentro, e se non ce l’abbiamo ancora fatta sicuramente ce la faremo presto.
Poi quando non ce la facciamo finiamo a vivere di invidia, a odiare gli immigrati con lo Smartphone perché rendono il nostro telefono meno unico, e noi non l’abbiamo comprato perché è un bel telefono, l’abbiamo comprato perché volevamo sentirci più fighi degli altri: dov’è l’attenzione che ci avevano promesso?
I terroristi sono uguali a noi, sono quello che succede quando qualcuno dice agli stupidi che massacrando avranno quell’attenzione che gli è stata negata fino ad ora.

Nel 2016 farsi notare è qualcosa per cui vale la pena morire: non avrò prove, ma resto convinto che quello alla guida del camion a Nizza non sia poi troppo diverso dalla ragazzina che si suicidò in diretta video su Periscope.
Siamo in guerra contro gli stupidi che abbiamo convinto per anni che meritavano la vita di Snoop Dogg per il solo fatto di esistere, gente con l’ego distrutto a forza di immaginarsi ricca, famosa e circondata di belle donne per poi svegliarsi in periferia e doversi accontentare di un lavoro in un fast food, troppi pochi like e qualche porno amatoriale. Gente che anche facendo la fame per due settimane non può comunque permettersi di andare a Porto Cervo, tutti i pisquani di questo mondo sulle cui ambizioni frustrate facciamo marketing, tutti quelli che cerchiamo di convincere che per essere delle bombe sexy basta un deodorante, e per diventare ricchi un gratta&vinci. Si sono accorti di essere dei miserabili falliti, e che fondamentalmente li prendevamo in giro: Daesh offre a quei musulmani ammirazione in cambio di morte, e mette il bollino sul loro ultimo disperato tentativo di essere qualcuno. La più geniale, spaventosa e spietata operazione di marketing mai vista.

Ma rimangono dei poveri sfigati, non capiscono che Daesh si prende il loro merito e alla fine anche da morti non li odiamo quanto vorrebbero. Alla fine il Califfo Al-Baghdadi sappiamo tutti chi è, mentre i loro nomi li scordiamo subito. Salah Abdeslam lo ricordiamo, paradossalmente, perché non è morto, e in un certo senso è stato un vigliacco: lo ricordiamo perché era ricercato; qualcuno ricorda i nomi di quelli morti? Anche nell’aldilà rimangono dei poveri imbecilli, falliti e stupidi.
Siamo in guerra contro questo: poveri imbecilli, falliti e stupidi, a cui per futile buonismo non abbiamo mai voluto dire in faccia la verità, e ora loro ci odiano perché non sono come noi.
Ripartiamo da qui allora: siete dei poveri imbecilli, falliti e stupidi, e continuerete a non contare un tubo, anche se vi fate saltare in aria.
Convincetevene, che è meglio per tutti.

Luca Romano

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