Liberi e Uguali è la nuova formazione politica di sinistra varata pochi giorni fa: tecnicamente, si tratta di una lista elettorale fondata da tre liste, MDP-Articolo 1 della trimurti Bersani-Speranza-D’Alema, Sinistra Italiana di Fassina, del torinese ex-FIOM Giorgio Airaudo e di Nicola Fratoianni (chiiiii????), e infine Possibile del serafico Pippo Civati.
Se ne sentiva il bisogno, di una lista di sinistra dichiaratamente minoritaria concepita per occupare il posto che fu prima di SEL, e prima ancora di Sinistra Arcobaleno, e prima ancora di Rifondazione?
A sentir loro, sì; non potrebbe essere altrimenti, in fin dei conti, vista la matematica certezza per ciascuno dei pasionari di essere senza dubbio silurati, qualunque assetto assumerà il Partito Democratico in vista delle liste parlamentari.
Del resto, è coerente con la loro nascita ideologica – avvenuta ben prima della nascita biologica del triplice movimento: tutti costoro al Referendum Costituzionale del 4 dicembre 2016 votarono contro la riforma Renzi-Boschi, e di quel voto traggono i frutti. A livello personale.
Tra le altre cose, quel 4 dicembre, votammo per la tenuta della legge elettorale a doppio turno, super-maggioritaria: trucidata la riforma, venne stracciata anche quella legge elettorale. Sicché, in primavera, voteremo con un super-proporzionale che premierà le piccole coalizioni, con grande gioia di Liberi e Uguali: costoro passano all’incasso, di quella manovra, ed è sensato che siano loro a guadagnare in prima battuta (in seconda, dobbiamo ammetterlo: i più felici furono e sono gli immarcescibili membri del CNEL, restati – per dirla con Ligabue – sempre lì, lì nel mezzo).
Approfondiamo: si tratta formalmente di tre partiti, ma sostanzialmente di tre liste. La differenza tra lista e partito è oggetto di discussione nella teoria politica, ma per semplificare possiamo elencare alcuni tratti salienti:
- Una lista ha un’organizzazione politica snella, rispetto a quella più complessa di un partito: Civati descrisse ad esempio l’organizzazione di Possibile come un soggetto dalla “burocrazia minima“, in cui “l’appartenenza sarà leggera, partecipativa, orizzontale“.
- Una lista difficilmente ha radicamento in tutte le regioni italiane, e men che meno in tutte le provincie.
- Una lista non ha rappresentanti in Parlamento – e in effetti, tutti i numerosi parlamentari ora presenti a Montecitorio o Palazzo Madama non sono entrati con questa casacca in Camera e Senato, ma sono fuoriusciti da PD, Movimento 5 Stelle o reduci di SEL.
- Una lista non è riconosciuta dall’elettorato come un’organizzazione di massa ma…
- … è vista più come un movimento di opinione, senza un articolato e strutturato piano di azione politica complessiva.
Sicché si comprende il senso del post-provocazione a mia firma di qualche giorno fa, lanciato sulla nostra pagina Facebook: è assurdo che tre movimenti snelli, senza una tradizione alle spalle, senza un programma organico, senza radicamento diffuso – insomma, tre liste – non rinuncino alle loro prerogative per fondersi assieme, ma ricorrano allo strumento della sovra-lista (appunto, Liberi e Uguali) per continuare ad avere le loro identità ben distinte (e spartirsi i posti in Parlamento in ossequio al più bizantino dei manuali Cencelli).
Liberi e Uguali nasce con questo nemmeno troppo celato obiettivo: garantire la sopravvivenza istituzionale a dei personaggi senza più un tetto sopra la testa, con intatte tutte le litigiosità che hanno contraddistinto non solo i personaggi, ma direttamente quest’area politica (remember Fausto, remember Clemente).
Un primo collante poteva sembrare l’odio viscerale per il Partito Democratico e per la spregiudicatezza di Matteo Renzi; poi arrivò Grasso, ieri sera da Fazio, a tendere una mano in vista di una coalizione elettorale: per quanto divertente, l’idea di un D’Alema che fa da stampella a Renzi pare probabile come uno Scudetto del Benevento, e vista la scarsa attendibilità del discorso possiamo permetterci di invertire l’onere della prova. Vedremo come si comporteranno al momento opportuno, senza dare all’ipotesi un briciolo di credito.
Restano in piedi un po’ di problemi di metodo, e non mi riferisco certo alla stolida polemica scemo-femminista sul termine “liberi” declinato solo al maschile: sì, c’è stata davvero gente che si è posta il problema, ci ha ragionato, si è infervorata, ha chiesto scusa, le ha ricevute, ha chiesto miglioramenti, li ha ottenuti e la sua vita è miserabile esattamente come cinque minuti fa.
Liberi ed uguali, da citazione dell’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, è diventato un pupazzo in mano del politicamente corretto di poco cervello.
Il primo problema è il ruolo di Grasso, che nel frattempo ha sfruttato biecamente la sua carica istituzionale per dare autorevolezza ai suoi movimenti di posizione: in teoria la seconda carica dello Stato dovrebbe essere imparziale; qui per la prima volta fonda direttamente un nuovo movimento politico, un po’ dentro e molto fuori dal Parlamento. Peggio di Fini nel 2009-2010, che fece un’azione simile ma per traghettare da qualche parte (il futuro dirà: verso l’irrilevanza) una costola omogenea del Popolo della Libertà.
Stesso discorso vale per la Boldrini, la cui corsa tra le braccia di Liberi e Uguali è il degno coronamento di una pessima capacità di maneggiare il ruolo istituzionale, tra un tono di voce perennemente antipatico e una totale mancanza di comprensione dei tempi e dei modi del dibattito pubblico.
Il secondo problema sono le eminenze grigie: Grasso spergiura di essere lui il leader, di essere abituato a comandare. Sarà, ma gente come D’Alema non è abituata a ubbidire.
Senza parlare di Bersani, quello che nel 2012
Io non uso il nome nel simbolo. Voi fate scelta da partito personale alla Berlusconi e Grillo…
mentre adesso, all’urlo di
Vale tutto.
accetta di far scrivere Grasso su fondo rosso.
Ed arriviamo ad oggi, giorno in cui è stato reso noto il simbolo del partito Liberi/e (?) e uguali: esso conserva quella vague nemmeno troppo nouvelle di lista civica, giustappone (male) tre linee orizzontali per formare una “E” (chiamata a mettere a tacere la furbesca polemica di cui sopra, senza buoni risultati: il cretinismo si combatte solo con la clava, e non con le Foglioline), soprattutto scopiazza la creatività della campagna di tesseramento di Emergency nel 2012.
Da costole di Adamo a #foglioline di Grasso. Un bel passo avanti, non c’è che dire.
— Cinzia Sciuto (@cinziasciuto) 11 dicembre 2017
Tutto molto pomposo (molto pompato?) nelle forme e nelle dichiarazioni: sull’affidabilità degli uomini, e sulla consistenza programmatica e perfino ideologica dell’ultimo dei carrozzoni, purtroppo parla un’entità molto più malefica della in-credibilità. Parla il passato di ciascuno, e non sarà la carriera antimafia di Grasso a fungere da foglia di fico.
Umberto Mangiardi