Smaltito lo shock subitaneo del risultato elettorale stiamo cercando, un po’ tutti, di individuare un colpevole, un capro espiatorio sul quale scaricare tutta la responsabilità come se questo di colpo bastasse a regalarci la stabilità e la governabilità.
Esercizio inutile a mio avviso. In una contesa che ha visto solo sconfitti e nessun vincitore (numericamente Grillo ha di che rallegrarsi ma non può governare) l’ultima cosa da fare è chiedersi chi abbia riportato meno ferite. E anche scaricare la colpa sull’elettorato è soluzione puerile ed approssimativa. L’elettorato si esprime sulla base dell’offerta politica ed è certamente l’ultimo spazio in cui cercare alibi.
Semmai dovremmo interrogarci tutti quanti sul perché e soprattutto sul come un partito nato e strutturatosi in poco più di tre anni sia riuscito a diventare il primo partito in Italia sul banco di prova certamente importante delle Politiche. Non ci riuscì la Lega nel 1992 e non ci sono riusciti movimenti simili per storia e composizione.
Ha vinto “la pancia” o la rabbia se preferite, certo, ma quella rabbia che origini ha? Da cosa è stata creata ed alimentata? È un discorso complesso che include diversi elementi, tutti comunque correlati.
Sembra un paradosso, una burla del destino ma se oggi abbiamo instabilità lo dobbiamo proprio all’ostinata ricerca della stabilità (economica, non politica). Una ricerca che ci ha spinti a ricorrere all’austerità più sfrenata e spietata. Convinti anche dalle sirene europee che fosse l’unica via possibile i nostri governanti tecnici hanno sferzato i cavalli su quella strada, senza peraltro pensare alla crescita e alla ripartenza che, va detto, richiede l’esatto contrario, ovvero il ricorso al debito. Qualche mese fa l’economista statunitense Paul Krugman paragonò, dalle colonne del New York Times, l’austerità al rimedio del salasso utilizzato nella medicina del Medioevo. Applicato al paziente malato (in questo caso l’Europa e in particolare paesi come Grecia e Italia) il rimedio finiva per creare più danni che benefici e quando il paziente peggiorava i cerusici non trovavano di meglio che continuare con lo stesso rimedio, finendo per dissanguare del tutto il malcapitato paziente.
In Italia si è commesso un altro errore. L’establishment ha continuato a godere di privilegi inaccettabili per il popolo stremato; anziché iniziare dal taglio del superfluo ci si è preoccupati prima di infilare le mani nelle tasche già logore degli italiani (con l’Imu per esempio). Eppure sarebbe bastato conoscere meglio la storia patria e un aneddoto legato a Quintino Sella. Costretto a varare tagli fino all’osso il ministro dell’economia del Regno d’Italia propose come primo atto una sforbiciata allo stipendio dei parlamentari. Qualcuno gli fece subito notare che sarebbe stato un risparmio misero ma l’acuto ministro aveva capito che quell’atto avrebbe permesso al governo di guardare in faccia i contribuenti nel momento del sacrificio a loro richiesto.
Storie d’altri tempi, che forse però avrebbero consentito di arginare l’antipolitica e la demagogia del vaffanculo. In un anno il governo tecnico non è riuscito – complice anche la sordità dei partiti – a tagliare le province, a cambiare la legge elettorale, a tagliare in modo massiccio sprechi e inefficienze, a ridurre il numero dei parlamentari o anche solo gli stipendi.
Logico che una larga parte del paese abbia visto Mario Monti e lo Stato come lo sceriffo di Nottingham e altrettanto logico che una buona fetta del paese abbia creduto alle promesse di Berlusconi, alla restituzione dell’Imu, ai condoni tombali ed edilizi, alla riduzione della pressione fiscale. Parimenti logico che l’altra parte del paese, quella degli sfiduciati, degli inascoltati, dei giovani tagliati fuori, di quelli che ogni giorno di più si riconoscevano sempre meno nelle istituzioni si sia lasciata trasportare dall’urlatore Grillo. È comprensibile che la maggioranza degli italiani (30% del Pdl e 25% del M5S) abbia optato per partiti apparentemente anti-europeisti, anti-Euro e anti-austerità benché Grillo nel comizio di chiusura abbia fatto marcia indietro dicendo di non essere (più) favorevole all’abolizione dell’Euro.
E il Pd? Il Pd non è stato in grado di leggere questi dati. Confortato probabilmente dai sondaggi ha dimenticato di giocare almeno una parte della campagna elettorale “contro” Monti e l’austerità (con il quale già prima dell’esito delle urne si è cercato un abboccamento per future alleanze), non ha fatto leva sulla “pancia” ma sarebbe il caso di dire sul portafogli degli italiani. Se Grillo si presentava come l’alternativa i partiti (sia Pd che Pdl) hanno tralasciato di offrire un’alternativa seria a Grillo e al suo movimento.
Un lavoro che non doveva iniziare con la campagna elettorale ma molto tempo fa, quando la crisi non appariva così nera.
Alessandro Porro