
Secondo diverse statistiche, ogni secondo 28.000 persone stanno guardando materiale pornografico su Internet. Ogni secondo vengono spesi 3.000 dollari per acquisto di materiale pornografico, il 25% delle ricerche su Google è legato alla sessualità (68 milioni di ricerche al giorno) e i siti porno costituiscono ben il 12% del totale dei contenuti della rete.
La maggior parte dell’utenza dei siti porno è maschile, ma l’utenza femminile è comunque il 28%, più alta di quanto forse molti si aspetterebbero; si stima che più del 90% degli uomini con accesso regolare ad Internet abbia visionato materiale pornografico almeno in un’occasione, e nella fascia di età compresa tra 18 e 24 anni, il 70% delle persone dichiara di aver usufruito di pornografia negli ultimi 30 giorni.
Nonostante tutto questo, esiste ancora una fortissima stigmatizzazione sociale nei confronti di quelle persone, soprattutto se donne, che dichiarano apertamente di lavorare nell’ambito della sessualità. Da questo punto di vista le pornoattrici sono comunque quelle che se la passano meglio, mentre soffrono di una discriminazione ancora maggiore spogliarelliste e, soprattutto, prostitute.
Sulla prostituzione è opportuno aprire una parentesi: in Italia il fenomeno è associato spesso a tristi storie di degrado e sfruttamento, ma l’opinione negativa generalizzata che gli italiani hanno del fenomeno non dipende da questo: anzi, spesso si tende ad indulgere sulle prostitute sfruttate, in quanto vittime, mentre l’idea che una persona possa decidere liberamente di esercitare tale mestiere (come avviene in diversi paesi europei: Germania, Olanda, Austria etc.) è associata nella mentalità comune ad una mancanza di dignità e di morale da parte della prostituta stessa. Dunque, a scanso di equivoci e a costo di essere ridondante: qui non si sta parlando di sfruttamento della prostituzione, di violenze, di angherie; si sta parlando di “chi lo faceva per passione” (cit.)
Anche all’estero, comunque, i mestieri di spogliarellista e prostituta, anche se scelti liberamente, sono spesso praticati in segreto, proprio per motivi di discriminazione sociale.
Credo che i numerosi pregiudizi nei confronti di queste categorie abbiano essenzialmente due origini: da un lato le convenzioni sociali (spesso di matrice religiosa), che per ragioni storiche permeano ancora il comune senso della morale; dall’altro, il complesso rapporto della sfera sessuale con quella sentimentale.
Chi ha fatto l’amore con un partner nei confronti del quale provava un forte coinvolgimento emotivo può forse accettare che esistano persone dalla sessualità più disinibita, volta solo al piacere e che non prevede l’entrata in gioco di sentimenti, ma molto difficilmente accetterà persone per le quali la sessualità non rappresenta più nemmeno un piacere, ma un lavoro.
Peccato che questo sia già un pregiudizio: si presuppone infatti che una prostituta o una spogliarellista non possa amare il suo lavoro. Perché non dovrebbe? Attenzione a non restringere la domanda: qui non si sta parlando di provare piacere durante un amplesso, ma di amare l’idea di soddisfare un istinto primario altrui con il proprio lavoro, indipendentemente dal provare piacere a propria volta.
Proviamo a vedere la questione da un punto di vista differente: può un cuoco amare il proprio lavoro? Visti gli show televisivi in cui apprendisti del mestiere tentano di imparare l’arte culinaria, è evidente che la risposta sia sì. Eppure anche il lavoro del cuoco consiste nel soddisfare un istinto primario altrui (quello di nutrirsi), e anche il cuoco non prova la soddisfazione fisica dell’assaggiare i piatti che cucina.
Un’attrice porno o una prostituta possono godere della propria sessualità quando vogliono farlo, proprio come un cuoco può preparare dei manicaretti per sé: perché in uno dei due casi questo viene svalutato dal fatto che si pratica un’attività simile sul piano professionale, e nell’altro no?
Si dirà che una prostituta o una spogliarellista non scelgono i propri clienti, ma se è solo per questo nemmeno un barista li sceglie: ad entrambi possono capitare clienti sgradevoli, ma questo non implica il dover odiare il proprio mestiere.
In generale, in tutti i mestieri che implicano una qualche forma di interazione con un soggetto pagante, ci saranno clienti con cui è più piacevole interagire di altri, e sicuramente in alcuni casi si porta a termine il lavoro solo per dovere, ma nella maggior parte delle situazioni si cercherà di fornire il miglior “customer service” possibile, se il proprio lavoro piace. Quando mi è capitato nella vita di dare ripetizioni di matematica a dei ragazzi di scuola superiore, il fatto che mi pagassero non significava che non fossi contento se i loro voti miglioravano, perché il sapere di aver fatto un buon lavoro era gratificante.
Perché questo non dovrebbe valere per una prostituta, un’attrice porno o una spogliarellista? La risposta è che il sesso è visto come qualcosa di estremamente personale, intimo, di cui anche il solo parlare pubblicamente è malvisto. Si allude in continuazione, TV e pubblicità sono tutto un florilegio di corpi scolpiti, che emettono ferormoni anche in digitale, ma parlare pubblicamente di sessualità in maniera esplicita è considerato scandaloso.
Questo però è frutto di una convenzione: l’accoppiamento è un fatto naturale, e in natura esso non avviene di certo in forma privata, basta guardare come si comporta un cagnolino in calore.
Le convenzioni non sono necessariamente una cosa negativa: sono convenzioni anche le unità di misura, che hanno fornito indubbi progressi alla civilizzazione umana. Bisogna però imparare a riconoscere le convenzioni come tali, prima di decidere se adeguarcisi o meno, e non discriminare chi invece sceglie diversamente (con l’unico ovvio limite del non creare danno al prossimo in alcun modo).
Chi vuole vivere la sua sessualità in maniera esclusivamente privata e/o legarla in maniera inscindibile all’aspetto sentimentale, è giusto che lo faccia, ma è altrettanto giusto che chi vuole viverla in maniera più libera, farne una professione, o usufruire in questo ambito della professionalità altrui, non sia discriminato.
La situazione attuale è paradossale e ipocrita: le persone che a parole ritengono immorale che il sesso possa essere vissuto come una professione sono molte, molte di più di quelle che, all’atto pratico, non beneficiano di tali professionalità. Riflettiamoci.
Luca Romano
@twitTagli