È notizia di alcuni giorni fa: un rombo sordo, un’esplosione in mezzo al mare con i lapilli che si alzano in aria e un lembo di terra che si alza ed emerge dalla superficie marina davanti alle coste nipponiche. Niente di anormale: ordinaria amministrazione per il nostro pianeta, che si mostra ancora una volta vivo, vitale e in buona salute – a parte la “febbre” causata da strani abitanti chiamati uomini, che continuano ad emettere gas serra; ma questo è un altro discorso.
E non è neanche un fenomeno così esotico: prima di questa comparsa c’erano stati almeno due precedenti. In un articolo di qualche tempo vi avevo promesso di raccontarvi dell’Isola Ferdinandea: beh, ecco, è arrivato il momento.
Ma prima partiamo da 50 anni fa, per la precisione in una fredda mattina di novembre del 1963 nella quale in Islanda il mare iniziò a ribollire, fino a che delle lingue di fuoco uscirono imponenti dal mare. I primi che videro quella colonna di fumo alzarsi dal mare, dei pescatori, credettero all’inizio che si trattasse di una barca in fiamme. Ma man mano che si avvicinarono si resero conto di assistere ad un’eruzione vulcanica proveniente da un vulcano sottomarino.
Nei giorni successivi iniziò timidamente a spuntare qualche roccia fuori dal mare. Era nata Surtsey, dall’islandese “Isola di Surtr“, che nella mitologia norrena era un gigante del fuoco. L’isola iniziò rapidamente ad espandersi, grazie all’apporto di magma che veniva da sotto, e a febbraio 1964 aveva già un’estensione di oltre 1 km2.
Le eruzioni non cessarono e si protrassero a fine 1966, quando l’isola raggiunse la massima estensione di 2.5 km2.
Lì vicino si formarono in tempi diversi anche due piccole isolotte, che però vennero rapidamente erose dalle onde dell’Atlantico. Surtsey no: resistette alla forza del mare.
I geologi che hanno studiato Surtsey ritengono che resisterà ancora dei secoli alla furia del mare perché composta di lava solidificata, molto più resistente all’erosione, come le isole dell’arcipelago Vestmannaeyjar, che presumibilmente si formarono nello stesso modo. Se su Surtsey sventola, senza alcun dubbio, la croce islandese (nonostante tre avventurosi giornalisti francesi che assistettero da vicino, i quali proclamarono scherzosamente Surtsey territorio francese) l’Isola Ferdinandea ha una storia più “avventurosa” anche dal punto di vista politico.
Siamo nel 1831 e il Mediterraneo è ancora “territorio di conquista” delle potenze coloniali: nel 1802 era appena tornata alla Spagna l’Isola di Minorca, strappata all’Impero Britannico, che però aveva ancora sotto il suo controllo l’Isola di Malta; la Sicilia era sotto i Borboni, con a capo il ventunenne Re Ferdinando II appena succeduto al padre Francesco I; l’Impero Ottomano manteneva la Bosnia e la Grecia, mentre l’Austria manteneva ben saldo il suo dominio sulla Lombardia e sul Triveneto.
È in questi anni, così travagliati per il Vecchio Continente, che l’Isola Ferdinandea decide di comparire dal mare una colonna di fumo, fiamme e lapilli, nel Canale di Sicilia, proprio a metà strada tra Pantelleria e le coste di Sciacca. I pescatori del luogo riferirono che il mare bolliva e il capitano di una nave, che passò da quelle parti, la nave Gustavo, riferì che durante la notte tra il 10 e l’11 luglio era comparso un lembo di terra, un isolotto alto 8 metri.
Il fenomeno venne subito studiato dai fisici e dai geologi del Regno delle Due Sicilie, come il prof. Carlo Gemmellaro, che fece un ottimo rapporto su questa isola; si interessò anche il prof. Karl Hoffmann di Berlino.
Ma quest’isola fu subito al centro di un caso internazionale, come lo chiameremmo noi oggi, forse più interessante della mera descrizione geologica: con Malta ad un tiro di schioppo, vuoi che i britannici non si interessassero di quest’Isola proprio in mezzo al Mediterraneo? E infatti il 24 agosto i primi a sbarcare sull’isola furono proprio i sudditi di Sua Maestà, che vi piantarono la Union Jack e presero possesso di questo lembo di terra in nome della corona britannica, battezzandola Graham.
I borbonici protestarono, ma a rendere più intricato il caso ci pensarono i francesi, che il 26 settembre mandarono un brigantino, con a bordo un geologo, Constant Prevost, e un pittore, Edmond Joinville. Il 29 settembre i francesi chiamarono l’isola Iulia e vi innalzarono il tricolore francese. Finalmente i borboni si decisero, mandando la corvetta bombardiera Etna, piantarono la bandiera del Regno delle due Sicilie e chiamarono l’isola Ferdinandea, dal re Ferdinando II.
Ma non poteva mancare il colpo di scena finale: l’8 dicembre 1831, appena cinque mesi dalla sua comparsa, l’Isola Ferdinandea si inabissò nelle acque del Canale di Sicilia, per ricomparirvi per pochi giorni nel 1846 e nel 1863.
Dopo più nulla, fino al 14-15 gennaio 1968. Data infausta per la Sicila, che venne colpita da un violento terremoto nella Valle del Belice. Ma proprio dove c’era una volta l’Isola Ferdinandea, il mare riprese a bollire, paventando una nuova ricomparsa che però non avvenne.
A scanso di equivoci, però, i pescatori siciliani posero una targa sulla superficie del banco sottomarino con scritto: “Questo lembo di terra, una volta Isola Ferdinandea, era e sarà sempre del popolo siciliano”.
Alessandro Sabatino
@Ondaanomala1