
Come ci spiega il giornalista inglese Owen Jones, i media britannici sono stati fondamentali per la nascita, la crescita e la grandissima affermazione dell’era del thatcherismo. Dalla fine degli anni ’70 in poi tutti i grandi giornali britannici e i media sono stati, in un modo o nell’altro – ci spiega sempre Jones – controllati dall’élite neoliberale e usati per attaccare il movimento dei lavoratori: in particolare i sindacati, nemici giurati della Lady di Ferro e ovviamente il Partito Laburista.
Sia Michael Foot che Neil Kinnock, i due leader laburisti che si sono opposti alla Thatcher nell’83 e nell’87, subirono attacchi pesantissimi dalla grande stampa inglese che, neanche tanto velatamente, li definiva di fatto nemici dello stato.
Non parliamo poi del trattamento ricevuto dalla stampa britannica degli anni ’80 dai sindacati, in particolare quello dei minatori, che, nonostante sia stato anche vittima di pesanti atti della polizia, venne rappresentato come un pericolo per la sicurezza nazionale con il suo leader, Arthur Scargill, dipinto come un pericolo pubblico.
Le cose sono cambiate solo durante l’avvento del “New Labour” con l’arrivo di Tony Blair, che, memore del trattamento subito dai suoi predecessori, decise una strategia diversa, quella di andare – letteralmente – a braccetto con l’establishment: dico letteralmente perché Tony Blair è stato il padrino di uno dei figli di Rupert Murdoch, magnate dei media che controlla quasi tutte le più importanti testate britanniche oltre a possedere Sky, ovviamente.
Negli anni di Blair, dunque, il partito laburista ebbe un buon rapporto con la stampa (poi magari un giorno approfondiamo le ragioni di questo idillio) terminato tuttavia con l’avvento dei conservatori nel 2010.
Infatti, Ed Miliband, nuovo leader post-blariano della sinistra britannica, subisce nuovamente attacchi pesantissimi. Qualunque proposta di Miliband viene trattata dalla stampa britannica come un attacco alle libertà fondamentali dei cittadini e del mercato, persino blande proposte di regolamentazione in tema di consumo energetico. A Miliband viene persino rinfacciato il passato di suo padre, un noto storico marxista, che viene accusato di non essere un patriota.
Non stupisce dunque che Jeremy Corbyn, il canuto neo leader del Partito Laburista Britannico, goda di una pessima stampa. Un giornale è arrivato persino a paragonarlo a Mao perché ha il vezzo di andare in giro in bici e un altro si è addirittura spinto a prospettare una sua vittoria come se fosse la collisione con un asteroide…
Il rapporto del leader dell’opposizione con la stampa è talmente pessimo che lui e il suo staff hanno deciso di bypassarla.
Corbyn e il suo team infatti stanno facendo un tentativo coraggioso di “disintermediazione”: usano i social media in maniera intensiva e innovativa in modo da trasmettere direttamente il proprio messaggio ai cittadini, senza filtri.
Sulla stampa Corbyn non concede praticamente mai interviste e anche le sue apparizioni in televisione sono limitatissime e con intervistatori che lui considera affidabili. Rarissime sono le conferenze stampa che si trasformano in dirette Facebook ad appannaggio dei follower delle varie pagine a sostegno di Corbyn, più che un’occasione per discutere con la stampa.
Dicevo “pagine” proprio perché vi è una serie di profili che, in maniera diversa, veicola il messaggio di Corbyn e del partito laburista: non ci sono ovviamente solo le pagine ufficiali di Corbyn su tutti i principali social media, snapchat incluso. Abbiamo poi “Jeremy Corbyn for PM” che conta quasi 230.000 mi piace e che è utilizzata per trasmettere in tempo reale tutte le novità sull’attività di Corbyn e dare lo spin giusto con continuità e prontezza. Poi abbiamo le pagine di Momentum, l’associazione nata a sostegno della campagna di Corbyn e che esiste soprattutto fuori dalla rete, sul territorio, che mobilita con efficacia decine di migliaia di attivisti in tutto il Regno. Su Facebook Momentum gode di 75.000 mi piace ed ha, appunto, un ruolo più organizzativo, più strettamente rivolto agli attivisti.
E poi abbiamo una miriade di pagine “minori” (Red Labour, Corbyn: Media Watch, 59.5% Supporting Corbyn’s Mandate) che, con tagli diversi, mantengono con costanza vivo il dibattito.
È ancora davvero molto presto per dire quanto questa strategia sia efficace, però alcuni segnali sembrando indicare una riposta positiva: in questi mesi di campagna elettorale per la leadership del Partito Laburista, cui Corbyn è stato costretto a causa di una massiccia fronda da parte del suo gruppo parlamentare, l’affluenza ai comizi di Corbyn è strabiliante, soprattutto considerando lo scarso spazio dato al leader laburista da parte della stampa mainstream.
Ma si sa, in politica quello che conta sono quasi solo i risultati elettorali, quindi dovremo vedere se nel lungo periodo questa strategia sia in grado di sfondare nel cittadino “medio” e dare risultati alle urne. Lo stesso Owen Jones, che un anno fa aveva sostenuto la candidatura di Corbyn e che ora ha una visione più critica del suo lavoro, ha sottolineato come questa strategia rischia di non essere abbastanza efficace in termini di capacità di catturare il grande pubblico perché ha scarsa permeabilità nelle fasce, in forte aumento, della popolazione più anziana. Non resta che attendere i risultati della rivoluzione social.
Domenico Cerabona
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