Del Symphonic Metal abbiamo già parlato qualche tempo fa: genere “di nicchia” in Italia, ha un ottimo risalto sul piano internazionale, soprattutto nel centro (Germania) e nel nord Europa. Chiara Malvestiti è la (splendida) voce dei Crysalis, un gruppo made in Italy che si sta creando un buon seguito oltre i nostri confini e i nostri scenari – dove già sanremo faceva i suoi danni, e come se non bastasse si sono aggiunti i vari Amici, X-Factor e compagnia cantante (in tutti i sensi). Le abbiamo messo un microfono davanti, questa volta per andare oltre i suoi acuti potentissimi.
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Come ti sei avvicinata alla musica e al canto, e a che punto sei del tuo percorso di studi?
Il mio percorso come cantante lirica è un po’ controcorrente rispetto alla norma: io ho cominciato a studiare dopo aver “scoperto” la mia voce tramite la mia band, i Crysalys, ma senza ancora essermi avvicinata al canto lirico. Avevo 16, 17 anni: ho iniziato con il canto moderno per passione, per lo più su repertori pop. Quando abbiamo fondato i Crysalys, tra il 2005 e il 2006, ho iniziato a scoprire le mie caratteristiche vocali: inizialmente non sapevo di avere un’impostazione lirica, ma mi rendevo conto che alcuni suoni uscivano naturalmente diversi rispetto ad una normale impostazione moderna.
Fu la mia insegnante del tempo a invitarmi a studiare canto lirico, individuando nella mia voce le caratteristiche adatte a quel tipo di repertorio: all’epoca non ne volevo sapere, non ero nemmeno appassionata di Opera… Poi successe qualcosa dentro di me, e dopo una lezione di prova capii che sì, era quello che dovevo fare.
Ho iniziato a prendere lezioni inizialmente come hobby, e dopo un paio di anni ho deciso di intraprendere questo percorso più seriamente: mi son messa a studiare anche le materie complementari della musica classica, e ho preso lezioni di tecnica vocale a Firenze. Sono entrata in conservatorio e ora sto portando avanti questo percorso in attesa di laurearmi: nel frattempo ho già avuto qualche debutto, in teatro e in qualche concerto.
Qual è stato il più bel ruolo lirico che hai interpretato?
In teatro ho debuttato nel ruolo di Euridice nell’ “Orfeo ed Euridice” di Gluck, ed è stata la mia prima esperienza nel contesto completo di un’opera lirica. Essendo io come vocalità un soprano lirico-spinto, sono sicuramente più a mio agio col repertorio verdiano o pucciniano. Mi trovo molto bene nei panni di Mimì, della Bohème di Puccini e di Leonora del Trovatore di Verdi: c’è qualche progetto in merito, nel futuro, ma non c’è ancora nulla di ufficiale.
Parlami dei Crysalys: quando è nato il progetto? Come si è sviluppato?
I Crysalys nascono nel 2005, inizialmente l’idea mia e del mio ragazzo di allora – nonché batterista del gruppo, Alessandro – era quella di convogliare assieme una musica che, all’epoca, era molto più potente, più vicina al Death-Metal melodico di matrice scandinava, ma con una voce pulita, ci ispiravamo a gruppi come Dark Tranquillity e In Flames.
Una sorta di “Beauty and the Beast”?
Sì, esatto, inizialmente il sound era quello. Ma io non ero completamente soddisfatta dei risultati: avendo questa voce già all’epoca molto lirica, molto presente nei brani, non mi trovavo a mio agio con un terreno musicale così potente e forte. Mancava qualcosa che unisse il tutto, una base più melodica, anche orchestrale, che facesse da collante tra la mia vocalità classica e il genere metal.
Per questo, dopo qualche anno, dopo i primi due EP autoprodotti, e dopo i primi concerti anche in giro per l’Europa, ci siamo evoluti: abbiamo cambiato tre componenti, abbiamo aggiunto una tastiera che ha cambiato molto il sound della band e ci siamo buttati nella scrittura del CD di debutto, che è poi stato The Awakening of Gaia. È stata un’autentica sfida, perché i tempi per la pubblicazione erano molto stretti e la formazione era nuova e non ancora collaudata, ma l’abbiamo affrontata in maniera positiva: sono stati mesi pesanti, ma ricchi di soddisfazioni.
Ora state lavorando al secondo album in studio. Come va la produzione?
Domanda da 10.000 dollari! [ride, NdR] I lavori procedono, anche se siamo consci di essere un po’ spariti dal giro. I ritmi sono piuttosto lenti, perché questa volta non abbiamo una scadenza, non sapendo ancora con quale etichetta lo pubblicheremo. Inoltre il sound della band sta molto maturando, anche per via degli studi classici che io e il tastierista Fabio stiamo portando avanti. Questo vuol dire un ben altro tipo di lavoro – molto più accurato – rispetto a quanto abbiamo fatto fino ad ora.
Immagino che anche solo registrare le basi orchestrali richieda parecchio lavoro…
Sì! Inoltre il concept di quest’album è molto più complesso, con una serie di Leitmotiv, una specie di storia che si snoda tra le varie tracce. Quindi ogni traccia va composta pensando già a quella precedente e/o a quella successiva. Ad ogni modo la scrittura sta procedendo con ottimi risultati, e spero dopo agosto – dopo i concerti estivi e gli esami di conservatorio – di potermi dedicare alla registrazioni della parte vocale.
Molta gente trova che la musica classica e il metal siano due mondi incompatibili, lontanissimi, quando invece moltissimi strumentisti metal vengono da studi di conservatorio. Cosa puoi dirci di questo connubio?
Vivendo entrambi i ruoli posso dirti che in effetti no, non c’è una distanza abissale: in fondo, sinceramente, la musica è sempre musica, un qualcosa che raccoglie e porta un messaggio significativo. Dietro alla musica classica, comunque, c’è un percorso molto più vasto: è vero, ci sono musicisti metal che vengono da studi di conservatorio, ma altri hanno alle spalle un percorso molto più amatoriale. Lo studio, per la musica classica è un presupposto fondamentale, per il metal può essere un’interessante arricchimento.
Ma quali sono i punti di contatto tra i due mondi?
Sono molti, soprattutto se consideriamo il Symphonic Metal. Nelle linee vocali ad esempio il metal, anche quando importa l’impostazione lirica, spesso si limita alla voce.
Nell’opera classica invece si sfruttano fraseggi, cadenze… insomma, si esplorano molte più possibilità. Nella mia esperienza con i Crysalys ho provato a importare le linee vocali e i fraseggi tipici dell’opera italiana verista, ma mi sono spesso sentita dire che c’era “troppa voce”, che la voce era troppo potente.
Le similitudini tra i generi ci sono, ma spesso sono di difficile comprensione per il pubblico – soprattutto quello italiano. All’estero è già tutta un’altra cosa, ad esempio al Metal Female Voices Fest il nostro esperimento è stato molto più apprezzato: qui in Italia manca proprio il linguaggio di base, nonostante si sia il “Paese del Belcanto”.
A questo punto, è inevitabile la domanda: com’è il rapporto col pubblico italiano? Cosa vuol dire fare metal sinfonico in Italia?
In Italia fare metal è un’impresa durissima. È principalmente un discorso di pubblico, che rimane legato a sonorità note e a gruppi-cardine (per carità, band storiche, ma sempre le stesse) ed è chiuso rispetto a tutti i nuovi esperimenti musicali. In Italia coi Crysalys abbiamo suonato un po’ dappertutto, da nord a sud, e ho davvero pochi ricordi positivi, mentre le esperienze all’estero sono state quasi tutte meravigliose. Oltre al pubblico in Italia il problema è anche la concezione che si ha del metal: anche se gli si fa ascoltare una band con una voce lirica, e con sonorità mischiate a quelle classiche, i locali o gli staff che organizzano eventi appena sentono parlare di metal si tirano subito indietro. Bisogna avere quasi paura di dirla, quella parola, perché in Italia viene intesa solo come sinonimo di Satana, rumore.
Come se tutte le band fossero i Cradle of Filth… È vero, esiste questo stereotipo.
Ecco, quindi è già molto difficile di per sé organizzare eventi. Qui nelle Marche è diventato quasi impossibile: gli anni scorsi c’erano più locali che ospitavano band emergenti, o comunque musica non mainstream. Adesso hanno chiuso quasi tutti, facendoci perdere la discreta scena che avevamo.
Al nord ci sono spesso locali e festival che ci propongono di suonare, ma per musicisti e gruppi della mia zona venire al nord è difficile, già solo per le spese. Quindi a questo punto uno preferisce direttamente andare all’estero, dove le gratificazioni sono maggiori. Un panorama un po’ triste, diciamo…
Come sono andate le vendite del vostro primo album – in Italia e all’estero?
Le vendite sono andate abbastanza bene, ma soprattutto all’estero. I paesi dove abbiamo avuto più successo sono stati Belgio, Germania e Sud America. In Italia non è andata male, non è stato assolutamente un flop, ma i numeri sono comunque inferiori.
Com’è il tuo rapporto col pubblico durante i live?
Molto forte: riesco a esprimere veramente me stessa solo se il rapporto col pubblico è molto profondo. È una sensazione molto intima che mi capita di provare, ma sempre strepitosa: posso dire con soddisfazione che da ogni concerto sono riuscita a portare a casa un ricordo positivo e qualche nuovo fan. Qualcuno mi scrive che nei periodi più difficili la mia voce li aiuta nel rapporto con la loro vita, e questo per me è qualcosa di fondamentale. È la forza che mi fa credere fortemente nella musica della band e nel nostro progetto.
Cosa ne pensi del modo in cui viene gestita la musica classica in Italia?
[Ride ancora, NdR] Io vengo dalle Marche, che è una regione con una grande tradizione sia sinfonica sia lirica, a livello di compositori e di esecutori. Tutti i direttori artistici delle principali istituzioni musicali si lamentano del fatto che ci sono pochi giovani ai concerti. Vero, ma se la gente non apprezza la responsabilità è anche di chi assume pochissime iniziative per attirare i giovani verso questo tipo di eventi culturali: non basta abbassare il prezzo del biglietto. L’ignoranza parte dall’istruzione primaria, a scuola la musica è un’oretta di flauto che si fa solo alle elementari penso, forse alle medie, e la cosa finisce lì. Non c’è spazio per la storia della musica, per la lettura della musica, per approfondimenti sui compositori, niente!
Di conseguenza, i teatri mettono in scena sempre le stesse opere famose, magari anche con le stesse regie: roba da stufare gli stessi compositori nell’aldilà. Anche i cast sono sempre gli stessi, perché il prodotto sta diventando sempre più di nicchia. Ed è preoccupante: quando le vecchie generazioni non ci saranno più, del teatro lirico resterà poco o nulla. Anche in questo ambito il lavoro – ne parlo con amici e colleghi in conservatorio – si sta spostando sempre di più all’estero. È assurdo che noi, che siamo il paese del Belcanto, con tutta la storia dalla nostra parte, abbiamo un giro ristrettissimo, sia a livello di artisti che di opere in cartellone.
Io poi parlo per l’ambito lirico, ma non credo che la situazione sia molto migliore in ambito sinfonico-strumentale. Nel mio piccolo, posso dire che stiamo cercando con un gruppo di giovani (non solo cantanti, ma anche registi e strumentisti) di mettere su una compagnia stabile, che inizi a portare almeno nei teatri minori nuove opere e nuove regie che guardano al mondo giovanile, qualcosa che abbiamo provato a sperimentare già in parte con Orfeo ed Euridice. L’obiettivo è sempre quello di avvicinare i giovani alla musica classica, perché dà da pensare il fatto che io stessa mi sia avvicinata al canto lirico – che è nelle radici culturali del mio paese – ascoltando gruppi scandinavi come i Nightwish.
Luca Romano