Quando si parla del Vaticano o del Papa e la tv e i giornali ritraggono il Pontefice non è raro vedere sullo sfondo le guardie svizzere calate nella loro uniforme storica con tanto di elmo ed alabarde che ricordano guerre ed epoche lontane.
La domanda potrebbe sorgere spontanea: che ruolo hanno le guardie svizzere?
La Guardia Svizzera Pontificia è, a tutti gli effetti, un esercito (il più piccolo al mondo con 110 effettivi) e come tale, ha il compito di garantire la sicurezza all’interno dei confini vaticani ma soprattutto la sicurezza della persona del Pontefice. Compiti che non vengono certo assolti con alabarde e spadini, utili soltanto a marcare ancora di più l’antistoricità e l’immagine senza tempo della Chiesa e del Vaticano, ma con le più moderne armi da fuoco.
Perché il Papa sceglie di affidare la sua sicurezza e quella del Vaticano ad un esercito straniero? Le ragioni devono essere ricercate nella storia e più precisamente nelle guerre che devastarono l’Europa a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento. Le guardie svizzere sono il risultato di due fattori tra essi collegati.
Potrà infatti sembrare strano ma la Svizzera non è sempre stato un ricco e florido paese neutrale, indifferente a qualsiasi vento di guerra. Al contrario, proprio tra il XV e il XVI secolo era un paese agricolo, in precarie condizioni economiche e sovrappopolato. A quei tempi poi, i regnanti europei erano soliti avvalersi, in guerra, di mercenari; soldataglie messe insieme con la promessa di buoni guadagni e la prospettiva di arricchirsi saccheggiando villaggi e città (i Lanzichenecchi ne hanno fatto quasi un marchio di fabbrica). In poco tempo, vista la pessima situazione economica, la Svizzera divenne un bacino dal quale attingere mercenari; la Confederazione dal canto suo ci guadagnava in grano, sale e prebende commerciali.
Affidabili ed agguerriti, dotati di uno spiccato senso di fedeltà ed obbedienza gli svizzeri divennero in poco tempo molto richiesti; questo perché in un’epoca in cui le battaglie venivano spesso decise dalla cavalleria e l’artiglieria iniziava ad affacciarsi sulle scene, gli svizzeri erano riusciti a sviluppare tecniche di combattimento basate quasi esclusivamente sulla fanteria secondo schemi molto simili a quelli della falange di greca e macedone memoria. La Confederazione si rese conto ben presto che doveva organizzare queste milizie per poi “affittarle”, tanto che nel XVI secolo quasi tutti i regnanti d’Europa potevano contare su un contingente di guardie svizzere.
I destini delle guardie elvetiche e del Vaticano si legano indissolubilmente il 22 gennaio 1506 quando un gruppo di 150 svizzeri comandati da Kaspar von Silenen entra in Vaticano e viene benedetto da Papa Giulio II. Già in precedenza però, nel 1479, Papa Sisto IV aveva stretto accordi con la Confederazione. Nel 1527 la guardia svizzera pontificia diede prova del suo valore in occasione del Sacco di Roma, quando spagnoli e Lanzichenecchi misero a ferro e a fuoco Roma e il Vaticano. I soldati svizzeri resistettero eroicamente (di 150 effettivi se ne salvarono soltanto 42) ed ebbero un ruolo cruciale nella protezione di Papa Clemente VII, il quale venne fatto fuggire attraverso il Passetto, il cunicolo che collega San Pietro a Castel Sant’Angelo.
Già che ci siamo è il caso di sfatare una leggenda che circola attorno alla curiosa divisa delle guardie. Non fu Michelangelo, come molti erroneamente sostengono, a disegnare l’uniforme. Il pittore toscano si trovava certamente a Roma quando le guardie svizzere vi giunsero la prima volta ma sembra un dato trascurabile, non certo sufficiente ad accreditarlo anche come stilista. Quel primo contingente probabilmente non aveva, come tantissimi eserciti dell’epoca, una vera e propria divisa. I soldati indossavano pantaloni al ginocchio molto larghi, calze e farsetti con maniche a sbuffo di colori e fogge diverse.
Le divise che oggi vediamo sono il frutto di una meticolosa ricerca condotta dal comandante della guardia Jules Rèpond nel 1914. A ulteriore conferma che Michelangelo sia stato tirato in mezzo a sproposito sembra che Rèpond si sia ispirato ai dipinti di Raffaello per disegnare le divise. L’alta uniforme – quella che si vede più spesso – è caratterizzata da una giubba stretta in vita da un cinturone, da pantaloni al ginocchio e da ghette, tutti accomunati dai colori giallo, blu e rosso; il giallo e il blu sono i colori dei Della Rovere (la famiglia di Papa Giulio II), il rosso è stato aggiunto da Papa Leone X per ricreare lo stemma della sua famiglia, quella dei Medici. Completa la divisa il morione, l’elmo che ricorda quello dei Conquistadores, con pennacchio di colore diverso a seconda del grado (rosso per gli alabardieri, viola per i tenenti, bianco per il comandante e il sergente maggiore). Il morione reca ai due lati la quercia, stemma araldico dei Della Rovere. L’uniforme da lavoro o da giorni feriali è di foggia simile a quella tradizionale ma di colore blu con basco nero. L’uniforme del comandante (colonnello) è invece costituita da una giubba nera e da pantaloni bordeaux.
Da ultimo veniamo ai requisiti per l’ammissione. Per diventare guardia pontificia occorre essere ovviamente di nazionalità elvetica, essere di fede cattolica romana, avere una reputazione irreprensibile, avere frequentato la scuola reclute in Svizzera, un’età compresa fra i 19 e i 30 anni, un’altezza di almeno 1,74 metri, essere celibe ed in possesso di un certificato di capacità professionale o un diploma di scuola superiore.
Alessandro Porro