Il momento di gloria dei laburisti, e di Ed Miliband in particolare, è durato probabilmente appena due giorni: dal 31% delle amministrative, sorpasso dei laburisti ai danni dei conservatori, al risultato di lunedì delle europee, ossia tutta un’altra musica rispetto a sabato.
Alla fine, infatti, quello che presagivano i vari sondaggi pre-vigilia elettorale (che qui in Regno Unito non sono vietati e sono più affidabili di quelli italici) si è avverato: l’UKIP (United Kingdom Indipendence Party – Partito per l’Indipendenza del Regno Unito) è risultato il primo partito britannico in queste elezioni.
Un terremoto elettorale in piena regola, in una politica – quella inglese – che dal 1922 ha sempre visto il predominio delle due forze maggiori, Conservatori e Laburisti.
Ma partiamo prima dai risultati (Dati BBC):
L’UKIP come primo partito britannico porta a Bruxelles ben 24 deputati (ne aveva 13) e guadagna quasi l’11%: mette in fila dietro di sè il Labour (che guadagna comunque quasi il 10% rispetto alle scorse elezioni), i Conservatori (che tutto sommato reggono il colpo), i Verdi (che guadagnano 1 deputato e rimangono sull’8%) e i Liberaldemocratici (che crollano miseramente, perdendo quasi 1 milione di voti).
Fuori dal parlamento il British National Party, partito di estrema destra, che nella scorsa tornata elettorale aveva conquistato due seggi arrivando al 6%, ma che ora è tornato a percentuali più “normali” per un partito neofascista (1%).
Ma cos’è l’UKIP e perché fa tanto paura a Bruxelles?
L’UKIP nasce nei primi anni ’90 da un ex membro del partito liberaldemocratico, Alan Sked, che non condivideva la linea del partito troppo a favore dell’UE, raccogliendo attorno a sé soprattutto ex-conservatori, uno tra tutti Nigel Farage, ex broker ed ex membro del Partito Conservatore (che lascia per protesta dopo la firma del trattato di Maastricht).
Farage è uno tra i fondatori dell’UKIP ed è attuale leader, noto fuori dai confini nazionali per la veemenza dei suoi discorsi in Parlamento Europeo nella scorsa legislatura: celeberrima la sua esclamazione “Who the hell you think you people are?” (video 1 della galleria a lato) rivolta alla Commissione Europea e in particolare a Van Rompuy, che aveva già attaccato duramente in un’altra occasione (video 2).
Come avrete capito e come probabilmente già saprete, l’UKIP è un movimento euroscettico di destra. Anzi, è il movimento euroscettico per eccellenza – dato che la sua stessa ragione di esistere è l’uscita immediata del Regno Unito dall’Unione Europea e la cessazione di ogni trattato esistente tra UE e Gran Bretagna.
Altro punto fondamentale della battaglia politica dell’UKIP è il contenimento dell’immigrazione, sia quella da fuori che quella dall’Unione Europea.
In particolare l’obbiettivo è uno stop completo dell’immigrazione per 5 anni per passare successivamente ad un’immigrazione “specializzata” (e su questo argomento il partito ha usato come un grimaldello in campagna elettorale la promessa disattesa di Cameron di tenere l’immigrazione da fuori dell’UE sotto i 100.000 arrivi).
Nonostante qualche punto di contatto con il Front National, l’UKIP non è considerabile come un movimento neofascista o di estrema destra (che nella scacchiera dei movimenti politici inglesi è rappresentata dal British National Party) e non somiglia per niente ai Lepeniani come ideologia, tanto da aver declinato l’offerta della “nuova Giovanna D’Arco” (capirai…) per un’alleanza in Europa.
Nelle scorse elezioni europee l’UKIP era già diventato il secondo partito, con il 16.5% dei voti, per poi l’anno successivo (anche a causa del cambio di leadership nel partito, da Farage a Pearson) prendere il 3% nelle elezioni politiche, elezioni che hanno visto la vittoria del partito conservatore e la formazione della coalizione di governo Conservatori-Liberaldemocratici tra Cameron e Clegg.
Sembrava quindi che l’UKIP fosse solo una meteora nel panorama politico britannico.
Così non è stato: dopo le elezioni del 2010, Nigel Farage è tornato leader dell’UKIP e i risultati non sono tardati ad arrivare. Nelle amministrative del 2013 è terzo partito con il 22% dei voti. E poi l’exploit europeo.
Ma quali sono le ragioni di questa esplosione? Che agli inglesi non sia mai piaciuta l’idea dell’Unione Europea è storia nota: dal popolare detto “Fog in the Channel, Continent cut off” alla storica “I want my money back” pronunciata dalla Thatcher nel corso del congresso per il bilancio finanziario di Fontainbleau del 1984.
Ma è proprio qui che si capisce il perché della vittoria dell’UKIP: il partito Conservatore è sempre stato il partito euroscettico per antonomasia sulla scena, anche dopo la fine dell’era Thatcher con la leadership di Ian Duncan Smith.
L’arrivo sulla scena di David Cameron e la sua vittoria nel 2010 hanno segnato un punto di svolta, spostando il partito verso il centro e verso l’UE.
Ma soprattutto, per poter governare, Cameron si è alleato con i liberaldemocratici, ossia il partito più europeista di Gran Bretagna insieme ai Labour: dunque la sua politica europea è sempre stata piuttosto ambigua.
Cameron non ha trasmesso mai l’immagine di un leader forte, né in campo nazionale, né sulla scena internazionale. Nonostante il suo non-euroscetticismo e l’importanza della Gran Bretagna in UE, la sensazione è stata di estromissione dalle decisioni che contano.
È stato anche accusato di incompetenza dai suoi stessi compagni di partito, dopo le batoste subite nelle amministrative. Ma hanno concorso altri fattori: la crisi economica, veemente anche qui in UK; ma anche il Murdochgate (che ha coinvolto diversi suoi collaboratori) e il referendum sull’indipendenza scozzese che si voterà questo settembre.
Se non sono rose per l’attuale premier, il suo alleato di governo e leader dei liberaldemocratici Nick Clegg se la passa molto peggio, soprattutto per aver disatteso molte delle promesse fatte in campagna elettorale (tipo la battaglia sulla riduzione delle tasse universitarie, che al contrario il governo Cameron ha aumentato fortemente). Clegg ha pagato l’aver detto troppe volte sì ai conservatori.
Sono stati proprio i liberaldemocratici i veri perdenti: hanno dilapidato quasi metà dei voti (-7%) e praticamente tutti i seggi, chiudendo addirittura dietro i Verdi.
Ed Miliband, il leader dei laburisti, non ha saputo approfittarne appieno: il suo partito in Inghilterra si è fermato al 25% e deve ringraziare Scozia e Galles se i Labour hanno più seggi dei conservatori.
A suo discapito, c’è da dire che è riuscito ad invertire un trend sfavorevole (il Labour perdeva voti in Europa da 20 anni: miglior prestazione dei Labour nelle Europee dal 1999), ma non è sicuramente una vittoria.
È poi altresì innegabile che i conservatori non sono più così anti-EU, e dunque è cessato il monopolio del Labour su questo genere di elettorato: i Tory hanno “invaso” un bacino di voti prima di appannaggio lib-dem e laburista.
Inoltre, la contemporanea ascesa dei Verdi in Inghilterra e dello Scottish National Party in Scozia (in quella terra che in teoria è sempre stata il grande serbatoio della sinistra: ne abbiamo parlato qui) ha rosicchiato via tanti voti tradizionalmente labour.
Tuttavia, la leadership di Miliband resta in netta ascesa, nonostante alcune (piccole) gaffes in campagna elettorale.
Quali, dunque, le possibili conseguenze? La prima è sicuramente il cosiddetto referendum sull’UE: Cameron si era già detto favorevole ad una consultazione per uscire dall’Unione Europea dopo le prossime elezioni del 2015, e questa vittoria dell’UKIP potrebbe accelerare il processo. Si parla già del 2017 come ipotetica data.
Un’altra conseguenza politica potrebbe essere il siluramento come segretario dei liberaldemocratici di Nick Clegg. Qualcuno ha anche chiesto la testa di Cameron, anche se questa è una ipotesi improbabile.
Il voto potrebbe avere un’altra implicazione, più profonda. Nelle elezioni amministrative nordirlandesi c’è stato lo storico trionfo degli indipendentisti dello Sinn Fein, mentre nelle europee i primi partiti in Scozia e Irlanda del Nord sono stati Scottish National Party (partito indipendentista e socialdemocratico, altro vincitore delle urne in queste elezioni) e nuovamente Sinn Fein.
Questo voto potrebbe segnare un grosso spartiacque, indicando un destino diverso tra Scozia, regno Unito e NordIrlanda: nella terra delle cornamuse, regione profondamente europeista (nella quale il quasi 70% dei voti è andato a movimenti di sinistra: SNP, Labour e Verdi), l’UKIP si è fermato sotto il 20%.
Il referendum del prossimo settembre ci farà capire molto di più sulle sorti di questo spicchio del Vecchio Continente.
Alessandro Sabatino
@Ondaanomala1