Ambra è una donna nigeriana che oggi avrebbe quasi 33 anni. È arrivata in Italia nei primi anni 2000 con un regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro. L’aveva ottenuto grazie alla richiesta di un’altra donna, anche lei nigeriana. Desiderava avere lei come colf. Lei e nessun’altra.
Questa signora conosceva Ambra perché un tempo vivevano nello stesso villaggio nell’Edo State e sapeva che quella ragazza aveva bisogno di aiuto: la sua famiglia era molto povera.
Fu così che Ambra parte da Lagos in aereo – no, niente barcone -, arriva a Milano e poi prende il treno per Torino. È sotto la Mole che scopre la vera natura di quella brava signora: non si trattava della sua datrice di lavoro, ma della sua maman.
Le maman sono donne che sfruttano altre donne: le mandano a prostituirsi, le obbligano a vendere il loro corpo e si impossessano dei guadagni del loro “lavoro”. Non è facile ribellarsi a loro, perché sono a capo di un’organizzazione a metà tra il criminale e la stregoneria. Hanno il pieno controllo e sanno essere molto brutali e violente.
Si diventa maman dopo una vita passata per strada, da sfruttata. Tutta la loro cattiveria non è innata, quindi, ma deriva a sua volta dalla sofferenza di chi è sfruttato, seguendo quel meccanismo perverso che porta alla trasformazione da vittima a carnefice.
Il ritratto della maman di Ambra è quello di tante altre che operano in tutta Europa. Ma in lei c’è qualcosa di ancora più subdolo. È riuscita a fare entrare Ambra in Italia in modo regolare, con la promessa di un impiego e con il permesso di soggiorno per lavoro subordinato come colf. Un permesso che le verrà sottratto dalla sua sfruttatrice e che sarà tenuto in pegno.
Ambra, intanto, finisce per strada a vendere il suo corpo per pochi euro.
L’immaginario di un nuovo paradiso in Italia si tramuta in una realtà infernale fatta di violenze fisiche e psicologiche, soggiogamenti, ricatti e paura.
Ambra sta male. Un male che molti di noi non possono immaginare e che lei non riesce a verbalizzare.
È in strada che si è ammalata, e l’HIV ha fatto emergere sofferenze passate che l’hanno condotta a uno stato catatonico.
Nei periodi in cui non lavora in strada, Ambra frequenta diverse associazioni che si occupano di stranieri e la chiesa evangelica africana, ma non parla con nessuno.
Vive l’apice della sua sofferenza nel periodo di Natale di qualche anno fa, quando, ossessionata dalla sua malattia che colpisce il sangue non fa che circondarsi di cose rosse, siano essi vestiti o oggetti. Per una notte intera rimane in piedi sulla stessa piastrella, ferma, davanti alle luci dell’albero di Natale. Quel Natale Ambra lo passa in un reparto psichiatrico; alcuni operatori delle associazioni e gli amici della chiesa passano a trovarla.
È una sofferenza difficile da comprendere perché ricca di aspetti culturali che nemmeno alcuni suoi connazionali riescono a spiegare, cosi carica di dolore che nessuno specialista sembra sapere cosa fare.
Ambra soffre continuamente: oltre alla sofferenza psicologica c’è anche una patologia fisica che se non curata non lascia scampo.
Negli ultimi anni Ambra, regolarmente soggiornante, decide di lasciarsi morire: non segue più le terapie. È una donna testarda, in tutta la sua sofferenza.
A nulla servono i tentativi dei diversi operatori sociali e sanitari che la conoscono da anni, a nulla servono le parole degli amici della chiesa: Ambra vuole andarsene.
E cosi è stato: come nella pietra dell’ambra rimangono intrappolate le farfalle, Ambra è rimasta in trappola della sua stessa storia, della sua malattia, delle persone che le hanno fatto del male e della solitudine.
Oggi è il giorno in cui abbiamo salutato definitivamente quella donna fragile, ma forte. Avremmo voluto portarla in Nigeria, ma ciò non è stato possibile perché i suoi genitori sono morti e i suoi sette fratelli sono in giro per l’Europa e hanno ritenuto che fosse più opportuno seppellirla qui, dove ha passato gli ultimi dieci anni di vita.
Ancora una volta Ambra è intrappolata in questa terra che qualcosa le ha dato, ma sicuramente molto le ha tolto.
Ultimamente quando si parla di stranieri il collegamento che avviene quasi automaticamente è quello ai profughi, che arrivano sulle nostre coste per scappare dalla guerra. Spesso, nell’affrontare lo spinoso argomento, si sentono affermazioni del tipo “Se vengono qui devono lavorare” o “Chi non lavora se ne torni a casa propria”.
Ecco, in Italia è quasi impossibile per un migrante varcare la frontiera regolarmente per venire a lavorare.
Ed è molto difficile avere una vita normale. Burocrazia, leggi e indifferenza hanno intrappolato Ambra.
Il minimo che possiamo fare è diffondere la sua storia, tremendamente simile a molte altre.
Eleonora Ferraro
@twitTagli