
È di ieri l’annuncio della morte dello storico Jacques Le Goff, insigne medievista. Era nato a Toulon all’alba del 1° gennaio 1924: strana coincidenza; se vogliamo, il suo lavoro e la sua ricerca sono corrisposte all’alba di una nuova visione d’insieme della storiografia.
A una radio svizzera raccontò di aver avuto la sua prima infatuazione per la storia da piccolo, quando lesse il romanzo di Walter Scott, Ivanhoe. Quell’amore e quell’interesse non lo hanno da allora più abbandonato, accompagnandolo attraverso il dramma della guerra e portandolo ad aderire alla École des Annales, nata intorno alla rivista fondata dagli storici Marc Bloch e Lucien Febvre.
La Scuola delle Annales ebbe il grande merito di aprire la ricerca storica all’analisi comparata, coinvolgendo nel suo studio altre discipline come la sociologia, l’antropologia, l’economia, la geografia, etc. contribuendo a salvarla dall’aridità dell’erudizione tipica del positivismo.
Da una serie di dati e di date, la storia diveniva «scienza degli uomini nella società dei tempi». Ciò aumentava non di poco la problematica della ricostruzione e della ricerca: gli uomini e le donne divenivano oggetto della storia, ciò significava conoscere il loro essere (corpi, sensibilità, mentalità…) in tutti i campi (vita quotidiana, vita materiale, tecniche, economia, società, credenze, idee, politiche…) secondo i loro caratteri individuali, ma anche e soprattutto collettivi.
Citando lo stesso Le Goff potremmo dire che «la storia non è la scienza degli uomini del passato e nel passato, ma è la scienza degli uomini nei tempi, nel cambiamento» (Jacques Le Goff, L’histoire aujourd’hui, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2/2000, p. 217). Finiva, in una parola, l’illusione di poter cristallizzare la conoscenza storica affidandosi ingenuamente alla semplice lettura del documento.
I grandi avvenimenti perdevano così il loro potere incontrastato, gli storici si rivolgevano con interesse alla ricostruzione della vita quotidiana, della società, dei quadri mentali individuali e collettivi. Le Goff è stato in questo senso un grande rappresentante di questa nuova tendenza, raggiungendo anche un’invidiabile capacità divulgativa che ha reso la storia una materia sempre più leggibile e fruibile a un più vasto pubblico.
In particolare Le Goff contribuì a rimuovere l’idea del Medioevo come età buia, età appunto “di mezzo” tra quella classica e quella rinascimentale. A lui si deve l’idea di un «lungo Medioevo» che parte dal II-III secolo d.C. per morire progressivamente all’avanzare delle rivoluzioni industriali.
Dando un’occhiata agli studi più importanti di Le Goff si può in effetti notare come al centro dei suoi interessi ci siano state le figure più intriganti del Medioevo (Mercanti e banchieri nel Medioevo, 1956; Gli intellettuali nel Medioevo, 1957; La borsa e la vita. Dall’usuraio al banchiere, 1986), la società (La civiltà dell’Occidente medievale, 1964; Per una storia delle malattie, 1986; La cucina e la tavola, 1987), ma soprattutto l’uomo e le sue idee (L’immaginario medievale, 1985; L’uomo del medioevo, 1994; Il corpo nel Medioevo, 2003).
In un’intervista, intitolata significativamente Una vita per la storia, Le Goff ha insistito sul fatto che lo storico non fa della ricerca asettica né ascetica, bensì compia un lavoro coinvolgente, che lo riguarda, che ci riguarda. Sarà per questo che, in più di un’occasione, ha parlato di sé stesso come di un ricercatore e di uno scrittore, e ciò spiegherebbe peraltro il suo amore per il cinema e la sua amicizia con registi e cineasti: il nostro ha partecipato, tra l’altro, alla consulenza nella trasposizione de Il Nome della Rosa e ha offerto il suo contributo alla stesura del romanzo fantastorico di George R. R. Martin, I fiumi della guerra.
Ma – tornando a meno curiose e più boriose questioni storiche – Le Goff era anche ben consapevole che la Scuola delle Annales, e quindi anche la sua metodologia, fossero in fase di superamento. Espresse pertanto alcune indicazioni sullo sviluppo della ricerca storica del domani che val la pena registrare:
- una nuova relazione con le scienze sociali e con la geografia;
- un più attento studio sulla semantica che permetta di trasformare in documenti di storia le immagini, i risultati dell’archeologia, le gesta, i paesaggi;
- un pensare a tappare i buchi, le lacune della documentazione e a costruire una storia dei silenzi;
- una rigenerazione completa delle scienze ausiliarie, in una esplorazione della produzione storica della memoria.
L’idea è quella «di mordere razionalmente sull’avvenire», sempre per rispondere alle annose questioni sull’utilità della storia e sul cercare di capire chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo.
Alla fine del suo discorso tenuto all’Università di Pavia in occasione del conferimento della laurea honoris causa, così Jacques Le Goff volle concludere in merito a questo compito: «Compito immenso, esaltante. Torno all’inizio. La scienza storica è in fasce. Grandi speranze le sono concesse. Al lavoro!»
Con questo sprono, oltre che con le sue indicazioni, dobbiamo proseguire.
Grazie, maestro.
doc. NEMO
@twitTagli