Jacopo Fo, antiaccademico allo sbaraglio.

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Non molte settimane fa è uscito sul blog de «Il Fatto Quotidiano» un articolo di Iacopo Fo che tenta di far luce sul mistero delle piramidi, egizie e non. Partendo dalla recente scoperta di iscrizioni in protogeroglifico in un cunicolo all’interno della piramide di Cheope, il figlio d’arte mette su tutta una teoria volta a colpire tanto le ipotesi fantascientifiche quanto quelle ufficiali sull’uso e la costruzione delle piramidi. Liquidando in poche righe i fanatici dell’ufologia, il nostro passa poi gran parte dell’articolo a cercare di screditare in ogni modo le teorie accademiche ad oggi ritenute più verosimili.

In parole povere, la teoria esposta da Fo è che le piramidi siano state costruite da più antiche e pacifiche popolazioni di pescatori e contadini, che avrebbero sfruttato rialzi naturali o artificiali del terreno per costruire bacini idrici e aree al riparo dalle inondazioni fluviali. Conquistate da popoli guerrieri e da sovrani sanguinari, le primitive piramidi tronche avrebbero fornito la base per la costruzione delle piramidi con funzioni sepolcrali così come oggi le conosciamo.

SMENTITO DALLA SUA STESSA FONTE – Partiamo da alcune constatazioni nel merito del cunicolo della piramide di Cheope, da cui origina tutto l’articolo. Se si dà una lettura all’articolo del quotidiano «Il Fatto Storico» (che, nonostante la similitudine della testata, non ha nulla a che vedere col Fatto Quotidiano) cui rimanda con un link in ipertesto lo stesso Fo, comprendiamo subito che la questione è stata mal posta dal redattore.

Nuovo corridoio Cheope

Anzitutto il cunicolo in questione parte dalla camera sepolcrale della regina, pertanto dovrebbe essere semmai legato alla successiva edificazione della piramide da parte del faraone e non alla costruzione preesistente. Inoltre l’articolo citato da Fo non parla di scrittura protogeroglifica, ma proprio di «geroglifici scritti in rosso e linee – forse dei segni lasciati dagli operai durante la costruzione». Vengono citate anche le parole dell’egittologo Der Manuelian (Harvard University) che sostiene che i geroglifici ritrovati siano molto comuni nell’area di Giza.

Last but not least, il tunnel in questione punta verso l’alto e non pare avere uno scopo pratico, bensì simbolico: sarebbe stata, molto probabilmente, la via per il Ka del faraone verso il mondo ultraterreno. Cede ulteriormente l’ipotesi per la quale questi cunicoli potrebbero essere stati adibiti quali pozzi o bacini idrici.
Insomma, se non si fosse capito, Fo viene smentito dalla stessa fonte che cita.

 

QUESTIONI DI METODO – Ma proseguiamo. I passaggi attraverso cui Iacopo Fo enuncia e argomenta la sua ipotesi appaiono assai confusionari e comunque sia privi di rimandi adeguati. Vengono collegate e confrontate tra loro strutture molto differenti, dunque già il criterio comparativo appare debole e non del tutto autorizzato. Infatti, per quanto le antiche civiltà fluviali possano essere accomunate per una serie di motivi, restano comunque civiltà diverse e non tutte necessariamente in contatto tra loro.

 

La comparazione non appare condivisibile anche per altri aspetti. Ad esempio, Fo non inserisce nella sua comparazione le ziqqurat, primi grandi esempi di costruzioni piramidali nel Vicino Oriente Antico. Queste, seppure costruite in prossimità dei fiumi, avevano scopi ben diversi da quelli ipotizzati dal redattore. Non è poi chiaro a quali piramidi cinesi, indiane e indocinesi il nostro si riferisca: non fornisce dati o fonti, solo fotografie, una peraltro riferita al complesso di Angkor che non è certo una piramide. Fo fa inoltre sovente riferimento alla civiltà del Mississippi, recentemente riscoperta e tornata al centro degli interessi archeologici. Su questa civiltà si sa ancora poco, ma il redattore ne parla con un grado di certezza tale da trasformare le ipotesi sulle sue strutture piramidali (tante e ancora da verificare!) in verità scientifiche chiare e distinte.

 

Prendiamo però alcuni passaggi più tecnici dell’ipotesi di Fo: egli spiega che il materiale di costruzione delle primitive piramidi, l’argilla, avrebbe costituito un efficiente filtro nella raccolta dell’acqua contaminata delle inondazioni. Ora, le piramidi mesoamericane sono ad esempio costituite da pietrisco e lastre lavorate, dunque pare difficile ipotizzare che in tutto il mondo la struttura della piramide (o del tronco della piramide) avesse uno scopo di contrafforte alle inondazioni e indi della raccolta e del filtraggio dell’acqua delle stesse. Inoltre la funzione di osservatorio astronomico delle piramidi non viene neanche lontanamente presa in considerazione da Fo, cosa che pare invece verosimile tanto nel caso delle ziqqurat quanto nel caso delle piramidi mesoamericane.

 

Micerino-costruzione-300x216I calcoli dei costi umani ed economici nella costruzione delle piramidi riportati da Fo appaiono inoltre alquanto spropositati. Gli antichisti concordano ampiamente nel sostenere che alla costruzione delle piramidi egizie non partecipò solo ed esclusivamente manodopera schiava, ma anche lavoratori salariati e artigiani professionisti probabilmente anche ben foraggiati.
Dunque l’immagine di una società cruenta e schiavista che costruisce i suoi monumenti vanagloriosi su quelli di una precedente società pacifica e matriarcale non è del tutto corretta. Aggiungiamo che questa lettura del «buon selvaggio» e della sua civiltà è al centro di numerosi e accesi dibattiti a livello antropologico, archeologico e storico. In molti però ritengono oramai datate e inesatte queste teorie, dunque appare ancor più infondata (o comunque sia legata a vecchi inquadramenti) l’ipotesi di successione di civiltà ipotizzata da Fo.

 

TIRIAMO LE SOMME – Appare chiaro che l’ipotesi proposta dal nostro fa acqua da più di una parte. Di per sé non sarebbe malvagia e anzi sta iniziando a circolare anche a livello accademico (contrappasso?), anche se solo a livello di nicchia. Insomma è un’ipotesi, una tra le tante: sulla costruzione e la funzione delle piramidi esistono ad oggi diverse teorie accettabili ma ancora nessuna definitiva, nessuna che abbia messo un soddisfacente punto fermo sulla questione.

 

È però la maniera spavalda e sfrontata (definire le altre teorie delle bugie ne è un chiaro segnale) con cui Fo si avventura, non da ieri peraltro, in questo terreno accidentato che lascia alquanto perplessi. A quanto ci è dato sapere il nostro non ha competenze, non ha un iter di studi alle spalle, non ha neanche accesso alle fonti primarie indispensabili nel caso specifico. Avrebbe a disposizione d’altro canto un ampissimo repertorio di fonti secondarie e di inquadramenti critici che però manca di segnalare o di utilizzare a sostegno della propria tesi.

 

L’articolo di Fo, e in generale la sua produzione bibliografica, appaiono viziate da un antiaccademismo più ideologico che scientifico. L’impressione è che il personaggio valga più del ricercatore. Ecco quindi emergere lo studioso alternativo, operante al di fuori dei canali ufficiali, pronto a svelare tutte le verità che l’istruzione ufficiale e ministeriale copre per sua convenienza. Ergo, le tesi del nostro sarebbero verosimili e oneste mentre tutto il resto della comunità scientifica che non la pensa come lui viene ridotta a una massa di bugiardi.
L’appeal è senza dubbio allettante, probabilmente garantisce anche diversi follower.

 

Ora, avere una teoria alternativa non è di per sé un male, ma porsi con questa supponenza contro un mondo di accademici e ricercatori (tutti pregiudizialmente bugiardi in malafede, ricordiamolo) non ha giustificazione alcuna. Tanto più se non è supportata da fonti. Contestare le teorie che non si ritengono valide adducendo prove e argomenti è l’elemento principe della deontologia professionale di ogni storico e archeologo. Non si capisce per quale motivo Iacopo Fo possa chiamarsene fuori. Che sia frutto di una temperie (ahimè, oramai sempre più diffusa) che, servendosi della sempre maggiore orizzontalità e accessibilità a informazioni di qualsivoglia tipo, pretende di rinunciare alle metodologie, agli strumenti, ai codici deontologici?

 

Ci auguriamo di no. Resta il fatto che Fo e «Il Fatto Quotidiano», che ha comunque accettato di ospitarne l’articolo, sembrano essere stati contagiati da quest’ultima.

 

doc. NEMO
(con l’importante e prezioso contributo di Aldo Giuseppe Scarselli e Federico Longo)
@twitTagli

 

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