“Marktkonforme Demokratie”, democrazia conforme al mercato. È un’espressione coniata da Angela Merkel nel settembre 2011 durante un’intervista alla radio pubblica tedesca ed è nella sostanza il concetto espresso ieri sera dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: il pensiero politico del candidato al ministero dell’economia Paolo Savona non era conforme alle opinioni del mercato, per questo la sua figura era irricevibile.
Queste dichiarazioni, preludio a una crisi istituzionale gravissima, hanno almeno avuto il merito di squarciare definitivamente l’ipocrisia del nostro dibattito pubblico: non importa quali partiti votino i cittadini, non importa se essi scelgano in maggioranza di adottare misure che potrebbero intaccare, anche in parte, le infrastrutture economiche e finanziarie sovranazionali, non importa davvero la democrazia, perché esistono aspetti del potere che non possono essere toccati, pena la ritorsione dei mercati. Mercati e democrazia sono dunque compatibili soltanto finché gli investitori stranieri, che spesso non sono altro che speculatori pronti a vendere e comprare titoli di Stato secondo convenienza, ricevono rassicurazioni. Qualunque messa in discussione dello status quo, provenga essa da sinistra (come avvenuto con Tsipras) o da destra (cioè il caso Savona, economista di area Lega), è destinata a essere stroncata. Si tratta dunque di un’ammissione clamorosa, e faremmo tutti bene a coglierne la portata.
In questo momento, a sinistra molti sono tuttavia distratti da considerazioni partigiane sulla natura dell’esecutivo che stava per nascere. Tirano un sospiro di sollievo perché Mattarella, ponendo il veto su Savona, ha impedito il sorgere di un governo gialloverde. Ma è piuttosto evidente che l’esito della forzatura istituzionale del Presidente determinerà esattamente l’effetto contrario a quello sperato, ovvero un irrobustimento dei due partiti – ora, sì, veementemente anti-europeisti – e probabilmente di nuovo alleati nella prossima legislatura. Cosa farà Mattarella? Respingerà in eterno la nomina di un ministro dell’economia critico nei confronti della moneta unica?
Tanto più che le conseguenze del gran rifiuto di Mattarella trascendono la contingenza politica per stagliarsi su un orizzonte temporale più lungo, perché mettono nero su bianco la subordinazione della democrazia parlamentare a vincoli economici esterni alla volontà popolare e retti da una burocrazia di tecnici e manager: i trattati europei, l’euro, le valutazioni delle agenzie di rating, l’andamento dello spread. Allo stato attuale, persino economisti moderati come Paul Krugman e Joseph Stiglitz, secondo i quali l’euro, così com’è, è stato un fallimento, avrebbero un profilo troppo estremista per essere considerati idonei a un dicastero italiano.
La vera domanda quindi è: sarà mai possibile rimettere mano ai vincoli esterni che ora impediscono allo Stato di fornire alla popolazione decenti misure di protezione sociale, o la dittatura dei mercati – che aveva già ricattato e poi fatto capitolare il governo greco nel 2015 – troverà nuove e imprevedibili strade per assicurarsi esecutivi compiacenti?
Jacopo Di Miceli