Quella vecchia intervista… un omaggio a Sauro Tomà, l’ultimo degli Invincibili

Quella che segue è una brutta intervista. È ingenua e piena di difetti.
È stata raccolta da chi firma questo pezzo quando era davvero alle primissime armi. Sembra un altro secolo: ricordo di aver chiamato questo meraviglioso signore componendo lo 011, su un telefono fisso; ancora c’era fiducia in Cairo (noterete una devota maiuscola in “Presidente”); ancora gli smartphone non avevano cambiato le nostre vite e il nostro modo di relazionarci.
Quella che segue è un’intervista preziosa: l’intervistato è infatti Sauro Tomà,  scomparso ieri a 92 anni.
Riproporla oggi è un omaggio.
Abbiamo deciso di pubblicarla nella sua interezza, senza cambiare nulla neanche nell’attacco, che descrive il contesto nel quale questa intervista fu concepita, una dozzina di anni fa.

Sauro Tomà
Sauro Tomà prima di una partita del Grande Torino

Torino, 3 dicembre 1906. L’inverno è alle porte, l’aria è gelida. Nel tepore della birreria Voigt, oggi bar Norman, nasceva, dall’alleanza tra l’Fc Torinese e un gruppo di dissidenti della Juventus, il Foot Ball Club Torino.
Torino, 3 dicembre 2006. Stesso clima gelido di cento anni prima, ma questa volta a portare calore i 30 mila cuori dello Stadio Olimpico. Un gran gol di Comotto, a due minuti dalla fine, regala al Torino la vittoria per 1-0 sull’Empoli, proprio nel giorno del centenario. Prima del match, una grande festa: sul campo sfilano tra gli applausi cento tra i giocatori e tecnici più rappresentativi della storia granata. Idealmente, uno per anno.
Certamente difficile, forse superfluo, ricordare tutti i momenti di gioia e dolore vissuti in cento anni di Toro: dalla fondazione al primo scudetto, revocato nel ‘27 e riconquistato l’anno successivo; dalla leggenda degli Invincibili alla tragedia di Superga; dalla favola di Meroni ai meravigliosi Anni ’70, quelli dello scudetto e dei tanti derby vinti, quelli di Pulici & Graziani; dai tre pali di Amsterdam alle vicissitudini degli Anni ’90 e 2000 fino alla rinascita con il nuovo Presidente.
Torniamo alla festa del centenario, torniamo al 3 dicembre. Una parata di vecchie glorie precede la partita, solo il primo episodio di una serie di festeggiamenti destinati a durare tutto l’anno in corso; tra i campioni presenti non poteva mancare Sauro Tomà, classe 1925, ex difensore, unico superstite del Grande Torino scomparso a Superga.

Tomà, lei è la memoria storica del Torino; ha vissuto di persona gli anni più gloriosi ed eroici del pallone. Le piace ancora questo calcio?
Le darò una risposta che forse non si aspetta: nell’insieme riesco a farmi piacere molto anche il calcio odierno, pur così cambiato per cultura, tecnica e danari. Un solo esempio: quando giocavo speravo che il pallone, su rinvio del portiere avversario, arrivasse nella mia zona, perché ero abile a colpire di testa; ma le cuciture di cuoio del pallone erano durissime e in rilievo, quel laccio vivo si stampava sulla fronte lasciando segni dolorosissimi; oggi, invece, anche i palloni sono prodigi di tecnologia”.

E il Toro? Si sente ancora legato alla maglia granata?
Questa casacca gloriosa ha il potere di emozionarmi ancora. Rappresenta la città in cui, spezzino di nascita, ho quasi sempre vissuto; terminata la carriera da calciatore, vi ho gestito dapprima una cartoleria e poi un’edicola.

Sauro Tomà
Sauro Tomà si allena al Filadelfia

Non mi dica di essere stato un edicolante e un cartolaio. Lei ha fatto prima il calciatore e poi il bardo.
In un certo senso è così. Ho seminato la mia presenza regalando foto e cartoline; ho raccontato aneddoti; ogni giorno parlo, a chi mi saluta, di Mazzola e compagni; capita che anche i più giovani mi riconoscano e mi fermino per strada: io rispetto loro e loro rispettano me, con la mia esperienza, il mio essere la memoria storica di quel periodo meraviglioso. Tutti mi chiedono del Grande Torino, ovviamente.

Una squadra che l’ha cambiato?
Allo Spezia, da cui provenivo, giocavo da libero. Poi mi sono trasformato in terzino metodista. Mazzola mi faceva sempre fare bella figura… Lui e gli altri si muovevano, dettavano il passaggio, non era difficile servirli.

Mi racconti qualche episodio curioso.
Ricordo l’arbitro Bellé di Venezia, ci salutammo affettuosamente prima di una partita perché ci eravamo conosciuti a Borgo Taro, vicino a Parma, durante la guerra. Noi spezzini andavamo spesso da quelle parti, là era meno difficile trovare da mangiare. Naturalmente gli avversari pensarono subito ad un tentativo di corruzione… Sempre a Parma conobbi il giornalista Bruno Raschi, che mi dedicò un’intera pagina su Tuttosport: «Tomà non poteva morire a Superga: troppo gentleman, troppo saracino». Ancora oggi, non so che cosa intendesse con quel “saracino”. Pochi sanno, infine, che mio fratello Sirio detto Leonetto era un calciatore ancora più forte di me; non sfondò, ma mi dava consigli in dialetto dopo le partite: «Sauro, devi essere “ciù cativu” nei contrasti».

E lo scorso 3 dicembre che cosa le ha lasciato?
Durante la festa avevo il batticuore come prima di una partita. Anzi, ancora di più. C’erano tanti club sugli spalti, l’applauso di quello dei granata di La Spezia è stato naturalmente il più sentito.

Per finire: c’è qualcosa che avrebbe voluto cambiare, nella sua carriera? 
Mi sarebbe piaciuto allenare lo Spezia; purtroppo i dirigenti non erano d’accordo…

Andrea Donna, 3 dicembre 2006

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