Incontro con l’attivista dei diritti civili Ira Grupper (e tutte le sue anime)

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Tra le persone che tutti nella vita dovremmo incontrare almeno una volta, c’è sicuramente Ira Grupper. Grupper è un attivista per i diritti civili, un giornalista ed un professore di Storia americana dei Diritti Civili: sta viaggiando per l’Europa al fine di conoscere meglio la complicatissima realtà della discriminazione degli migranti nel territorio europeo ed è stato anche a Torino,  accompagnato dallo staff del Centro d’Iniziativa per l’Europa in Piemonte (CIE). 
Ho avuto l’occasione di farci una chiacchierata.

Prima di intervistarlo ho cercato informazioni su di lui. Purtroppo, essendo semplicemente un uomo che vuole cambiare il mondo, ho trovato meno di quanto sperassi: una pagina di KeyKiwi che parla della sua adesione ai CCDS (Committees of Correspondence for Democracy and Socialism) e del suo contributo alla conferenza di Havana nel 2013, alcuni dei suoi Labour Paeans pubblicati tra il 1998 ed il 2011 su FORsooth e poco altro. ù
Leggo dei suoi viaggi tra Stati Uniti, Sud America e Israele e della sua paura di morire sulla striscia di Gaza; vengo a sapere che è stato in prigione ai tempi dei Labor Movements e che non si è opposto alle condanne che ha ricevuto; scopro che oltre a viaggiare, parlare con le persone, rischiare la vita e lottare per le minoranze sociali per decenni, insegna pure Storia Americana dei Diritti Civili.
Così, quando lo incontro, la prima cosa che faccio è chiedergli come si fa ad essere tutte queste cose insieme e riuscire a non perdere se stessi.

Ira Grupper – che come abbiamo detto è un insegnante – mi spiega con pedagogica calma e chiarezza che essere attivisti e giornalisti allo stesso tempo è estremamente difficile, perché bisogna scindere l’obiettività necessaria al giornalista dalle proprie opinioni personali ed il proprio credo, talvolta.
Mi racconta di come il dualismo dell’animo umano, lottando per degli ideali, è un problema che nasce subito, così come per lui è stato in ambito familiare, dove si è dovuto confrontare con persone che non combattevano le stesse lotte che sosteneva lui.
È una sfida continua, dice, essere più persone assieme (e me ne accorgo io stessa perché, mentre l’attivista Grupper mi racconta la sua vita, il giornalista Grupper mi inonda di domande sulla mia: al mio “qual era il contesto sociale in cui ha vissuto?” segue il suo “E tu? Parlami di come sei cresciuta tu!” . E allora finisco per raccontargli la mia vita, di chi sono figlia e come sono stata cresciuta).

Sarà il professor Grupper, e non l’attivista o il giornalista, a spiegarmi il significato delle parole e della sua idea di pacifismo come tattica preferibile al pacifismo come filosofia.
A suo dire, il pacifismo come filosofia è poco utile per una lotta intelligente alle discriminazioni sociali. “Quando mi hanno arrestato, io non ho protestato e la situazione non è peggiorata; ma se qualcuno in questo momento venisse qui e ti picchiasse o ti violentasse, io cercherei di fargli del male a mia volta”.
Gli chiedo se è rimasto un ebreo ortodosso. “No, io sono ateo, ho ricevuto un’educazione ortodossa, ma adesso non credo in Dio. E tu?””.
Io, gli dico, non sono stata battezzata; i miei genitori mi hanno comprato libri che parlavano di tutte le religioni e mi hanno detto che ero libera di scegliere da sola quello a cui credere. “A big present from your parents”, risponde Ira “really a big, big present”.

Gli chiedo cosa pensa dell’Europa, della crisi economica che tanti vedono come una delle cause fondamentali allo sviluppo di nuove politiche radicali, dell’ipotesi che ci sia ancora una possibilità di salvarsi da nuovi stermini e crisi continentali.
Grupper mi risponde che sì, secondo lui c’è sempre una speranza; la crisi economica è un fattore scatenante ma non è l’unico – e lui crede nel cambiare le persone, le idee, nel lottare e sacrificarsi.
Ad esempio come ha fatto Georgakis, l’attivista greco – che ha conosciuto- o come chiunque in questo momento stia parlando delle stesse cose di cui stiamo parlando noi: “Le persone parlano sempre delle stesse cose banali: lavoro, soldi, sesso. Lo fanno perché non conoscono le cose, non sanno cos’altro c’è, quindi è fondamentale far loro conoscere altre realtà, dare loro degli imput esterni”.

Sei un sognatore, mister Grupper?” gli chiedo io, ad un certo punto: mi sembra strano al limite dell’assurdo che un uomo della sua età, che ha vissuto situazioni di enorme difficoltà ed è stato di fronte a manifestazioni di violenza umana inaudite, possa essere tanto positivo nei confronti della gente.
Non sono un sognatore, sono un idealista” mi risponde “credo che le cose si possano sempre cambiare, credo che basti una sola persona, come Rosa Parks, a fare le rivoluzioni”.

Prima di finire la nostra lunga chiacchierata l’attivista Grupper mi darà i suoi contatti mail, mentre il giornalista Grupper si segnerà i miei dati e i miei recapiti sul suo block notes, compreso il nome di questo sito: è molto interessato al fatto che scriva per un giornale e che lo faccia gratis. “Scrivere è importantissimo, bisogna sempre comunicare, reintrodurre termini che non vanno più di moda come “social minorities” (in America, n.d.a.). Le parole sono importanti per combattere l’ignoranza: anche io scrivo e anche io non vengo pagato, ma lo faccio perché è fondamentale. Continua a farlo anche tu”.

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