Tutti in questi giorni parlano delle “tre maggioranze” di Matteo Renzi. Dando ovviamente per scontato che il grande pubblico ci si raccapezzi.
Quali sono queste maggioranze? Da chi sono composte?
LA MAGGIORANZA DI GOVERNO
La prima maggioranza è la maggioranza “classica”, quella che vota la fiducia al governo e che, se viene a mancare, lo fa cadere.
Attualmente è composta dal PD per intero, dal Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano e dalle macerie dei partiti di Monti (Scelta Civica) e Casini (Unione di Centro): insomma, un governo di coalizione che potremmo chiamare “di piccole intese”, giacché l’esecutivo è sostanzialmente di centrosinistra ma con la stampella di forze teoricamente avversarie eppure alleate per l’occasione.
Una stampella costosa, se è vero che agli uomini di Angelino Alfano sono andati tre dei 6 ministeri storicamente “di peso” (interno, infrastrutture & trasporti, salute; gli altri tre sono tesoro, giustizia ed esteri). Ma questo è l’equilibrio che il Parlamento ha trovato per esprimere un governo, e finché dura…
LA MAGGIORANZA PER LE RIFORME
I numeri garantiti dalla maggioranza di governo però sono troppo bassi per imbarcarsi in una riforma complessiva ed approfondita del sistema politico: entra in scena il Patto del Nazareno (una zeta sola, prego).
Il sogno di chiunque voglia riformare la Costituzione è quella di approvare le leggi costituzionali con la maggioranza dei 2/3 alla seconda votazione: se si raggiunge questa soglia, viene tolta la possibilità di indire un referendum costituzionale sulle modifiche effettuate (referendum che, stante il generale conservatorismo del popolo, ha una probabilità del 99,9% di veder stoppata qualunque riforma).
Dunque, per usufruire di questo scudo fornito dall’art. 138 della Costituzione Matteo Renzi ha dovuto cercare una maggioranza molto più solida delle “piccole intese” di cui parlavamo prima: non bastavano certo i voti del partitino di Alfano per una manovra del genere. Soprattutto se si conta l’opposizione radicale della minoranza PD, dannosissima per Renzi soprattutto al Senato (dove i numeri sono bassi per i democratici).
Sicché, ecco l’accordo con l’altra forza politica di peso: eliminati i farraginosi grillini per manifesta inadeguatezza, rimaneva solo Forza Italia; ed è proprio ai senatori di Forza Italia che Renzi si è rivolto per mandare avanti i disegni di legge.
Con Forza Italia si è discusso finora di Italicum (la legge elettorale) e di riforma della Costituzione, sulla base del principio – nemmeno poi così sbagliato, a livello assoluto – che le riforme sistematiche si realizzano in accordo con gli avversari.
Che poi gli avversari siano più o meno presentabili è un discorso tutto politico e quindi contingente – ma pure secondario.
LA MAGGIORANZA PER IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Il problema sorge in questi giorni, nei quali Renzi si è trovato costretto a dimostrare che nell’accordo delle riforme non era stata mercanteggiata anche la più alta carica dello Stato.
Il problema, ad una analisi cinica, sarebbe insussistente: da Machiavelli in giù, ogni cosa è trattabile in un’ottica generale. Il punto era – nuovamente – del tutto politico, di immagine: tuttavia, Renzi non aveva forza sufficiente per sbattere il pugno sul tavolo e far trangugiare ai suoi oppositori interni un’altra implicazione dell’accordo per le riforme.
Decidere “ufficialmente” il candidato con Berlusconi avrebbe creato il pretesto (esatto: pretesto. Niente di più) per mostrarsi ancora più scandalizzati, trovando una buona ragione per scindere il Partito Democratico.
Dunque Renzi ha cercato una terza maggioranza: il nome di Sergio Mattarella ha compattato magicamente il Partito Democratico e i vendoliani di SEL; inoltre, poteva apparire appetibile anche nei confronti della quarantina scarsa di transfughi grillini, schegge impazzite che al momento opportuno potevano far comodo.
A quel punto, sia l’alleato di governo (NCD) che l’alleato per le riforme istituzionali (FI) sono rimasti spiazzati: non accodarsi all’elezione di Mattarella avrebbe significato compromettere le alleanze finora instaurate (soprattutto per quel che riguarda i “governativi”); votare Mattarella significava passare dallo status di alleati a quello di subalterni.
DUE CONSIDERAZIONI
Abbiamo visto come hanno reagito gli alfaniani: in un pomeriggio, hanno capito che da una crisi di governo avevano solo da perderci (li ricordate i tre ministeri pesanti? C’è da dubitare che in un ipotetico rimpasto sarebbero stati di nuovo contrattabili…); perciò si sono accodati al volere di Renzi, certificando quello che tutti quanti sapevano circa i rapporti di forza tra PD e NCD.
Un po’ peggio hanno reagito i berlusconiani, che hanno finalmente provato anche loro l’ebbrezza dei franchi tiratori.
Forza Italia, spaccandosi, ha creato due tronconi: quelli che non ci stanno a diventare subalterni anche sul piano delle riforme (corrente di Fitto) e quelli del “piuttosto che niente meglio piuttosto“, che tentano di salvare il salvabile degli accordi sulle riforme già operativi.
Toccherà a Renzi ricucire i rapporti con un numero di parlamentari sufficiente a riformare la Costituzione secondo i suoi desiderata; altrimenti, avremo (e avrà) perso non solo il tempo, ma anche la sua occasione.
In secondo luogo, c’è da registrare il disappunto di Renato Brunetta: quando Enrico Mentana gli faceva notare l’alternarsi delle “tre maggioranze”, l’ex ministro aveva risposto piccato che “tre Maggioranze? E chi è Renzi per credere di poter gestire tre maggioranze, Mandrake?“.
Disappunto condivisibile: perché avere una scappatella extraconiugale ogni tanto è ancora ancora comprensibile, ma flirtare serialmente con tre compagne diverse è da poco di buono.
Perché allora le “amanti” si lasciano trattare così? Perché nessuna di loro fa saltare il banco?
Perché tutto questo equilibrio si regge sul terrore dei parlamentari di perdere il posto: essi sono assai ubbidienti alle direttive dei vari leader, e solo a questi è concesso il lusso del calcolo.
Solo loro possono decidere quanto e fino a quando essere disponibili – e considerati i sondaggi, Forza Italia e NCD saranno disponibili ancora a lungo, ché nessuno dei due ha convenienza ad andare a elezioni.
I parlamentari, dal canto loro, devono votare con molta attenzione, perché le liste sono ancora bloccate e firmate dai segretari di partito: non che in passato le cose andassero in maniera clamorosamente diversa; tuttavia c’era uno spazio di manovra in cui le opposizioni interne ai vari partiti potevano far pesare un po’ di più il loro dissenso.
La situazione attuale, invece, è in fondo quella che tutti temevano in conseguenza del Porcellum: “Avrete in Parlamento gente perennemente sotto scacco, che voterà tutto quello che verrà loro comandato nella paura a) di andare a casa e b) di non essere più ricandidati”. Come volevasi dimostrare.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi