
Il derivato, questo “oggetto” oscuro di cui sentiamo parlare tutti i giorni, sembra essere la causa di tutti i mali dell’economia mondiale.
Li abbiamo sentiti definire “titoli tossici”; vagamente sappiamo che sono stati la causa del fallimento della Lehman Brothers, la banca d’affari il cui crollo ha dato inizio alla terribile crisi dalla quale ancora non riusciamo ad uscire.
Proviamo a capire però cosa sono in concreto questi derivati. È necessario fare una piccola panoramica dei prodotti finanziari per capire in cosa si differenziano quelli “derivati”.
1) Abbiamo le quote azionarie o azioni: sono dei titoli che permettono al compratore di entrare in possesso di una parte della società che le ha emesse.
Acquistando un’azione si ha perciò diritto di partecipare alle assemblee che decidono le sorti della società e, nel caso ci siano, di avere una quota degli utili proporzionale alla quantità di azioni possedute.
In teoria, le azioni hanno una correlazione diretta all’andamento della società che le ha emesse. Per intenderci: se la Fiat vende macchine, il valore delle azioni sale; se invece non le vende il valore precipita. Va da sé che se la società fallisce le azioni non valgono più niente.
2) Abbiamo poi i buoni e i certificati del tesoro degli Stati. Sono certificati che hanno scadenza a medio-lungo periodo, che lo Stato emette per poter avere liquidità e che paga ad un interesse più o meno alto.
In sostanza è un prestito che l’investitore fa allo Stato: tanto più lo Stato è credibile tanto più basso sarà l’interesse offerto. La ragione è semplice: uno Stato solido è affidabile, e quindi l’investitore può essere certo che riavrà i suoi soldi. Essendo il rischio basso anche il guadagno sarà basso.
Se invece uno Stato è inaffidabile, comprarne i titoli emessi è un rischio molto alto, un rischio che l’investitore si assume solo in prospettiva di un forte guadagno. Dunque gli interessi che lo Stato si offrirà di pagare saranno più alti.
Da qui deriva il nostro famoso spread con la Germania. Quello dei crucchi è uno degli stati più solidi, quindi paga pochi interessi. Noi invece a volte siamo stati considerati inaffidabili. Lo spread ci dice quello che pensano di noi gli investitori. Più siamo lontani dallo 0 più siamo considerati inaffidabili.
3) Arriviamo ai derivati. È opportuno spiegare che questi prodotti finanziari nascono come una sorta di assicurazione contro le eccessive fluttuazioni del mercato. Tuttavia i gruppi finanziari, approfittando della mancata vigilanza delle istituzioni preposte e della politica, hanno distorto l’utilizzo di questi strumenti rendendoli dei grimaldelli per la speculazione più selvaggia.
Facciamo un esempio chiaro di un derivato “buono”. Mettiamo di essere una società italiana che fa un contratto con una società straniera. Ci accordiamo per un lavoro: questo lavoro sarà da pagare fra sei mesi e decidiamo che il pagamento sarà in dollari.
Ora: noi sappiamo che da un giorno all’altro le valute possono fluttuare. Se una valuta oggi vale 100, tra 6 mesi potrebbe valere 120 oppure 80. Inutile dire che, ai fini del mio contratto stipulato oggi, la fluttuazione negativa potrebbe portarmi a perdere con l’operazione, pur realizzando il lavoro.
Qui interviene il prodotto derivato “buono”: il futures. Le due parti oggetto del contratto di cui sopra, si accordano di sottoscrivere un futures che faccia da scudo a eventuali fluttuazioni del dollaro che potrebbero esserci alla data scelta per la scadenza.
Il futures è unicamente riferito alla somma di denaro che ci interessa “assicurare” dalle fluttuazioni. Alla scadenza del futures le due parti liquidano la somma pattuita (tradotto: il contraente A paga il contraente B assieme all’eventuale differenza dovuta alle fluttuazioni, che però non potranno essere superiori a quelle stabilite in fase di stipula). Per essere ancora più chiari: se l’accordo è su base 100, ci si accorda – ad esempio – che l’oscillazione non superi il 10% in positivo o in negativo.
Il futures è un prodotto derivato perché, per l’appunto, non è vincolato all’economia reale ma “deriva” da essa. Nel nostro esempio, infatti, il prodotto finanziario non ha correlazioni con l’oggetto materiale del contratto, ma solo con la cifra di denaro per cui il futures è stato sottoscritto.
Proprio questa mancanza di legame all’economia reale ha permesso il circolo vizioso che si è creato attorno ai derivati.
Grazie all’assenza di regole che vietassero troppi “passaggi” di mano e speculazioni, si è mano mano reso possibile un sistema sempre più complicato di scatole cinesi.
Le statistiche dicono che meno del 2% dei futures negoziati vengono effettivamente portati alla loro “fine naturale”: vengono infatti venduti e ricontrattati a fini speculativi infinite volte.
Continuando nel nostro esempio, può capitare che il futures sottoscritto venga ricontrattato, poi venduto e rivenduto ancora, perdendo qualunque legame con il futures iniziale e diventando, di fatto, una mera scommessa sulla fluttuazione del dollaro.
Il problema è che con metodi che potremmo definire legalmente grigi (e con tutti questi passaggi di mano) si perde di vista il fatto che questi prodotti alla base non abbiano niente di reale e che quindi possono, da un giorno all’altro, valere carta straccia.
Così è capitato con la Lehman Brothers: ad un certo punto sono saltati gli equilibri su cui si basava il complicato sistema di scatole cinesi di questa banca d’affari. Quando gli investitori hanno cercato di riscuotere i vari titoli emessi, si è scoperto che non vi era nessuna garanzia dietro gli stessi.
Questo è quello che i giornalisti chiamano “bruciare denaro”. I sottoscrittori dei titoli di quella banca d’affari si sono ritrovati in mano titoli che non corrispondevano più a niente, senza alcuna possibilità di vedere il becco di un quattrino a fronte della cifra investita all’origine.
Domenico Cerabona
@DomeCerabona