È sicuramente una delle notizie che più hanno polarizzato l’attenzione mondiale tra la fine del 2012 e ‘inizio del 2013. Gli Stati Uniti trattenevano il fiato (e con loro, tutto il mondo) perché “le finanze americane erano sull’orlo del baratro fiscale”. Ma sappiamo veramente cosa hanno (e abbiamo) rischiato? Proviamo a spiegarlo brevemente.
Come forse saprete, gli Stati Uniti hanno un impressionante debito pubblico: il più alto al mondo ed in costante crescita.
che si trova a Manhattan, New York City
Tuttavia, grazie alla possibilità di stampare moneta (e più in generale, grazie ad un’economia ancora forte) gli USA riescono a rimanere solidi nonostante questo debito mastodontico. Per decenni queste sono state le condizioni della prima economia al mondo. Ma in questi anni di Presidenza Obama qualcosa si è rotto: il tema del debito pubblico ha iniziato a generare problemi.
I motivi sono principalmente due: in primis, chiaramente, la grandissima crisi mondiale e interna. Le ormai famigerate “bolle finanziarie” hanno messo in ginocchio milioni di persone, rendendo obbligatorio un importante intervento statale – pensate ai salvataggi delle casa automobilistiche.
Il secondo problema, non meno importante, è stata la dissennata opposizione dei Repubblicani. Per due dei quattro anni della Presidenza Obama, i Repubblicani hanno avuto la maggioranza nei due rami del parlamento, con un solo obiettivo: impedire la rielezione dell’inquilino della Casa Bianca. Responsabili di questa opposizione intransigente è stata l’ala destra del partito Repubblicano, quel “Tea Party” di cui abbiamo già parlato qui.
Durante tutto il 2012, quindi, il tema fiscale è stato oggetto di una forte contesa politica tra Democratici e Repubblicani. Da una parte il partito di Obama, che voleva aumentare le tasse ai ricchi per mantenere in piedi il welfare state (con il piano “Obama care” in testa, il programma di finanziamento statale delle spese mediche dei meno abbienti); dall’altra i Repubblicani, che chiedevano ferocemente un forte taglio forte delle tasse (e un conseguente smantellamento della spesa pubblica).
Questo stallo istituzionale ha fatto sì che gli Stati Uniti iniziassero a “correre” verso il fiscal cliff. Esso altro non è che un meccanismo automatico di aumento generalizzato delle tasse: raggiunto un livello insopportabile di debito, questo sistema fa saltare numerose detrazioni fiscali, alzando al contempo il livello della tassazione generale.
Gli effetti di una situazione del genere sarebbero disastrosi: il meccanismo del fiscal cliff (letteramente, “scoglio fiscale”) provocherebbe un significativo aumento delle tasse per circa il 95% dei cittadini statunitensi, gettando l’economia a stelle e strisce in una nuova, ulteriore recessione.
Obama ha cercato in tutti i modi di evitare questa situazione: le elezioni di novembre hanno riconsegnato ai Democratici il Senato, ma il braccio di ferro alla Camera è stato molto duro. Nel ramo più basso del Congresso Americano, infatti, i Repubblicani conservano una solida maggioranza. Nelle ultime ore del 2012 la Camera degli Stati Uniti doveva votare un provvedimento del valore di 800 milioni di dollari, tra tagli della spesa e aumento delle tasse per i più ricchi. Questo accordo avrebbe (anzi, ha) impedito l’automatismo del fiscal cliff – che avrebbe introitato un valore di 5.000 milioni di dollari.
In extremis un accordo è stato trovato grazie alla mediazione del vice presidente Joe Biden (e alla spaccatura avvenuta tra i deputati Repubblicani). Ma per molti analisti il tutto è stato solo un allontanare il problema, non una soluzione definitiva.
Domenico Cerabona
@DomeCerabona