Come spesso mi dice il mio amico e compagno di avventura Domenico Cerabona, impegnato col cuore in mano nella sua campagna elettorale a sostegno di Gianni Cuperlo, c’è un fatto: il PD non è il mio partito. Lo dice con un sorriso aspro e orgoglioso, me lo rinfaccia quasi, a segnare il (suo) territorio. Ha ragione, e non gli basta: incalza e sottolinea quanto io assista al loro dibattito interno più che altro per disperazione, per sconsolante mancanza di sostanza e democrazia e progetto e credibilità ovunque altrove.
Tant’è: come anche dodici mesi fa, ho seguito anche questa sera il dibattito. Nella circostanza, sono e resto renziano. Ma la distanza dal blocco mi permette – forse – di poter scarabocchiare un paio di impressioni a caldo: un po’ come il telecronista che vede un po’ meglio la partita se di mezzo non c’è la sua vera squadra del cuore. Senza grandissima serietà, vi propongo qualche ghirigoro-flash scritto a caldo.
IL PIÙ SIMPATICO – Ne viene fuori meglio Civati. Ha idee politiche forse le più distanti dalle mie; ma ha un dono: l’ironia. Una leggerezza che non mi è sembrata sconfinare nella sconsideratezza. Non ha il sarcasmo pesante e riottoso di Renzi, e non è gelido – sarà l’origine friulana? O la erre affilata? – come Cuperlo. Civati trasmette serenità, e forse è facile sapendo di dover perdere: trasformare la rassegnazione in un qualcosa di positivo, comunque, è una sorta di valore di cui è giusto tenere conto, in mezzo a due che più o meno velatamente si ringhiavano e si sgambettavano (su tutti, l’attacco frontale e fuori tempo di Cuperlo a Renzi sul semipresidenzialismo, stoccato anche per far giocare il bonus-replica all’avversario).
Renzi, stranamente, ha patito: il ruolo di outsider gli calzava meglio di quello attuale, in cui sa di dover (stra)vincere. Questo è preoccupante, in ottica campagna elettorale politica: Matteo, ti sai giostrare solo da underdog oppure hai basi più solide? Probabilmente lo ha logorato la scorsa corsa: molti esempi e alcuni aneddoti sono frusti. Le caserme vuote ce l’hanno fatto a fette, e grazie a Iddio ci hai risparmiato la citazione smaccata al piano regolatore a volumi zero (c’era, eh, ma è stato camuffato).
Cuperlo è ingessato, terribilmente: andava bene fino all’epoca precedente a Berlinguer (che ha citato ruffianamente nel Pantheon: peccato, qualcuno aveva iniziato a dire che forse era il caso di smarcarsi dal feticcio del leader morto sul palco, dimenticandosi quella spocchia per cui solo quella parte è decorosa mentre tutti gli altri no). C’era una regola, nel confronto: stare nei tempi. L’ha rispettata il meno possibile.
IL PIÙ DETERMINATO – Per indole o per contingenza, Matteo Renzi ha dovuto dimostrarsi pronto a guidare un Partito. Se l’è cavata. Elegante nel sottolineare l’onorabilità dei contendenti sul pasticciaccio brutto delle tessere gonfiate (anche se è lui il principale imputato), sorprendente nel riqualificare il ruolo dei militanti che è accusato di odiare: ne piazza uno nel Pantheon e ne cita alcuni cammin facendo. Furbo e – se sincero – beneauspicante.
La svagatezza di Civati è il rovescio della sua ironia: è tenero quando sottolinea “E vinceremo!”, fornisce nel complesso una buona prova di recitazione. Ma se Renzi veniva attaccato sul suo essere pivello, come si può accettare un Civati? Pippo viene demolito su uno dei suoi cavalli di battaglia, i diritti civili: la coltellata di Renzi (“Se ne parla in campagna, poi nessuno che presenta un ddl”) lo affossa con crudeltà, e la controreplica se la gioca maluccio, nonostante si sia portato dietro una claque che nemmeno le tifoserie sudamericane.
Cuperlo non ha questo problema: è stato formato per fare un domani il Segretario, e sguazzare in questo genere di equilibri gli è facile come lo è per una nonna emiliana impastare i tortelli di zucca. Non morde perché per lui è una questione di proporzione: se solo il suo popolo risponde alla chiamata alle armi, è fatta. Se intervengono altri (più a destra o addirittura più a sinistra, a sparigliare le carte) non ce n’è.
L’UOMO DI STATO – Non so se Cuperlo sarebbe un buon candidato Presidente; sono sicuro che sarebbe un ottimo ministro. Non solo: ha trasmesso un rispetto per le istituzioni comune alla destra più rigorosa ed al post-comunismo più maturo. Questi sono valori importanti: veniamo da decenni di sfascio istituzionale perpetrato su tutti i fronti. Il morso sul presidenzialismo inferto a Renzi, se letto nella sua dimensione positiva, è un forte richiamo alla dimensione costituzionale dello Stato.
Renzi, tra foga pressione e ambizione, travalica. Ha un bel parlare di “squadra”, ma – per continuare la sua metafora calcistica – sembra il miglior Ibrahimovic: palla a me e poi ci penso io. Che per carità, fa vincere campionati a grappoli, ma fino ad ora non ha mietuto successi quando si iniziava a fare sul serio.
Civati è un discolo: non tanto stasera, quanto nella sua esperienza parlamentare. Civati cede troppo spesso alle lusinghe della “fazione giusta”. A volte (a volte…) si piega, ma sempre con un appunto sentenzioso da grillo parlante. Un modo di fare del genere esalta i duri e puri ma spaventa i pragmatici. Ti condanna a una sempiterna opposizione: è bene lo capisca.
IL PIÙ PUNTUALE – Prolisso Cuperlo, ma sempre sul pezzo. Deciso nell’affermare le sue architetture, preciso a rischio di sembrare cattedratico nelle risposte: non infiamma ma è puntuale. Ha il coraggio che gli viene da una doppia consapevolezza: primo, la sua struttura di pensiero non ha falle; secondo, ha perfettamente chiaro che in certe occasioni non ce la si cava con un bel sorriso. Dà l’impressione di saper trangugiare rospi e di saper rinunciare a qualcosa per ottenere un bene più grande. Anche se questo è costoso: emblematica in tal senso la risposta sulla Cancellieri.
Civati ripercorre i suoi sentieri (che per loro essenza son tutt’altro che autostrade): non è coraggioso come Cuperlo (lo so, è stridente, ma spero di essermi spiegato poc’anzi), ma la sua intransigenza è quello che il suo elettorato vuole sentire. È caparbio al punto di apparire macchietta, specie quando si pronostica Commissario Maigret ad interrogare tutti i parlamentari, uno ad uno: “Sei tu che hai fucilato Prodi? Allora sei stato tu! Dimmi chi è stato!” (che poi, manco parlassimo di Bonaparte, voglio dire…).
Sgusciante Renzi, ed è singolare: sarà che la prima volta non ci avevo fatto caso, saranno i riflettori… Matteo ha dribblato spesso, con la tecnica fuori dal comune che nessuno gli nega. Deve dare colpi a cerchi e botti, ma deve farlo senza farsi vedere. Sempre più one man show, sempre meno pugile. Altro campanello d’allarme.
IL PIÙ LUNGIMIRANTE – Io sento troppo poco pronunciare le parole-chiave: “Stati Uniti d’Europa”. Solo Renzi lo fa con continuità. Senza, non c’è futuro sul lungo periodo: e mi terrorizza non sentirlo dire da nessuno, né in questo confronto né in generale. Si parla di “battere i pugni sul tavolo”, si parla di “Bruxelles” come se si parlasse di Plutone, si parla di burocrati e tecnocrati. Male: è una dimensione della politica provinciale.
Non emerge una visione, un modo per costruire l’Europa vera – e ricordiamolo: senza Europa siamo una zona geografica che ha già dato tutto. Nemmeno Cuperlo, che è il figlioccio di D’Alema, batte questo tasto: e dire che il suo padrino si sta dannando per dare peso al PSE, dare una visione politica della zona-Euro. Gianni, ma perché non l’hai detto?
Civati – e mi spiace liquidarlo così: l’ho detto, mi è simpatico – intanto parla dei 101.
L’ARBITRO – Il conduttore è molto bravo, lo aveva già dimostrato l’anno passato: manda in panico Civati al solo pronunciare le parole “fact-checking”, ed il siparietto è notevole. Viene messo in difficoltà dal Saccentino Renzi dopo la domanda di Cuperlo al sindaco di Firenze, quando si trova a dover mercanteggiare 30 secondi (nemmeno nel braccio della morte di Huntsville, Texas) in una escalation grottesca.
Autoreferenziale la domanda sul Pantheon (che tutti si aspettavano e tutti si erano preparati: così così tendente al bene Cuperlo, così così tendente al male Renzi, in forma strepitosa Pippo col suo “Io non la metto nel Pantheon, la metto in segreteria”); fetente quella sul prezzo dei beni (in corner affannoso Pippo col diesel, riparte palla al piede e a testa alta Cuperlo – grande sangue freddo e intelligenza: non lo sapeva e ha ragionato. Non è da tutti in quelle circostanze -, smagliante Renzi sulle salamelle alla Festa dell’Unità – la domanda più candidamente perfida, specie per il sottotesto).
L’ERRORE DI SKY – Manca all’appello la domanda fondamentale: “Quello che vince, farà o non farà prigionieri?”. Dovevano inchiodarli lì: la fine delle primarie porrà termine alla guerra di bande? Costringere i candidati a promettere unità e coesione di fronte al Paese sarebbe stata una bella mossa: utile per le primarie, adesso; ma anche una notizia bell’e pronta in caso di probabile e prossima catastrofe.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi