
È stato uno degli ultimi martiri europei insieme alle figure di Bobby Sands e i suoi compagni di cella, eppure tanti giovani non sanno chi era. Era un ragazzino di vent’anni, martire per la libertà del suo popolo, per liberare la Cecoslovacchia dall’oppressione comunista. Il suo nome era Jan Palach. Ma cos’era successo in quei convulsi giorni del tra il 1968 e il 1969? E chi era Jan Palach?
Nel 1968 erano anni frenetici in tutto il mondo: la contestazione giovanile aveva attraversato diversi stati, dagli USA era arrivata in Europa, portando un’aria di rinnovamento e di dissenso. Ma quest’aria si era fermata sulla cortina di ferro, non riuscendo ad oltrepassarla, come se questa cortina fosse riuscita a non essere solo una barriera fisica, ma anche una barriera spirituale, attraverso la quale, da ovest a est, neanche le idee di libertà riuscivano a passare. Eppure in qualche modo, a Praga, erano germogliate. Tutto questo grazie ad Alexander Dubcek, che salì al potere il 5 gennaio 1968.
Era nata la cosiddetta Primavera di Praga. Dubcek non era come i tanti satrapi che si succedettero nelle dittature comuniste ad est. Si fece interprete di una linea di socialismo democratico, un “socialismo dal volto umano”. Durante il suo governo, durato solo pochi mesi, concesse maggiori diritti civili ai cittadini, allentò la censura sulla stampa e sui vari movimenti politici. Inoltre si fece promotore per la divisione della Cecoslovacchia in due nazioni indipendenti.
Mosca non gradì tutto questo, e decise di invadere in agosto la Cecoslovacchia con 600.000 soldati e con 7.000 carri armati. Dubcek fu destituito e Mosca impose un nuovo direttivo del Partito Comunista. Nell’Occidente nessuno si mosse. Nessuno volle rischiare una Terza Guerra Mondiale per la Cecoslovacchia; nessuno intervenne per questo popolo fiero, che alacre aveva combattuto contro il nazismo e ora si trovava sotto una altrettanto sanguinaria dittatura.
Un gruppo di giovani cecoslovacchi non si voleva arrendere a questa situazione: tutti studenti dell’Università di Praga, per protestare contro l’invasione sovietica seguirono l’esempio di alcuni monaci del Vietnam del Sud. Alcuni anni prima, infatti, alcuni monaci buddisti si diedero fuoco a Saigon per protestare contro l’oppressione dei buddisti nel Vietnam del Sud. Il caso che fece il giro del mondo fu quello del monaco sessantaseienne Thích Quảng Đức il 10 giugno 1963. Jan Palach aveva solo vent’anni: il 16 gennaio 1969 si reco in piazza San Venceslao e si fermò davanti alla scalinata del Museo Nazionale, la parte più alta di questa lunghissima piazza. Si cosparse di benzina e si diede fuoco. Rimase 3 giorni in agonia, nei quali spiegò ai medici la ragione del suo gesto. Il 19 gennaio Jan Palach moriva per la libertà del suo popolo.
Jan decise di non distruggere i suoi appunti; in un brano di essi si trova scritto: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana”.
Al suo funerale parteciparono quasi 600.000 persone, sfidando i sovietici. Altri sette ragazzi nei mesi successivi si fecero martiri nello stesso terribile modo, ma le loro storie non arrivarono in Occidente fino alla caduta del Muro. Tra loro morì anche Jan Zajic, un ragazzo di 19 anni che studiava da ferroviere, il 25 febbraio 1969. A 44 anni dalla morte di Jan Palach le sue idee di libertà hanno tuttavia vinto.
Il suo suicidio, il suo martirio non sono stati vani: nei paesi oppressi in molti hanno raccolto la sua testimonianza, le sue idee, e da lì hanno trovato il coraggio per combattere, fino al definitivo crollo di uno tra i sistemi più brutali della storia, che ha oppresso i popoli dell’Est Europa per oltre 40 anni, separandoli dai loro fratelli con la ormai famigerata cortina di ferro.
Oggi Jan Palach, insieme a Jan Zajic e agli altri martiri, è ricordato in un monumento in piazza San Venceslao voluto da Vaclav Havel (il primo presidente di una Cecoslovacchia finalmente democratica). Il monumento ricorda anche gli altri caduti per la libertà. Inoltre ha voluto dedicare alla sua figura la piazza che prima si chiamava piazza dell’Armata Rossa, nel centro di Praga, dove Jan si diede fuoco.
Alessandro Sabatino
@twitTagli
P.S.: Jan Palach è ricordato anche in molte canzoni, di cantautori di “destra” e di “sinistra”: