Il Regno (dis)Unito di Gran Bretagna: destra e sinistra dopo il voto

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Il Regno Unito di Gran Bretagna non è più così unito. La divisione non è solo politica, con il definitivo affossamento del bipartitismo e la frammentazione dell’offerta elettorale, ma è anche geografica, con la Scozia travolta dall’impennata degli indipendentisti di Nicola Sturgeon, impazienti di riesumare il vecchio Vallo di Adriano per separarsi dal sud dell’isola.

Proprio la prospettiva, per loro terrorizzante, di un governo laburista appoggiato dai secessionisti in kilt, ha indotto i conservatori inglesi a mobilitarsi per Cameron allo scopo di conservare l’unità della Corona.
Tuttavia, paradossalmente, i loro peggiori timori rischiano di avverarsi esattamente a causa del trionfo dei Tories, che in questi mesi si sono spostati per convenienza politica su posizioni nazionalistiche e antieuropee.

Se dal referendum sulla permanenza nell’Ue, che dovrebbe essere indetto entro il 2017, dovesse uscire una maggioranza favorevole al Brexit, gli scozzesi, di sinistra ed europeisti, non avrebbero infatti più motivo di rimanere nel Regno e punterebbero risoluti alla secessione, con la quasi certezza di ottenerla. L’effetto domino sarebbe catastrofico.
A quel punto chi potrebbe garantire che i gallesi non decidano di seguirne l’esempio? E ciò varrebbe ancor di più per i nordirlandesi, dove la demografia sta premiando i cattolici, di sinistra, repubblicani e nazionalisti, a danno dei protestanti, da sempre unionisti e di destra: fra qualche anno, così, lo Sinn Fein, l’ex braccio politico dell’Ira che sogna la riunificazione dell’Irlanda, potrebbe realisticamente sopraffare tutti i suoi concorrenti nelle sei contee dell’Ulster.

Allo stesso tempo, le elezioni di ieri hanno confermato una tendenza che si sta riproducendo nelle medesime forme in tutta Europa: l’assottigliamento dei maggiori partiti di centrodestra e centrosinistra, tutto a vantaggio delle ali estreme dello spettro politico.
Finora il centrodestra ha dimostrato, sia in Francia con Sarkozy sia in Gran Bretagna con Cameron, di poter agevolmente togliere il terreno sotto i piedi ai vari Farage e Le Pen assorbendone le istanze populiste, senza per questo spaventare i moderati.

Per il centrosinistra, però, la questione appare più spinosa. Come abbiamo visto con la campagna elettorale di Ed Miliband, anche nel caso in cui i socialdemocratici slittano (giusto un po’) a sinistra, il loro consenso viene puntualmente eroso da formazioni più radicali. Qual è la causa? Mancanza di comunicazione? Poco appeal dei leader? Base ormai priva di entusiasmo? Oppure ci sono ragioni più profonde, che affondano nella stessa ideologia dei partiti della sinistra tradizionale novecentesca, spesso troppo accomodante verso l’elettorato di centro e troppo prudente quando si tratta di assumere posizioni chiare e spregiudicate, soprattutto in campo economico?

Di certo c’è che in queste elezioni i voti del Labour sono affluiti tanto verso l’Snp, la cui demonizzazione da parte dei conservatori condannerà probabilmente i laburisti all’opposizione per diversi anni, quanto verso i poco pubblicizzati Verdi, che con un sistema proporzionale veleggerebbero tranquillamente sopra il 5%.

Qualcuno, con una parola orribile, ha iniziato a chiamare l’erosione del consenso dei partiti di centrosinistra europei “Pasokificazione, da Pasok, il partito socialista greco cannibalizzato da Syriza.
Quale che sia il loro destino, l’esito delle consultazioni britanniche suggerisce che d’ora in poi qualunque svolta decisa a sinistra non potrà prescindere dalla scelta di un leader carismatico e slegato dalle vecchie logiche interne di partito: Nicola Sturgeon ha molto da insegnare a Ed Miliband e ai suoi compagni di partito.

Jacopo Di Miceli 
@twitTagli

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