Il giornalismo ai tempi di Giulio Golia

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A Le Iene va riconosciuto un merito: aver creato un prodotto televisivo fruibile al grande pubblico e di successo. E anche di trattare argomenti – come sessualità, prostituzione, consumo di droghe e immigrazione – troppo spesso relegati dai media mainstream a mero ordine pubblico.
Il punto di forza della trasmissione, ovvero la capacità di coniugare intrattenimento, satira e inchiesta, tuttavia è spesso anche il suo più grande punto di debolezza. Il sensazionalismo e il voyeurismo, che tanto piace al grande pubblico, ha permesso al format di porre in agenda argomenti difficili da mandare giù. Ma ha anche avuto il demerito di banalizzare troppo spesso.
Giulio Golia ne è la perfetta sintesi: animatore turistico prestato al giornalismo. In barba ai tanti ragazzi che hanno battuto i marciapiedi nelle periferie in cambio di una manciata di spicci a pezzo, che ora sono disoccupati o – i più fortunati – riciclati in qualche ufficio stampa.

Mercoledì 19 novembre, durante la puntata è andato in onda un servizio firmato proprio dalla iena Golia. Il titolo, già da solo, è tendenzioso e meschino: Il maniaco… della pulizia.
Una presunta studentessa universitaria, dopo aver messo un annuncio su internet, nel quale dichiarava di cercare lavoro per pagarsi gli studi, veniva contattata da un uomo con ben altre intenzioni. Costui proponeva, senza troppi fronzoli, una relazione sessuale duratura in cambio del mantenimento della ragazza all’Università. Si può concordare che si tratti di un comportamento viscido e fastidioso. Ma sarebbe bastato un semplice “no, brutto porco” chiudere la questione. Oppure una telefonata alle forze dell’ordine per denunciare la squallida molestia.

Invece no, la ragazza si rivolge al buon Golia. Ne è uscito un servizio inutile e di cattivo gusto. E anche eticamente scorretto per metodo, approccio dell’inviato e linguaggio.
Dopo qualche telefonata, dove il presunto maniaco descriveva dettagliatamente le pratiche sessuali a lui preferite e dopo aver espressamente richiesto, come requisito indispensabile, la pulizia intima della ragazza, i due prendono appuntamento in una camera d’albergo. L’uomo comincia a illustrare le sue preferenze, soffermandosi sul sesso anale. Qui inizia a tirare fuori oggettistica di varia natura e un clistere, con il quale la studentessa avrebbe dovuto ripulirsi prima del rapporto.

L’uomo – per quanto il genere di mercimonio sia alla resa dei conti desolante – si mostra garbato e gentile. E tratta l’argomento come fosse un comune contratto tra persone adulte (anche se, leggi alla mano, di contratto non si potrebbe parlare). La ragazza, dal canto suo, decide che, in quel momento, non se la sente e rimanda tutto a un secondo incontro.
L’uomo si indispettisce leggermente per la perdita di tempo sostenendo che per conoscersi sarebbe bastato un caffè al bar, senza prenotare una camera d’albergo. Ma nulla più.
Il giorno dopo avviene il secondo incontro: stessa camera, stesso hotel. L’uomo, ossessionato dalla pulizia, e rassicurato dalle intenzioni della ragazza, inizia a cambiare le lenzuola e a pulire il bagno. È un patito dell’igiene.
E qui interviene l’inviato. Vestito da disinfestatore irrompe nella stanza d’albergo e inizia a schernire il cinquantenne malato di sesso e pulizia. Lo chiama ripetutamente Mastrolindo. Pone poche domande. L’obiettivo è dichiarato: umiliarlo.

La reazione di Mastrolindo (sic!) è tutt’altro che violenta. È spaventato. Per non essere ripreso, si avvolge attorno al lenzuolo e infila la federa del cuscino sulla testa. Inizia correre per la stanza per fuggire alla molestie di Golia, sbattendo qua e là come una mosca sui vetri. Il sentimento che scatena non è rabbia, ma pena.
Approfittarsi, specie in questo momento storico, di una ragazza in cerca di lavoro per chiedere sesso, può essere considerato un comportamento spregevole. E ok. Ma il sesso a pagamento è un argomento complesso che coinvolge la legge e l’etica. E anche la psicologia e la salute delle persone.

Compito del giornalismo è raccontare e approfondire. A volte dare opinioni, anche dure e tassative. Sicuramente non è umiliare e insultare una persona. Anche fosse l’ultimo degli stronzi. Se non si è in grado di farlo, aria, cambiare mestiere. Prego, tornare sulle navi da crociera e nei villaggi turistici. 
Oriana Fallaci, ad esempio, ha intervistato l’ayatollah Khomeini, che non si era macchiato di una semplice telefonata, mostrandogli tutto il suo disprezzo e togliendosi il velo durante l’intervista. Ne è uscito un lavoro stupendo. Lei la ricordiamo tutti: ha scritto un pezzo di storia del giornalismo internazionale. E un motivo ci sarà.

Ma il paradosso sta nel servizio successivo della trasmissione. Qui un inviato decide di fare la classica intervista doppia a due sex worker. Una ragazza romena che lavora in strada e una colombiana che lavora in casa, con prezzi e clientela decisamente diversi. Prima dell’intervista si vede l’inviato caricare la ragazza romena sul marciapiede e chiede possiamo parlare?  E lei basta che paghi e possiamo. E lui ok, certo, nessun problema.
Probabilmente – questo è ciò che si intuisce – la produzione ha pagato le due ragazze per il tempo dedicato.

Applicando un po’ di logica aristotelica, si palesano due concetti tremendi. Il primo: sei una prostituta, ne evince che io debba pagarti anche per un’intervista. Non posso contattarti e chiederti se sei disponibile a dedicarmi parte del tuo tempo extra-lavorativo. Devo fare la scenetta dove arrivo in macchina e ti carico. Il secondo: pagare una studentessa per andare a letto insieme è riprovevole. Se sei una battona, invece, è lecito.
Eh no: o è giusto o è sbagliato. Non esistono donne di serie A e donne di serie B. Oltre a essere schizofrenia editoriale, è un concetto ottocentesco, maschilista e becero. Punto.

Giulio Golia è lo stesso del caso Stamina: non è una novità il suo uso pessimo della professione giornalistica. Mettiamo le lancette indietro di un anno circa, e torniamo del metodo di Davide Vannoni (dottore in Lettere e Filosofia e docente, poi revocato, di Psicologia della Comunicazione all’Università di Udine) che prevede l’estrazione di alcune cellule staminali dal midollo osseo del paziente. Cellule che verrebbero messe in coltura – con acido retinoico in bassissime quantità ed etanolo, per circa due ore – e genererebbero neuroni. Una volta terminata la coltura, questi neuroni verrebbero iniettati nel paziente tramite una puntura lombare. Nella dichiarazione di intenti di Vannoni, c’era la possibilità di curare numerose malattie neurodegenerative come ictus, lesioni spinali, paralisi, sclerosi multipla, Sla e Parkinson. 
Senza dilungarsi, Vannoni ha rischiato di accedere al contributo per la sperimentazione e l’attuazione come cura compassionevole, nonostante l’intera comunità scientifica ne avesse bocciato i contenuti e nonostante le sue presunte pubblicazioni erano dei copia-incolla da Wikipedia.

Ma la crociata che ha portato Vannoni dal sottoscala agli ospedali è passata per Le Iene e Giulio Golia, che, in barba ai principi della Carta di Treviso che regola il comportametno dei giornalisti su questioni così delicate (in particolare, la Carta di Treviso dice espressamente: “Nei casi di minori malati, svantaggiati o in difficoltà, occorre porre particolare attenzione nella diffusione delle immagini e nella narrazione delle vicende, allo scopo di non scivolare nel sensazionalismo e/o nel pietismo, che potrebbero divenire sfruttamento della persona”) firma numerosi servizi per perorarne la causa.
Le inchieste vengono fatte in modo approssimativo e fazioso. Non c’è nessuna testimonianza critica e l’indagine si limita a spiegare solamente i vantaggi di Stamina. La trasmissione punta chiaramente all’impatto emotivo. L’emozione sostituisce l’informazione. Però passano in prima serata, e diventano virali, video di corpi di neonati martoriati da malattie terribili.
Insomma, l’etica del giornalismo secondo Golia.

Pare che dopo quei servizi l’Ordine dei Giornalisti si sia voltato dall’altra parte. Ma scrivere sull’utilità dell’OdG è solamente una noiosa perdita di tempo. A fare supplenza ci ha pensato un comitato di giornalisti scientifici, che ha posto a Le Iene e a Golia 10 domande.
Tutt’ora senza risposta: ve le linkiamo qui, perché sono parecchio puntuali
Ovviamente – sarete portati a presumere – uno così, pronto a bacchettare le presunte perversioni altrui e a innalzarsi a palladino della legalità e difensore dei più deboli, è senza macchia, giusto?
Invece no. 
Da qualche mese gira in Tv uno spot su una nota marca di modem e servizi internet. E nonostante la deontologia professionale vieti tassativamente ai giornalisti i fare pubblicità, il buon Giulio sembra sbattersene. E Le Iene anche.

Cari giovani amici giornalisti, umiliati, sottopagati e insoddisfatti. Voi che avete fatto tutta la trafila per entrare nella grande famiglia dei media. Voi, che quando firmate un contratto di 6 mesi a 800 euro per un’agenzia di comunicazione, vi sentite al settimo cielo. E voi, che invece avete dovuto rinunciare, perché con questo mestiere non si paga l’affitto, ma continuate a pagare la quota annuale all’Ordine dei Giornalsti. Guardate i servizi di Golia e pensate che, probabilmente, lui l’affitto lo paga. E chiedetevi: ne vale veramente la pena?

Andrea Dotti
@twitTagli

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