Il caffè al Tar: scemenze alla ribalta mentre i problemi del lavoro restano irrisolti

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Visto che nel nostro Belpaese si trova ancora tempo e risorse (giornalistiche e giudiziarie) per sanzionare questioni superflue, vale la pena soffermarsi su una vicenda di cronaca quotidiana.
Incredibilmente, da due giorni le radio del mattino, le TV nazionali e le pagine dei principali quotidiani riservano spazio al grande gesto, eroico e sicuramente migliorativo delle disfunzioni del mondo del lavoro, operato dal Tar di Trento.

Fulcro della faccenda? In poche parole: prendere il caffè prima di iniziare a lavorare (quindi fare la pausa prima) è indecoroso e punibile dalla legge. 
Sgomento.
Non per il caffè mancato (fra l’altro, parla un “decaffeinato” senza sforzo), quanto per il mitico teatrino dell’assurdo che continua a esibirsi sotto i nostri occhi, a dispetto delle vere priorità. Non mi riferisco solo alla gazzarra politica di questi giorni, che (si spera) alla fine porterà a chiarire le idee agli elettori.

Ora si chiama in causa anche la magistratura, per dare corda a questioni di infima importanza? Una situazione eventualmente e tranquillamente sanzionabile dalla singola azienda (pubblica o privata), senza dover essere portata in tribunale – non mi riferisco a un mondo dei sogni, dove tutti alla fine vanno d’accordo: certe prassi fastidiose sono risolvibili con astuzie di vario genere, incluso trovare un modo per “fargliela pagare”, se è il caso.

Ma soprattutto: in un Paese dove la vera legalità è ficcata e ben calpestata dalle suole delle scarpe riempiamo le pagine dei media con questa assurdità? A che pro?
Forse generare malcontento: facendo infuriare i lavoratori italiani, aumentando il loro senso di impotenza sul posto di lavoro, si aumentano pure le vendite; forse meglio concentrarsi su queste scemenze piuttosto che rendersi conto di quanto sian disarmanti le dichiarazioni omofobe e clericali del Presidente del Consiglio in carica; o il traccheggio di mamma Fiat sull’apertura delle fabbriche italiane; o l’assenza totale di una politica industriale, che condanna le piccole-medie imprese a non poter dare, costitutivamente, maggiore spinta propulsiva per muovere la macchina Italia.

Un modo per muovere questa “macchina Italia” potrebbe essere indurre queste piccole e medie imprese ad assumere veri impegni nei confronti di chi lavora per loro.
Per ridefinire un patto produttivo tra datore e prestatore di lavoro: capire i limiti, fin dove il datore può spingersi e a fronte di quali margini di manovra per il lavoratore.
Solo a quel punto, una volta chiare le priorità, ci si potrebbe concedere un bel caffè!

Mauro Loewenthal
@twitTagli

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