
Il PD in queste ore è ad un bivio. Paradossalmente questa crisi drammatica che arriva a traino di una cocente sconfitta elettorale può causare una fine “cruenta” del Partito Democratico o un’occasione per passare “al livello” successivo, ovvero trasformarsi in un partito progressista di stampo europeo.
Cercherò di essere sintetico, ma è comunque necessario tornare al 2007. Il centro-sinistra è lacerato dall’esperienza dell’Unione e del Governo Prodi, costretto a governare con una manciata di voti al Senato – e dovendo sperare nella buona salute di tutti i canuti Senatori a vita. Un’esperienza resa grottesca da beghe personali nella coalizione (ricorderete lo scontro Di Pietro-Mastella) e da vicende farsesche come quelle di Ministri che scendono in piazza contro il loro stesso governo.
Alla luce di tutto questo (e, diciamolo chiaramente, siccome nessun altro si voleva prendere la briga di affrontare una difficilissima campagna elettorale contro un Berlusconi più carico che mai) Veltroni ha il coraggio (e forse l’incoscienza) di fare una piccola rivoluzione: unire Ds e Margherita in un’unica compagine a “vocazione maggioritaria”, con l’ambizione, quindi, di governare il Paese senza alleanze con nessuno.
Fu senz’altro una bomba nello scenario politico nazionale, tanto che persino a destra, non senza qualche riluttanza, si intraprese la strada di un grande partito che unisse Forza Italia e An. Sarebbe scorretto però non dire che da larga parte della sinistra quella scelta fu più subita che condivisa. Ricordo come fosse oggi un’intervista di D’Alema ospitato da Fazio in cui, nonostante fossimo a poche ore dalla ratifica dello scioglimento dei due partiti, l’ex Presidente del Consiglio non nascondeva tutta la sua indifferenza e il suo scetticismo rispetto a quel progetto.
Tuttavia quel progetto prese corpo e, nonostante una campagna elettorale tutta in salita (condita dal clamoroso errore di accettare l’alleanza con l’Italia dei valori di Di Pietro), il PD ottenne un risultato elettorale soddisfacente, soprattutto alla luce degli ultimi risultati elettorali: ricordiamo infatti che il PD nel 2008 prese il 33% dei voti.
Passate le elezioni e arrivate le prime difficoltà di confronto con Berlusconi e (forse soprattutto) con l’opposizione interna dell’Italia dei Valori, il PD ha iniziato a scontrarsi con le riserve “programmatiche” non risolte al suo interno. Andando giù con l’accetta, gli ex-Margherita non volevano “morire Comunisti” mentre gli ex-ds non volevano “morire Democristiani”. Le tensioni divennero talmente forti che Veltroni decise di dimettersi da Segretario del partito e così nel 2009 si torno al Congresso.
La contrapposizione fu plastica delle divisioni interne: da un lato un candidato ex-PCI-PDS-DS, Pierluigi Bersani; dall’altra un ex-Popolare-Margherita Dario Franceschini. Sappiamo come è andata a finire e sappiamo anche quanta fatica abbia fatto Bersani a tenere insieme tutte le “anime” del PD. Infatti su temi chiave come riforma del lavoro, diritti civili, rapporti istituzionali spesso le divisioni all’interno del partito erano feroci.
Tuttavia Bersani ha dato prova di una grande resistenza e di una mirabile capacità di sintesi, riuscendo in qualche modo a svolgere il ruolo di paciere fra le diverse componenti, aiutato – va detto – dalla succulenta prospettiva di una possibile vittoria alle elezioni (se mi permettete una battuta, niente mette d’accordo tutti più della promessa di un dicastero…). Persino durante le primarie Bersani è riuscito a tenere unito il partito: l’outsider Renzi, infatti, non ha scalfito la struttura dal Partito. Molti si aspettavano che gli ex-Magherita si sarebbero schierati con il giovane sindaco di Firenze proveniente da esperienze Popolari, eppure questo non è avvenuto e anzi spesso gli ex Margherita sono stati i più fieri oppositori del buon Matteo.
Tutto questo “bel” quadretto rischia ora di esplodere, ed è facile intuire perché: se dovesse sfumare la prospettiva di governo è ovvio che verranno al pettine tutti i nodi irrisolti e che troppe volte sono stati accantonati – perché c’era una nuova emergenza da affrontare o perché lo spauracchio di Silvio fungeva da parafulmine. Torniamo quindi al punto di partenza: questa situazione può essere un’opportunità di fare chiarezza e trasformare finalmente il PD in un grande partito europeo. Oppure sarà inevitabile una scissione. Io, che personalmente “tifo” per la prima opzione, credo che una splendida occasione per risolvere i problemi del PD sia costituita dalle Elezioni Europee del 2014.
Il 9 febbraio scorso infatti, a Torino, in occasione dell’incontro della FEPS (Fondazione che unisce e lavora con tutti i partiti progressisti, Socialisti e Socialdemocratici europei), presieduta da Massimo D’Alema, i leader e segretari europei intervenuti hanno annunciato la volontà di presentare un candidato unico al ruolo di Presidente della Commissione Europea per le elezioni del Consiglio Europeo. Una vera e propria rivoluzione, che potrebbe cambiare nei fatti il futuro dell’Unione Europea (si vocifera che il candidato progressista potrebbe essere il Socialdemocratico tedesco Martin Schulz, da noi noto non tanto per essere il Presidente del Parlamento Europeo, ma piuttosto per aver ricevuto l’offerta di un ruolo di kapò da parte del nostro amatissimo Berlusconi).
A mio parere, ripeto, questa sarà una grande occasione di chiarezza per il PD. Per aderire a questa idea (come già peraltro annunciato da Pierluigi Bersani proprio a Torino) sarà infatti necessario un congresso chiarificatore nel corso del 2013, un congresso che decida “da che parte stare” senza più nascondersi dietro ad un dito. Si tratterà di scegliere se entrare definitivamente e a pieno titolo nell’alveo del PSE (quel partito che si oppone alla destra europea guidata dalla Merkel e dal “suo” PPE), oppure continuare con una certa ambiguità che sta portando il PD a non essere né carne né pesce.
In ogni caso, questa non sarà una “Canossa” per gli amici ex-popolari e ex-margherita. Perché essere membri del PSE significa voltare definitivamente le spalle ad una certa sinistra radicale, movimentista ed extraparlamentare – che di fatto vive ancora nel ‘900. Non dimentichiamo infatti che i Socialisti francesi o i Socialdemocratici tedeschi hanno posizioni del tutto incompatibili con alcune derive “estremiste” che noi siamo invece abituati a “tollerare” nella sinistra italiana. Tanto per intenderci: Schroeder piuttosto di governare con “Die Linke” e i Verdi ha preferito andare in Grosse Koalition con la Merkel. Detta fuori dai denti e calata nel nostro scenario: meglio il compromesso storico con il Pdl (al di là, vi prego, del personaggio-Berlusconi) che le chimere radical (-chic) dell’ipersinistra massimalista.
Diciamo quindi che nelle prossime settimane capiremo se il PD è pronto per entrare nel XXI secolo o se siamo condannati a ricominciare sempre dall’anno zero, come in un film di Bill Murray.
Domenico Cerabona
@DomeCerabona