Arrivano in Turchia e attraversano il fazzoletto di mare che la separa dalla Grecia. Qui vengono ammassati in prigioni a cielo aperto, scogli nell’Egeo camuffati da centri di raccoglimento. E poi su per la Macedonia, fino in Serbia. Arrivano alla frontiera con l’Ungheria, sperando di stabilirsi in Europa – magari in Germania o in Francia o in Svezia. Al 22 giugno 2015, alla frontiera ungherese, si contano 60 mila uomini fermati.
È la nuova tratta dei disperati, che viaggia parallelamente a quella più conosciuta del Mediterraneo.
Sono siriani, afgani e iracheni, ma anche africani: etiopi, somali, nigeriani ed eritrei. Disseminati e sperduti in quel fazzoletto di terra che i nostri sussidiari chiamavano “la polveriera d’Europa”.
I Balcani sono una ragnatela. Non è facile uscirne. Il primo ostacolo per chi cerca di attraversare le repubbliche Jugoslave sono i trafficanti di uomini: molti migranti iniziano il viaggio mesi prima, sapendo che saranno chiamati a ungere i portafogli di torturatori e faccendieri. Per alcuni il viaggio può durare più di un anno.
I trafficanti non hanno scrupoli: picchiano e abbandonano i migranti in posti sperduti in mezzo alle valli, dove sono esposti alle bande criminali locali.
Sono facili prede.
La Grecia non li vuole e l’Ungheria neanche. In pratica: non li vuole l’Europa. Richiedere asilo in Serbia e in Macedonia, inoltre, è sostanzialmente impossibile. La burocrazia è tendenziosamente lenta e la macchina organizzativa inadeguata.
Così le due repubbliche si comportano nello stesso modo: respingimenti e arresti. I migranti restano intrappolati lì, senza tutele, dove la polizia è un nemico.
A ben vedere, i respingimenti sarebbero in teoria operazioni di rimpatrio illecite, poiché negano alla radice la possibilità per il migrante di richiedere asilo. Sempre in teoria, la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo imporrebbe a tutti i Paesi l’obbligo di esaminare la situazione di ogni singolo individuo in arrivo sul proprio territorio.
Respingere a prescindere sarebbe vietato, dunque. Ma nei Balcani tra teoria e prassi c’è una qualche distanza.
La peculiarità della tratta balcanica è la porta girevole: migranti, rifugiati e richiedenti asilo escono dalla Grecia e dunque dall’Unione Europea, per poi rientrare, dopo aver attraversato altre due nazioni, sul lato ungherese. Per questo motivo l’odissea inizia proprio una volta al di là del confine greco-macedone.
Attraversarlo non è facile: il 25 giugno scorso sono morte 124 persone nel tentativo di farlo, 17 di loro erano bambini. Tuttavia, tra tutte le frontiere di questo viaggio, questa è quella meno proibitiva.
In Macedonia il pericolo si chiama Gazi Baba: un centro di “accoglienza” per stranieri. Con il pretesto di combattere il traffico di esseri umani, le autorità macedoni li arrestano e li chiudono lì per mesi.
Vogliono usarli come testimoni nei processi contro i trafficanti, sostengono, ma la realtà spesso è un’altra. Molte persone si ritrovano ammassate e detenute illegalmente per diversi mesi, in un vero e proprio girone dantesco. Dall’inizio dell’anno sono stati qui imprigionati più di mille migranti e rifugiati, con l’obiettivo di essere deportati al confine. Tra di loro anche bambini e donne incinte. Il tutto senza adeguate condizioni sanitarie, igieniche e alimentari.
Una sorta di lager, dove trovano alloggio anche donne, bambini e minori non accompagnati, e dove le violenze delle guardie sono all’ordine del giorno e del tutto arbitrarie. Una furia in divisa che si scaglia soprattutto contro i più deboli.
Non c’è trasparenza su quando e come uscire, ma la cosa chiara è che le autorità macedoni vogliono solo liberarsi dell’impiccio.
Può capitare che gli sforzi fatti fino a qui siano vani: molte persone si troveranno a ricominciare il viaggio daccapo; per i più “fortunati”, invece, il viaggio continua attraverso la Serbia.
Per farlo si deve percorre la linea ferroviaria che attraversa la Macedonia: nell’ultimo anno 24 persone sono morte investite da un treno, e ad aprile in un incidente hanno perso la vita 14 persone, sulla tratta che da Skjope arriva a Veles. I superstiti sono stati prontamente arrestati.
Il punto di passaggio più utilizzato sono le montagne, transitando da Lojane. Si tratta di una località vicino al confine, una comunità a maggioranza albanese. È qui che i trafficanti di uomini si annidano, pronti a fagocitare le poche risorse dei profughi.
Per passare il confine chiedono anche 400 euro, ma capita anche che – una volta presi i soldi – abbandonino i loro passeggeri in mezzo alle montagne.
“Noi non abbiamo niente. Ma la mafia ci prende tutto”.
Se si riesce a passare il confine si arriva a Mitrovak, ma non è finita. Ad aspettare c’è la polizia, pronta a schedare e respingere. Di prendere in considerazione eventuali richieste di asilo non se ne parla.
Così come in Macedonia, anche in Serbia è molto difficile, se non impossibile, avviare le pratiche per l’asilo. E anche la Serbia ha le sue Gazi Baba.
Si tratta dei tre centri di ricezione dei richiedenti asilo.
Amnesty ha descritto le condizioni di questi posti come inumane e degradanti.
I chilometri macinati fino a questo momento sono tanti. Ma il viaggio è ancora lungo. Da raggiungere c’è la frontiera ungherese: un’altra rete della tonnara. Una volta superata la frontiera con la macedonia ed evitati i campi, da dentro la Serbia ci si spinge verso il confine. Prima tappa: Subotica.
Per attraversare la frontiera, bisogna passare anche dalle botte della polizia serba, notoriamente poco tenera. A volte è necessario corrompere qualche funzionario anche solo per non essere arrestati.
Una volta di là, infine, bisogna sperare di non venire presi dalla polizia ungherese, considerati irregolari, incarcerati o rispediti nuovamente al confine.
I poliziotti ungheresi, a differenza dei colleghi serbi, sono preparati ed equipaggiati per intercettare i migranti. Pochi giorni fa, inoltre, il governo ungherese, guidato dal reazionario Viktor Orbàn, ha approvato una nuova legge che prevede la costruzione di un muro al confine serbo.
Il parlamento ha approvato la legge anche grazie all’appoggio dei neofascisti di Jobbik. Le forze politiche dell’ultradestra ungherese da tempo cavalcano il malcontento xenofobo della popolazione.
Oltre alla costruzione del muro (4 metri di altezza, 175 chilometri di lunghezza e filo spinato), è stata approvata anche una nuova legge sull’immigrazione. Le procedure per le richieste d’asilo verranno ulteriormente inasprite, ma soprattutto verranno velocizzate le pratiche per l’espulsione dei migranti considerati irregolari.
Nel 2010 le persone fermate al confine serbo-ungherese sono state poco più di 2 mila. Quest’anno hanno superato le 60 mila: un aumento del 2.500%. La cifra supera di poco quella di coloro che attraversano il Mediterraneo per arrivare in Italia: tra le due tratte, quella dei Balcani è la meno pericolosa.
Serbia e Macedonia sono ufficialmente Paesi richiedenti l’adesione all’UE. Per quanto riguarda la Serbia, inoltre, la stessa Commissione ha stabilito che ci sia bisogno di lavorare sulla libera circolazione e sui diritti fondamentali.
Qualora la Serbia dovesse entrare nell’Unione, come verrà giudicata una cortina alta 4 metri tra due Paesi membri?
Il confine con l’Ungheria rischia di diventare ancora più caldo: già oggi, migliaia di persone sono “bloccate” in Serbia e Macedonia, abbondonate a loro stesse in un vuoto di diritti.
Carne da macello per trafficanti, sfruttatori e funzionari corrotti.
Andrea Dotti
@twitTagli
NOTA DELL’AUTORE: I dati e le testimonianze riportati si possono trovare in “Frontiere terrestri europee: violazioni contro migranti e rifugiati in Serbia, Macedonia e Ungheria – Amnesty International”.