Hic sunt leones: anche la Tunisia divenne un luogo dove non andare

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Hic sunt leones. Questa espressione era per lo più riferita alle terre a sud del Mediterraneo, indicava la scarsa conoscenza di un luogo e pertanto la sua potenziale pericolosità. Così i Romani scrivevano sulle loro carte. 
Il momento in cui anche oggi l’occhio umano percepisce l’hic sunt leones su una carta geografica è quello in cui comunica con più urgenza e paura al cervello: “Non andare là”, lo avverte, “ — ma i Romani scrivevano “qui” — c’è il pericolo”. 
Quanti hic sunt leones ci siamo abituati a scrivere negli anni grazie ai viaggi e alle esplorazioni?
Quanti ne siamo riusciti a sfatare e cancellare? E quanti altri abbiamo dovuto ripassare con un Uni Posca nero?

Ci sono sempre stati dei leoni nel mondo, leoni per noi e agnelli per altri, o leoni per gli altri e agnelli per noi. Anzi, forse è stato proprio per la difficoltà nel riconoscere che tipo di animali avevamo davanti agli occhi, negli anni, che durante il secolo scorso non ci siamo resi conto di quanti leoni stessero nascendo vicino a noi.
Da agnelli quali erano, si sono lentamente trasformati. Forse già a causa di quei due signori che si strinsero la mano nel 1916 (Sykes e Picot), quegli agnelli si sono lentamente nutriti di strane sostanze a base di diffidenza, rancore; sono nel tempo diventati leoni astiosi nei nostri confronti.
Leoni che di recente hanno alzato la voce, cominciando a farci capire quanto poco siamo benvoluti dalle loro parti. Leoni che dal 2011 a oggi a sud e sud-est del Mediterraneo sono aumentati considerevolmente, fino a scoraggiare qualsiasi tentativo di viaggio avventuroso o vacanza lussuosa dalle loro parti. Per non parlare di tutto il resto.

Dall’Egitto alla Libia alla Siria, le agenzie di viaggio e i siti internet si sono trovati costretti a scrivere hic sunt leones ogni giorno: la settimana scorsa hanno realizzato di doverne scrivere un altro ancora. Nonostante tutto, nessuno dopo il 2011 aveva ancora scritto hic sunt leones sulla vergine sagoma della Tunisia.
Forse perché della Tunisia tutti han sempre detto che fosse il Paese più democratico tra quelli “arabi” e forse perché le elezioni legislative dello scorso ottobre e la stesura di una costituzione più “occidentale” — ma non per questo laica o contro la pena di morte — erano riusciti a farci abbassare la guardia verso la Tunisia.
L’hic sunt leones tunisino non è mai stato scritto nonostante non siano mancati gli attacchi terroristici negli anni; nonostante sia il Paese da cui partono più persone per combattere in Siria e Iraq e nonostante 600 foreign fighters siano già tornati in Tunisia; nonostante i confini con le bellicose Algeria e la Libia, la Tunisia non ha mai realmente smesso di essere un’ambita meta turistica.
Per le sue spiagge, per il suo deserto, per la sua Tunisi e per il museo del Bardo, questo Paese e il Marocco erano ancora i prescelti tra chi voleva scoprire il sud del Mediterraneo. Ancora incontaminati, innocenti, privi di quelle noiose ma necessarie misure di sicurezza all’entrata di ogni luogo turistico o albergo che portano il viaggiatore a sentirsi sempre minacciato, sempre un corpo estraneo.

Qualcosa cambierà anche in Tunisia, dove i leoni sono definitivamente arrivati; ma qualcosa continua a cambiare in noi, in noi che con una media approssimativa di una volta al mese assistiamo a attentati terroristici che non hanno nulla a che vedere con il Medio Oriente: Ottawa, Sidney, Parigi, Copenaghen e Tunisi. Come a dire: quell’hic latino è un “qui” reale, un “qui” vicino a noi.
Per morire in un attentato terroristico ormai basta molto meno dell’essere americani, ebrei in preghiera a Gerusalemme o in un supermercato di Parigi; non bisogna necessariamente essere vignettisti provocatori, né giornalisti o volontari andati in Siria.
Basta molto meno. 

Basta anche solo essere una dipendente comunale di San Mauro torinese, madre di due figli di cui uno della mia età, a cui viene regalato un viaggio su una nave della Costa Crociere. 
Non ci sono più distinzioni né bersagli umani definiti per i terroristi leoni che imperversano oggigiorno.
Basta colpire. Sempre e solo colpire.
E forse, come ha detto un familiare della vittima di cui scritto sopra, lasciare andare un pullman di turisti vicino al Parlamento in cui nello stesso giorno si discute di una legge antiterrorismo dovrebbe essere considerato un errore da cui imparare in futuro.

Perché i leoni sono ormai ovunque e non esitano loro stessi a definirsi così: in un tweet pubblicato da un simpatizzante dello Stato Islamico, la foto di una vittima del Bardo di origine novarese riporta una didascalia in cui alla vittima viene affibbiato il nome di “crociato” e agli attentatori quello di “leoni del monoteismo”.
Hic sunt leones.

Elle Ti
@twitTagli

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