Guida per capire l’Europa, da Hollande ad Alba Dorata

Siamo a poche ore dalla vittoria di Hollande in Francia, un risultato storico dopo 23 anni di Présidents de la République di destra. Una vittoria fortemente simbolica per il tipo di campagna anti-rigorista fatta dal leader socialista. Molti, soprattutto in Italia, sono convinti che questa vittoria sposterà gli equilibri europei, negli ultimi anni dominati dall’asse Sarkozy-Merkel (con la statista tedesca a farla da padrona), con l’ossessione per l’ordine dei conti pubblici.

Numerosi osservatori e militanti, a sinistra, vedono questa vittoria come una nuova rinascita socialista. Io, personalmente, ci spero molto. Per convinzione personale e campanilismo di parte, ma non credo sia il caso di affrettare i tempi.

Innanzitutto mi soffermerei su qualche aspetto che considero di primaria importanza nel panorama europeo, continentale e anglosassone. Azzarderò una comparazione soffermandomi su similitudini e differenze profonde.

Un dato mi sembra fondamentale. In un periodo di profonda crisi come questo, al contrario di quanto ha sempre sostenuto il malandato divo Andreotti: “il potere logora chi ce l’ha”.

In Spagna e in Francia i presidenti in carica, Zapatero e Sarkozy, hanno subito un vero e proprio referendum e sono stati mandati a casa. In Germania il partito della Merkel, che però – è il caso di ricordarlo – governa una grande coalizione appoggiata – o forse è meglio dire non osteggiata – dai socialisti della Spd, ha perso tutte le elezioni che ci sono fin qui state e i sondaggi non la vedono certo favorita alle prossime elezioni.

In Inghilterra Cameron, anche lui al governo con l’appoggio del partito liberale, non naviga in acque tranquille.

E infine in Grecia, dove fino a ieri governavano in una grande coalizione il Partito Socialista e quello centrista, entrambi hanno ricevuto una sonora batosta, con il primo che è stato scavalcato dal partito comunista e il secondo che pur rimanendo il primo partito della nazione ha visto dimezzare i propri voti.

Nonostante un preoccupante ingresso in parlamento di un partito neonazista (Chryssi Avghi, Alba Dorata), in Grecia, grazie al premio di maggioranza previsto dal loro sistema elettorale, la grande coalizione dovrebbe reggere e quindi continuare a governare il Paese, seppure con una forte opposizione.

Una sede di alba Dorata, il partito neonazista greco

E qui forse è il caso di spendere due parole sull’antipolitica. Se credete che sia un problema italiano, causato da Berlusconi, dal Pd o dalla corruzione, vi sbagliate di grosso. È purtroppo un sentimento che circola in tutta Europa e che si sfoga in maniera diversa: in Inghilterra abbiamo un partito ultranazionalista anti-europeista che, paradossalmente, alle elezioni europee – dove il sistema elettorale è proporzionale – prende un sacco di voti ed elegge numerosi rappresentanti che vanno a Bruxelles a sbraitare contro l’Europa (il video di uno di loro era diventato un virale qualche mese fa).

In Germania la vera novità degli ultimi mesi è il partito dei pirati, nato sulla rete (vi ricorda qualcosa?) e totalmente liquido e orizzontale. I sondaggi lo danno intorno all’8%, con la possibilità di eleggere rappresentanti al Bundestag.

In Francia il fronte nazionale della Le Pen ha raggiunto quasi il 20% alle elezioni presidenziali e, se dovesse ripetersi alle elezioni che a breve formeranno il parlamento, saranno una forza molto importante negli equilibri d’Oltralpe. Infine abbiamo la Grecia dove, come dicevo, vi è stata l’ascesa della formazione neonazista Alba Dorata, che per intenderci è la loro Forza Nuova.

Ci sono molte differenze tra questi movimenti, e sarebbe sbagliato metterli tutti in uno stesso calderone insieme anche ai movimenti tradizionalmente antipolitici nostrani come Lega, M5s e Idv.

Però alcune similitudini è possibile trovarle. In primis la fortissima repulsione per l’Euro. La moneta unica europea, e soprattutto la Banca Centrale Europea che decide la politica monetaria continentale, è al centro del mirino di questi movimenti che considerano l’euro un vero e proprio cappio al collo al servizio delle grandi entità finanziarie.

Altra caratteristica tendenzialmente simile è l’attenzione che questi movimenti riservano al localismo, in alcuni casi con posizioni apertamente razziste e xenofobe, in altri strizzando solo l’occhio al razzismo (mi riferisco all’infelice uscita di Grillo sullo ius soli).

Insomma, niente di nuovo: in momenti di crisi, come purtroppo è già accaduto in Europa, ci sono entità politiche che puntano sullo scontento e sulla rabbia della gente, possibilmente incolpando un “altro da sé” colpevole della crisi. Un mix di carisma, populismo e demagogia che sta dilagando in tutta Europa.

A questo punto mi permetto una divagazione più tecnica sui sistemi elettorali europei. Molti sostengono che non basti la legge elettorale a rendere un Paese governabile, e guardando alla legislatura in corso in Italia non si può non essere d’accordo. Nonostante la schiacciante vittoria e la larghissima maggioranza, infatti, l’alleanza tra Pdl e Lega non ha retto a causa della fuoriuscita di Fini e i suoi dalla maggioranza. Quindi è vero che la legge elettorale da sola non basta, ma diciamo che può aiutare.

Guardiamo per esempio il caso delle elezioni presidenziali francesi. Con il sistema proporzionale a doppio turno è possibile una piena rappresentanza di tutte le posizioni politiche, ma allo stesso tempo si effettua una scrematura che rende la vittoria di uno dei contendenti chiara ed efficace.

Hollande aveva appena il 28% al primo turno, seguito a ruota da Sarkozy al 27% e da Marine Le Pen al 17%. Senza il doppio turno (e va ricordato che anche le elezioni per il parlamento prevedono un sistema del tutto analogo in Francia, con un proporzionale a doppio turno con seggi uninominali), la situazione sarebbe stata ingestibile, e nessuna forza avrebbe potuto esprimere una maggioranza forte.

Sarebbe troppo lungo e noioso analizzare tutti i sistemi elettorali del nostro continente, quindi mi limiterò a dire che, seppur con soluzioni diverse, tendenzialmente in tutta Europa vi sono sistemi che favoriscono un’alternanza tra partiti conservatori e partiti progressisti. Insomma, di solito, o governano partiti che fanno riferimento al Partito popolare europeo, tendenzialmente conservatore, di tradizione cristiana e popolare, oppure che si riconoscono nei valori del Partito socialista europeo.

E qui arriviamo all’anomalia italiana. Il punto che mischia tutte le nostre carte. Se prendiamo infatti i due partiti più grandi dello Stivale (Pd e Pdl), cercando di inserirli nello scacchiere europeo, diventiamo matti.

Il Pd, infatti, è un’ibrido in cerca di identità.

Alla sua nascita si ispirava al modello americano, un grande partito contenitore di tante realtà. Il Partito democratico americano ha infatti dentro di tutto: dagli anti-abortisti ai liberali più sfrenati, dalla grande tradizione di lotta per i diritti civili ai sostenitori della pena di morte. Il Pd stava cercando questa sua strada, quando il cambiamento delle dinamiche interne (le dimissioni del filo-americano Veltroni in primis) ha interrotto questo percorso, con la nuova maggioranza interna che vorrebbe vedere il partito guidato da Bersani inserito nel Pse, così come lo erano i Ds.

Una volontà legittima (e per me auspicabile), che tuttavia non vede d’accordo gli esponenti più moderati e di tradizione cattolica che sicuramente si riconoscono di più nei valori del Ppe.

Non parliamo poi del Pdl. Il cui ceppo storico è composto da ex socialisti fondatori di Forza Italia, che non a caso in questi giorni facevano un tifo sfrenato per Hollande. Ma fortissima è anche la componente “democristiana”, che certamente si trova benissimo nelle fila del Ppe al quale il Pdl fino ad oggi è stato “iscritto”. E vanno considerati anche gli esponenti che vengono direttamente dalle fila dell’Msi prima e di AN poi, che sono ancora più difficili da collocare.

Insomma capirete bene che è un groviglio difficile da analizzare.

Ma se dovessi dire qual è la vera caratteristica che ci differenzia da tutto il resto del continente e non solo (mi riferisco anche alla tradizione americana) non avrei esitazioni. Da noi manca totalmente il riconoscimento della cosiddetta logica dell’alternanza.

D’altronde noi non ce l’abbiamo mai avuta. Per tutta la Prima Repubblica la Dc e i suoi alleati hanno sempre vinto e il Pci ha sempre perso, nonostante la leggenda berlusconiana dei comunisti al potere per quarant’anni. Certo ci sono delle sfumature che andrebbero analizzate, ma non è questa la sede per farlo. Ma la sostanza è questa. Noi non siamo abituati a vedere alternarsi governi di diverso “colore”. Ci sembra quasi innaturale.

E anche quando DC e PCI non c’erano più è arrivato Berlusconi e allora si è passati ad una sorta di referendum perenne sul Silvio nazionale.

Questa percezione distorta della politica mi è apparsa insopportabilmente enorme una volta che discutevo di politica con Marcus, un mio amico inglese. Si era alle battute conclusive del governo dei laburisti in Inghilterra dopo anni di governo Blair, leader amatissimo ma anche molto controverso, specie dopo la decisione di appoggiare la guerra in Iraq di Bush.

David Cameron

Chiedevo a Marcus come vedeva la situazione e lui mi rispose con una semplicità disarmante: “Blair e i laburisti hanno fatto bene, ma secondo me è tempo di cambiare, è arrivato il momento di provare con Cameron”.

Così, senza drammi o patemi, semplice democrazia dell’alternanza.

Una democrazia che rimane tale, e anzi più compiuta, anche se non vincono i nostri.

Ci abitueremo mai? Io spero di si.

Domenico Cerabona
@DomeCerabona

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